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Posts Tagged ‘metafisica’

Parlerò qui di un libro che potrebbe anche essere considerato un libro come tanti, e quindi potrebbe essere trattato con il rispetto che si deve a qualunque tesi. Le cose non stanno però affatto così, perchè questo non è un libro come tanti bensì è una vera e propria Bibbia scientista. Una delle forme più forti di tutta una serie di scritti militanti che ultimamente sono andati a costituire un vero e proprio corpus sacro-scritturale. Un corpus di conoscenze che si appoggia in realtà sul neutrale sapere scientifico, ma lo fa a fini retorici, e più precisamente con lo scopo di una retorica d’attacco, cioè di guerra. È la guerra della scienza moderna per difendere aggressivamente contro tutto e tutti i suoi spazi e le sue indiscutibili prerogative. Spazi e prerogative che peraltro non sono nemmeno minacciati, dato il suo attuale totale predominio su ogni altra forma di prassi conoscitiva.
Orbene, al di là della il libro di Thompson difende, tesi provocatoria già di per sè, vi è in esso da deplorare la forma specifica assunta dall’atteggiamento bellicista della scienza. Una forma ammaliante ed insidiosa, che, fingendo un’apertura intellettuale del tutto inautentica, in quanto strumentale, tende sostanzialmente ad addormentare le coscienze per poi colpirle a tradimento. Proprio per questo l’uso disinvolto della filosofia che in esso si fa, mi sembra particolarmente abominevole.
Vi sono del resto altri libri del genere nello scenario della scienza in veste retorica e letteraria, ed essi dunque tradiscono l’esistenza di un settore specifico della conoscenza scientifica che si distingue per un’arroganza ancora maggiore di quella esplicita. E ciò in quanto impressionantemente cinica.
Per questo motivo sono convinto che libri come questi vadano commentati essenzialmente allo scopo di essere distrutti. Il che significa smascherarne le indegne manovre per porle alla luce del sole. E dico questo perchè so di cosa parlo. Oltre che filosofo ho passato tutta la mia vita facendo il medico. E so bene, quindi, di cosa si tratta quando si parla di arroganza scientista.

Il libro del morfologo inglese D’Arcy W. Thompson, dal titolo “Crescita e forma” [D’Arcy Wentworth Thompson, Crescita e forma, Torino : Bollati Boringhieri 2001], esce nel 1917, e quindi non lontano da un movimento di idee che vide al suo centro l'”Évolution créatrice” di Henri Begson (testo che lessi appassionatamente diversi anni orsono proprio nel momento in cui ricominciai ad interessarmi di filosofia) [Henri Bergson, L’evoluzione creatrice, Milano : Fabbri 1964]. Libro al quale non caso l’autore si rifà in modo molto polemico. (altro…)

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Vincenzo Nuzzo Un Dioniso-Cristo e l’originaria Religione della Vita.

Abstract:

