Queste riflessioni nascono da un articolo di Marcello Veneziani sul Giornale nell’imminenza dell’incontro calcistico della finale di Coppa del Mondo. Bravo Marcello ad aver colto lo spirito aleggiante tutto intorno a noi!
Ed inevitabile era ciò che tu preconizzavi! Anch’io naturalmente ho tifato Argentina e non Germania.
Ciò pur avendo con la Germania e con lo spirito del popolo tedesco una lunghissima consuetudine personale (testimoniata peraltro dall’aver un figlio con sangue per metà germanico), e pur avendo vissuto della Germania solo il meglio che essa può dare. Parlo dell’aver potuto far conoscenza con le straordinarie ospitalità, lealtà, trasparenza ed affettuosità del tedesco come amico intimo e come collega. E parlo dell’immenso fascino esercitato non solo dalla cultura tedesca nelle sue svariate forme ma anche dallo stesso, per così dire, “spirito tedesco”. Animato com’esso è da una profondità e raffinatezza di pensiero e sensibilità ed inoltre da una tensione e passione ideale che, pur nel loro tendenziale estremismo, sono assolutamente senza pari. Oltre a ciò mi sembra che perfino nel loro tradizionale così vituperato spirito militare, almeno così come si è nel passato manifestato nella storia, si lasci riconoscere uno spirito cavalleresco assolutamente impareggiabile. E quest’ultimo denota tuttora i loro costumi del tutto al di fuori del militare.
Ebbene, per tutto ciò io personalmente nutro una profondissima e sconfinata ammirazione.
Eppure la così naturale tenacia con la quale oggi i tedeschi, inclusi i migliori tra loro, sostengono la convinzione del loro diritto e dovere di farsi portatori di uno spirito di inflessibile rigore al quale tutti i popoli europei sarebbero tenuti strettamente ad attenersi, ricorda comunque troppo da vicino un’antica e nefasta rigidità del pensare e sentite per non suscitare sospetto, antipatia e rifiuto. Come è tipico del carattere tedesco, e com’è del resto spesso accaduto nella storia, la naturalezza (tanto da rasentare perfino l’ingenuità nel suo slancio ed afflato ideale) di tale tetragona convinzione si estende nella sua portata quasi indifferentemente dalla più alta nobilità d’animo, nel caso specifico un’etica ineccepibile nel suo rigore, fino alla più bieca e distruttiva abiezione.
Come ben scrive Marcello Veneziani, la loro è infatti di una vera e propria “oppressione”. E come lui stesso dice, la sfera di emozioni legata al calcio internazionale si è sempre prestata e si presta tuttora del tutto naturalmente a subire fortissimi influssi da questa sfera per così dire politico-morale.
Assolutamente nulla da stupirsi dunque se tutti in Italia abbiamo tifato per l’Argentina e contro la Germania. E da ciò che ho personalmente sperimentato in un paese come il Portogallo, direi che in fondo anche nel resto d’Europa le cose non sono andate diversamente. Di conseguenza è anche inevitabile pensare a questa così travolgente avanzata calcistica del tedesco come ad una sorta di rinnovato “rischio”.
Cos’è allora questo, insieme alla nuova coalizzazione degli animi europei contro la Germania di cui il calcio oggi si fa interprete?
È qualcosa che, ovviamente, ha un sapore estremamente antico e non certo piacevole. Tutti sappiamo benissimo cosa sia. E tutti dunque ne abbiamo istintivamente paura. Abbiamo paura degli antichi fantasmi da tutto ciò oggettivamente evocati e, nello stesso tempo, anche del fatto che noi stessi li abbiamo soggettivamente evocati. Abbiamo insomma paura anche di noi stessi nell’atto di aver nuovamente paura dei tedeschi e della Germania.
Ecco! Così sembra stiano le cose dopo che, una volta debitamente avvertiti da Veneziani, abbiamo visto accadere ciò che in qualche modo tutti si aspettavano (temevano), ed infine il sipario si è alzato sul trionfo tedesco (con Brandenburger Tor etc). Un trionfo, naturalmente, ben diverso da quello delle ultime coppe del mondo vinte dalla Germania. Cosa che non può nè deve assolutamente sfuggire!