Dopo la precedente recensione (“Il Dioniso di Kerényi e noi. Elementi antichi per  una critica al Moderno”) dedicata allo stesso testo di Karol Kerényi (“Dioniso”), l’autore affronta più specificamente il tema rappresentato dalle potenti suggestioni, derivanti da questo testo, che lasciano supporre una sorprendente affinità tra la figura di Dioniso e quella di Cristo, ed anche, conseguentemente, tra le rispettive liturgie e dottrine teologiche. Tuttavia va precisato che l’affinità appare sorprendente non sul piano sostanziale bensì soprattutto in relazione ad una circostanza tutto sommato secondaria dal punto di vista teologico e cioè quella rappresentata dalla polemica moralistica del Cristianesimo contro il dionisismo in particolare e contro la religiosità pagana greco-romana più in generale. Come già sostenuto in altri nostri scritti, anche qui viene da noi sottolineata la strumentalità di tale polemica, il cui scopo cosciente appare essere stato molto più quello di guadagnare facili consensi che non quello di affermare verità teologiche cardinali. Ciò che colpisce infatti è che, una volta sgombrato il campo dai termini di tale polemica (una volta cioè considerata la presunta immoralità del dionisismo nella giusta luce), allora l’affinità tra Dioniso e Cristo appare veramente palpabile. E ciò che è ancora più suggestivo è il fatto che tale affinità appare funzionare non solo in un senso, cioè da Dioniso a Cristo (nel senso cioè di una possibile elevazione del dionisismo al rango teologico del Cristianesimo) ma anche al contrario, e cioè da Cristo a Dioniso, ovvero nel senso di una possibile riducibilità del Cristianesimo al dionisismo. Il termine “riducibilità” va però qui ben compreso, in quanto con ciò non intendiamo affatto sostenere un’ipotetica de-costruzione del Cristianesimo a modelli teologici più elementari nel senso di un maggiore naturalismo e di una minore purezza. Di un’operazione di questo genere si sono manifestati diversi aspetti nel corso del pensiero filosofico e scientifico diversi aspetti Un aspetto particolare (tra i tanti) è stato la critica al Cristianesimo da parte di Nietzsche, critica che tendeva alla demolizione e non alla chiarificazione. Un altro aspetto particolare è rappresentato dalla vasta corrente di studi mitologico-antropologici miranti a de-costruire il religioso come riducibile a meri fatti naturalistici  e storici (inclusi quelli psicoligi), ed il cui intento è altrettanto demolitorio. Ed infine un ulteriore aspetto particolare è proprio la tesi più o meno apertamente sostenuta da Kerényi e secondo la quale, in fondo, il vero, autentico, e più condivisibile nucleo del dionisismo starebbe proprio nell’arcaica ma integra, viva e fresca religiosità cretese-mediterranea al centro della quale vi è un Dio-Vita riconoscibilmente femminile e non-civile che alla fine si identifica con la Natura. Una tesi questa che appare risentire della molto sentita esigenza da parte della psicologia del tempo (psicanalisi) di una nuova e rivoluzionaria igiene psichica che saltasse a piè pari il moralismo cristiano (e l’intero idealismo risalente a Platone) per ritrovare la freschezza delle fonti naturali greche e pre-greche. Noi personalmente (da convinti cristiani quali siamo!) non condividiamo affatto nessuna di queste tesi, e pertanto ciò che ci interessa nell’ipotesi di una profonda e forte affinità bilaterale reciproca tra Dioniso e Cristo è soprattutto la possibilità di riconoscere nel Cristianesimo elementi finora non evidenziati, e che permettano di ritrovare la via che conduce dalla teologia specifica ad una Metafisica superiore e primordiale, che siamo convinti rappresenti il contesto di riferimento unico e vero di ogni teologia. In questo senso crediamo che nè Dioniso nè Cristo possano e debbano prevalere l’uno sull’altro, e che quindi, se vi è un senso nella riducibilità del secondo al primo (alla quale deve necessariamente corrispondere anche la riducibilità del primo al secondo) questo senso stia nella sostanziale parità in rango dottrinario e purezza religiosa che dev’essere riconosciuta ad entrambi. E ciò, una volta ampiamente condiviso, rappresenterebbe  una riparazione abbastanza esaustiva al grave crimine, indubbiamente commesso dal Cristianesimo, di disprezzo e messa in ombra, entrambi del tutto ingiusti, del dionisismo e della religiosità pagana. Del resto tutto ciò è nell’interesse dello stesso Cristianesimo, così interessato com’è, per statuto, all’ecumenicità. Non è infatti di certo affermando la superiorità di rango di una teologia sull’altra che si potrà giungere alla teorizzazione di una religione universale. E ciò vale nello spazio (geografia dele religioni) come nel tempo (storia delle religioni). Precisato questo, va aggiunto, ad informazione dell’eventuale lettore, che l’affinità ipotizzata in questo scritto (sulla base dello scritto di Kerényi) viene da noi esplorata secondo due direttrici : ‒ 1) quella del trapasso storico-religioso (e geografico) dal Dio vitale-naturale (Dio-Vita) al Dio Trascendente e conseguentemente dall’impuro Dio della non-civiltà femminile al puro Dio della civiltà maschile ; 2) quella del progressivo rivelarsi di autentici concetti teologici cristiani nel bel mezzo della liturgia e teologia dionisiaca.