Ora sarebbe troppo facile a tale proposito gettarsi a capofitto nel solito calderone ribollente dei giudizi e pregiudizi anti-tedeschi. Ed inevitabilmente le prime armi che ci ritroveremmo tra le mani sarebbero quelle, velenose, del commento sull’anti-semitismo e del tendenziale spirito aggressivo e spietato del popolo tedesco quando la sua autostima cresce oltre un certo limite. Naturalmente a porre il veto verso cose come queste vi sono mille segnali provenienti dalla società tedesca : ‒ la multiculturalità ormai acquisita, l’affermazione diffusa di anticorpi profondamente democratici capaci di opporsi a qualunque virus autoritario e nazionalista, etc. etc. Mettersi dunque a parlare di tutto questo mi sembra pertanto del fuori luogo rispetto al nucleo della questione, ed inoltre anche basso e volgare.
Il punto sta invece proprio in ciò che dicevo poc’anzi, e cioè in una certa auto-referenzialità soggettiva ed emozionale del sentimento antitedesco diffuso in Europa e specificamente in Italia. E comunque del tutto così naturalmente rinfocolata dagli eventi di questi mondiali di calcio da ritrovare perfino una certa dose di oggettività. Con ciò non intendo affatto dire che a tali sentimenti manchi in sè una base oggettiva. Anzi sostengo l’esatto contrario. Il fatto è però che in qualche modo gli attori principali in tutta questa faccenda non sono i tedeschi ma siamo invece proprio “noi”. Con questo “noi” posso intendere “gli europei”, ma prima di tutto devo intendere noi italiani.
Il problema è insomma la ricaduta che la “questione tedesca”, ripostasi ora nei termini finora esposti, ha sulla nostra identità nazionale di italiani. Identità che, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, non può che soffrire, e molto, in un confronto che da sempre ci vede perdenti, ma ora ci vede addirittura perdenti con un distacco divenuto praticamente intollerabile e pertanto dolorosissimo.
È sullo sfondo di tutto ciò che bisogna chiedersi cosa sono e cosa significano per noi, in tale costellazione, i tedeschi e la Germania. Ma così emergerà anche inevitabilmente la questione del cosa sono gli italiani e l’Italia per i tedeschi. In tali termini insomma la questione è molto reciproca. In qualche modo lo è sempre stata.
In tale contesto si pone soprattutto una questione che, tra le altre, occupa un ruolo veramente centrale.
Emerge cioè proprio qui la realtà della profondissima trasformazione della società tedesca prima in seguito alla sconfitta militare ed alla distruzione, e poi in seguito alla riunificazione nazionale (o meglio al definitivo superamento dei problemi enormi connessi a quest’ultima). A me personalmente la seconda è apparsa di portata ben maggiore della prima. Fino all’avvenuta digestione della riunificazione, infatti, i tedeschi non erano di certo più quelli che i nosti antenati avevano conosciuto ma erano comunque più o meno sempre gli stessi di prima. Dopo invece le cose non sono state più cosi. Basta infatti aggirarsi oggi nei luoghi in cui i tedeschi giungono come turisti per dover prendere atto di una mutazione quasi antropologica e genetica nel loro modo di essere. Tutta la fastosità dell’esteriore che fino a pochi decenni orsono era lontana anni luce dal loro modo di essere, ora invece appartiene loro pienamente. E giù allora look scanzonati ed indiavolati, scherzosi ed in linea con i trend più accorsati della moda e del glamour più esibizionista e trasgressivo. Insomma è proprio necessario usare questi anglicismi di immediata comprensione collettiva per dire che i tedeschi sono profondamente cambiati. Così cambiati che non sembrano più nemmeno tedeschi.
Chi sembrano, allora? Sembrano, si direbbe, degli italiani! Si proprio così.