Riguardo a tale ultimo aspetto è  abbastanza scontato aspettarsi che molte delle nostre feste cristiane riconoscano alla loro  base nuclei liturgici dionisiaci. E  ciò richiederebbe una trattazione specifica che si integrerebbe ottimamente nel nostro scritto. Basti comunque solo a mo’ di suggestivo esempio menzionare a tale proposito ciò che recentemente ci è capitato di sperimentare seguendo la Processione della Spina Santa di Cusano Mutri (BN). L’inno sacro che veniva qui cantato, e proprio dalle donne che seguivano la processione (nella quale veniva trasportata la Madre del Dio), era caratterizzato da un ritornello riconoscibilmente estatico contenente queste parole : “Io ti adoro spina santa, hai toccato le carni sante, io ti adoro spina santa, hai toccato le carni divine…“. Il riferimento dionisiaco contenuto in queste parole ci sembra piuttosto chiaro.

( Del testo, ammontante a 78 cartelle, viene qui fornita solo una piccola parte iniziale  dell’introduzione, lasciando così la lettura del resto di esso alla volontà del lettore interessato, che potrà rivolgersi direttamente all’autore per la fornitura di una copia cartacea)

Testo:

Dioniso può equivalere a Cristo e Cristo può equivalere a Dioniso? La suggestione intellettuale e morale aperta da questa doppia domanda non è ami avviso affatto peregrina nè blasfema. Ed in entrambi i sensi. Essa deve infatti senz’altro essere passata per la testa di molti mitografi e filologi a fronte delle impressionanti coincidenze che, studiando non solo quello di Dioniso ma tutti i miti della terra, si possono trovare tra essi ed i più disparati aspetti della figura di Cristo e del Cristianesimo. E di conseguenza sicuramente tale suggestione intellettuale e morale deve avere spesso almeno sfiorato per un attimo anche la mente di molti teologi. Quanto ai filosofi il discorso è forse molto più semplice, dato che essi in genere si sono incaricati di compiti più specifici. In Schelling1 troviamo ad esempio la descrizione dottissima e profondissima di un legame di continuità tra Paganesimo e Cristianesimo, e ciò nel senso di una progressività che reca poco a poco ad una religione più perfetta, o religione autenticamente spirituale. Una religione spirituale che corrisponde essenzialmente al Cristianesimo paolino. In Kirkegaard troviamo invece la difesa intransigente e ad oltranza del valore del Cristianesimo contro quello del Paganesimo, laddove solo il primo è visto come luogo religioso di esplicazione di una tensione spirituale serissima e rigorosissima della colpa, che invece viene ritenuta mancare completamente nel secondo. Qui la religiosità è essenzialmente la dolente consapevolezza dell’immensa indegnità dell’uomo davanti a Dio e della miseria della condizione terrena che lo caratterizza. Qualunque gioia vitale è qui pertanto per definizione anti-religiosa. Ed infine in Nietzsche2 troviamo un nemico esplicito del Cristianesimo, con l’affermazione delle terribili colpe di quest’ultimo nell’abbattimento di un Paganesimo il quale, con la sua religione vitale e sensuale, garantiva l’unica e vera spiritualità sana possibile. Un discorso molto simile lo troviamo nell’altro filosofo tedesco, omonimo di un altro ben più famoso filosofo, e cioè Theodor Lessing3. Una delle tesi anti-cristiane di Nietzsche è peraltro quella