Lo prova del resto la festa per la vittoria al Brandenburger Tor. Tripudio nazionalistico sì, ma soprattutto scanzonata allegria. Anche questo molto italiano, oltre che insopportabilmente cafone (come del resto le stesse adunate oceaniche di Hitler).
E che significa questo?
Significa che è giunto a compimento un processo in atto già da molto tempo e che riguarda proprio gli stretti legami di reciprocità che nel bene e male hanno sempre unito i nostri due popoli. Aldilà dei pur comprensibili sentimenti di rancore e perfino disprezzo (oltre che di senso di colpa) che potevano animare i tedeschi verso di noi dopo la guerra, almeno dal boom economico italiano in poi essi ci avevano comunque appassionatamente amato ed ammirato. Essi ci ammiravano per il nostro stile di vita, ed in particolare per la nostra capacità di “goderci la vita”. Una capacità che essi, animati per natura da uno spirito austero, prudente e ben più rigorosamente razionale del nostro, non riconoscevano a sè stessi. Ma fatto sta che dentro questa nostra capacità di “vivere bene” c’era comunque anche quell’allegra e festosa disinvoltura che ha portato il nostro paese allo stato miserevole in cui si trova adesso, e cioè alla disintegrazione ed al collasso. E così, dall’Euro e soprattutto dalla Merkel in poi, i tedeschi hanno preso ad avercela con noi per il fatto che ci mangiavamo allegramente oltre i nostri soprattutto i loro soldi. E così l’ammirazione si è trasformata in indignazione ed inoltre nel desiderio di una ritorsione in termini di severa giustizia. Ecco dunque la spietatezza oppressiva del loro rigore.
In qualche modo anche questa volta (così come dall’8 Settembre in poi) non è che si possa dare del tutto torto ai tedeschi. Quello che noi abbiamo fatto a noi stessi ed ai nostri partner è infatti un’evidenza inoppugnabile. Fatto sta che essi non sono mai stato un popolo che solo subisce. E così, dopo avere, grazie alla Merkel ed al potere delle loro banche (oltre che, ovviamente, alle indubbie virtù civiche di un intero popolo), volto infine l’ago della bilancia della storia (specie finanziaria) di nuovo a loro favore, i tedeschi si sono presi su noi italiani una rivincita ancora più grande e crudele di quella militare del dopo 8 Settembre. Essi ci hanno infatti superato proprio in capacità di godersi la vita. E peraltro in modo ben più coerente ed efficace del nostro : ‒ cioè con le tasche piene, in primo luogo (e cioè su una base ben più solida di quella del tutto effimera su cui poggiava invece il nostro benessere di scanzonato popolo latino), ed in secondo luogo, con il coltello di nuovo dalla parte del manico.
Non parlo ovviamente qui dei mezzi produttivi, sociali e civili con i quali i tedeschi hanno raggiunto tale risultato, cosa in cui è ovvio che non hanno potuto imitare di certo noi (altrimenti il fallimento sarebbe stato sicuro).
Questa mi sembra la costellazione socio-politico-economica, morale e di costume entro la quale si pone il trionfo calcistico germanico entro l’attuale stato storico della “questione tedesca”. Almeno per quanto riguarda noi italiani ed i rapporti storici che i tedeschi hanno da sempre intrattenuto con noi. In fondo però in una maniera poi non tanto diversa da quella che può caratterizzare la posizione di altri tradizionali popoli europei (francesi, spagnoli, portoghesi, greci, inglesi, olandesi …)
Ebbene cosa può significare tutto questo almeno per noi italiani?
In negativo è veramente difficile dirlo, e ciò soprattutto perchè molto probabilmente (c’è da augurarselo!) non vi sarà alcun conseguente scenario negativo. Nè nel senso del mero costume (qui il calcio) nè nel senso di una possibile extrapolazione da questa sfera a quella politico-morale.
In positivo però credo che possiamo (e forse dobbiamo) dedurre da tutto questo una grande lezione per noi. Tra l’altro proprio per quella che è l’identità stessa del nostro popolo.