che il Cristianesimo dottrinario più metafisicamente sofisticato non sia in realtà altro che una spregiudicata e cinica raccolta e copia di elementi pagano-ellenici (specie neo-platonici), i quali sarebbero stati innestati senza troppi complimenti sul tronco della religione giudaica. Secondo questa idea non vi è alcun Cristo (che sarebbe solo un’invenzione a tavolino), ma vi è invece solo un Gesù. E costui, a sua volta, non sarebbe stato altro che un buon diavolaccio, un uomo mite e senza pretese, una specie di hippy ante litteram, che a chi lo conobbe voleva solo insegnare il modo più piacevole e disimpegnato possibile di vivere.  Una tesi che può far storcere il naso, ma che, almeno per alcuni suoi aspetti, non è affatto priva di elementi di forte suggestione, se non di ragione. In ogni caso personalmente di questo tema ho parlato molto ed approfonditamente in due miei precedenti saggi4. Ed in essi, sulla base di un testo di mitografia (Gatto Chanu5), ho ricordato i  molti elementi di somiglianza esistenti tra diversi miti planetari ed il Cristianesimo. Pertanto il discorso del parallelismo tra Paganesimo e Cristianesimo può e deve muoversi lontano dal piano filosofico e molto più invece sul piano invece genuinamente mitografico. Prima di spostarci su questo piano va però menzionata però la suggestione aggiunta alla suggestione per mezzo della teosofia, e cioè con Steiner. Delle tesi del teosofo ho comunque già parlato in altre mie recensioni6. La sua idea è quella che il Cristianesimo rappresenti la tappa storica di una consapevolezza religiosa molto remota (risalente, almeno sulla terra, al tracollo della civiltà di Atlantide), che coincide con il Paganesimo greco-romano proprio perché già in esso si era differenziata un’idea antropomorfica del divino che, a sua volta, implica il concetto di incarnazione e quindi della profonda spiritualizzazione del mondo da parte del divino stesso. Ed il semplice affermarsi di tale idea nel suo complesso implica a sua volta necessariamente un successivo cammino ascensivo e contrario dell’umano-terreno in direzione del divino, che però deve passare necessariamente per la collaborazione impegnata dell’uomo alla completa spiritualizzazione del mondo. In altre parole qui la vita spirituale inizia a venire intesa come impegno nel mondo e non più come distacco ascetico. Tutto ciò avrebbe raggiunto il suo acme nel Cristianesimo ma avrebbe trovato tutte le sue premesse già nella religione pagana greco-romana, nella quale il cammino del puro Trascendente verso l’Immanente avrebbe trovato una sua tappa decisiva. Le tesi di Steiner sono sempre intrise di elementi estremamente fantasiosi, che lasciano per definizione perplesso il lettore più esigente e meno credulone, eppure bisogna dire che nel complesso questa tesi risulta estremamente convincente proprio perché essa sconfina in modo molto originale dai limiti di  un pregiudizio fin troppo diffuso circa il netto stacco esistente tra Paganesimo greco-romano ed il Cristianesimo e quindi circa un’insuperabile dissimilitudine tra queste due religioni. In tale tesi esistono pertanto molti punti di appoggio per l’idea che Dioniso e Cristo, se non sono una sola cosa, sono almeno due figure divine estremamente prossime. O almeno sono espressione entrambe di un unico spirito religioso.

Ma spostiamoci infine sul piano più puro ed elementare della mitografia, venendo così ancora una volta al Dioniso di Kerényi7, al quale abbiamo già dedicato un’altra recensione8. In questa recensione ho sostenuto la tesi di un’ipotizzabile conversione moderna al dionisismo nel senso della volgarizzazione dell’originale contenuto della religione dionisiaca, piegata alle esigenze dell’attuale edonismo consumista ed utilitarista. Ebbene, questo tema non mi sembra affatto  lontano da quello del rapporto tra Dioniso e Cristo così come emerge nel libro di Kerényi. Se infatti, come suggerisce Nietzsche, il Cristianesimo assomiglia fin troppo al dionisismo per non essere stato da esso direttamente contaminato, l’esito della così disinvolta operazione di maquillage usurpatorio che è ipotizzabile su tale sfondo (la supposta spregiudicata importazione occulta di materiali orfico-dionisiaci da parte del Cristianesimo nascente) non poteva che essere quello di una tremenda nemesi. Una nemesi in cui il dio che punisce è alla fine Dioniso e quello che subisce è invece proprio Cristo. Starebbe dunque accadendo che il Dioniso rinato nel mondo moderno si vendica sul suo fratello ed alter ego a causa di un sostanziale tradimento. Il tradimento ipoteticamente consumato da Cristo verso le sue vere radici religiose. Si delinea insomma uno scenario estremamente inquietante, che del resto è in straordinaria consonanza con le minacciose nubi che sempre più sembrano addensarsi sul mondo intero e sull’edificio stesso della Chiesa cristiana. Il tratto più generale di somiglianza tra dionisismo e Cristianesimo sta nel fatto, messo perfettamente in luce da Kerényi che il primo non è altro che una Religione della Vita.

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In questo articolo presenteremo al lettore i libri di due autori e nello stesso tempo la filosofia che ruota intorno ad uno spinosissimo tema storico.

Quello del nichilismo.

I libri sono “Il nichilismo europeo” di Martin Heidegger1, ed “Oltre la linea” di Ernst Jünger2.

Il libro di Heidegger era nato dalla revisione ed elaborazione, nel 1940, del ciclo di lezioni che egli, in piena guerra, aveva tenuto a Freiburg su Nietzsche.

Alla stesura di quest’ultimo volume partecipa di fatto anche Heidegger con lo scritto in forma di lettera indirizzata ad Jünger dal titolo “Su «la linea»” e che nell’edizione cui ci riferiamo compare nel capitolo intitolato “La questione dell’essere”. Questo scritto comparve nel 1955 nel volume pubblicato in onore di Jünger in occasione del suo sessantesimo compleanno.

Ma anche lo scritto di Jünger era comparso, sebbene anni prima, nel 1949, in un volume dedicato a sua volta ad Heidegger per il suo sessantesimo compleanno.

Era questo, come dice Franco Volpi nell’introduzione ad Oltre la linea, un momento cruciale della vita di Heidegger. Dopo che, in seguito ad una serie di alterne vicende, nel 1946 il Senato accademico dell’Università di Freiburg aveva decretato l’interdizione dell’insegnamento.

In seguito a questa sentenza il filosofo aveva attraversato l’inverno forse più terribile della sua vita e per poco non si era suicidato.

Evidentemente l’umiliazione aveva portato allo scoperto tutti gli errori che, pur nelle ottime intenzioni che lo avevano mosso, avevano comunque costellato la sua carriera. E questa profonda revisione di sé stesso e del suo pensiero senz’altro aveva fatto di lui un pensatore sensibilmente diverso da quello precedente.

Fino ad un certo punto però, perché proprio in questo suo confronto con Jünger egli non sembra affatto voler recedere da una certa ostinazione nel mantenersi su una posizione ideale che, se è ormai lontana dalla passione che seguì il suo famigerato discorso all’Università d Freiburg nel 1933, tuttavia sembra essersi raccolta in un gelido e piuttosto sprezzante demonismo, che gli impedisce del tutto di accogliere l’altra passione, quello del suo partner di dialogo, il quale pronuncia nel suo libro una chiara e netta condanna del nichilismo storico.

Perché proprio di questo si tratta con questi due libri, cioè della possibilità di comprendere il nichilismo affrontandolo e guardandogli in faccia, senza cioè rifiutarlo nettamente o fuggire davanti ad esso, oppure di tentare di giustificarlo, finendo per parlare semplicemente in suo nome.

Ma lo scopo di questa recensione è proprio quello di sottolineare l’aspetto più importante di tale questione, e cioè quello morale. Attraverso l’analisi critica dei due diversi approcci al nichilismo, quello di Heidegger e quello di Jünger, si tratta soprattutto di dare forza all’idea che non è possibile confrontarsi con il nichilismo senza condannarlo.

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