Ebbene, anche qui delle tantissime possibili questioni sul tappeto conviene sceglierne solo qualcuna. Ed avverto da subito il lettore che qui porrò solo domande senza tentare alcuna risposta.
Innanzitutto ci si dovrebbe chiedere se il culto di un’allegra esteriorità possa essere davvero un modello di vita universale al quale ispirarsi? Tale questione di per sè ci porterebe fuori strada, ma conviene comunque lasciarla sullo sfondo. Pertanto ciò che vale più la pena di chiederci è se abbiamo fatto veramente bene a lasciare che l’immagine del nostro popolo divenisse un esempio per gli altri proprio in questo modo così superficialmente edonistico. E con ciò intendo non solo la sventata scanzonatezza ma anche il fin troppo grande valore da noi attribuito a cose come il “doc nazionale” nel mangiare, bere, vestire ed in generale divertirsi. Guardando indietro a tutta la nostra straordinaria storia, possiamo con tutta coscienza dire che risiede veramente in questo il valore di ciò che è “italiano”?
Ma c’è un’altra questione che è speculare a questa, e riguarda da vicino quell’identità tedesca che negli ultimi tempi sembra essersi modellata così plasticamente sulla nostra.
Ebbene, è accettabile e credibile che un paese che fino a poco fa (al di là delle scintillanti punte di diamante dell’efficienza e della potenza) era la noia ed il grigiore personificato in tutti i sensi ‒ un paese in cui un “latino” non poteva e non può non sentirsi profondamente a disagio nel cogliere inevitabilmente in esso, al di là di tutte le possibili apparenze, quelle etiche e quelle non etiche (ossia proprio quelle che oggi rendono attraente la sola facciata della realtà germanica), la fatale mancanza di ciò che si può definire come “il sale della vita” ‒ sia divenuto da un momento all’altro il polo attrattivo di vastissime aspirazioni edonistiche? Quelle dei tedeschi e quelle dei non tedeschi, che ormai affluiscono in massa in questo paese, e non più con la valigia di cartone bensì con tanto di laurea in tasca e di notevole qualificazione professionale.
Ebbene tutto ciò, unitamente alla stessa infatuazione per gli italiani, volta poi a proprio favore dei tedeschi, ha l’aria di essere solo un colossale bluff. Che forse, come tutti i bluff, potrebbe prima o poi avere un naturale esito tutt’altro che piacevole.
Ora, rispetto a Germania-Argentina ed a tutta la ridda di sentimenti scatenati da tale evento, è forse proprio perchè intuiamo tutto questo che ci sentiamo impauriti o almeno infastiditi dal profilarsi davanti al nostro sguardo del possibile nuovo montare di una “prosopopea” tedesca? Qualcosa che, per le circostanze nuove di zecca con cui si presenta, non può che essere per noi del tutto sconosciuta (e ciò fino al punto di poterci sorprendere nel tempo perfino positivamente), ma nello stesso tempo non può non essere da noi anche ben conosciuta.
Ora, al di là del cupo scenario dell’ipotizzabile rinascere del peggio dello spirito tedesco (così come si è manifestato nella storia), cosa di per sè banale ed inoltre intellettualmente in fondo anche volgare, non sarà forse che quanto ci mette a disagio è proprio l’inautenticità di tutta questa costellazione (rispetto alla quale sorge così naturalmente il sempre saggio sospetto del “troppo bello per essere vero”)?
Ebbene, un volto di ciò è la scarsa credibilità, ed in fondo anche non germanicità, di quel nascente edonismo tedesco che è in sè così “italianorso” che appare essere semplicemente fin troppo sopra le righe. Se i tedeschi sono belli e buoni, è in fondo proprio per il rigore ascetico della loro straordinaria profondità, nobilità e purezza d’animo, e ciò esclude in termini qualunque esteriorismo edonista e superficiale. E ciò che è sopra le righe è come tale inquietante, per il fatto che allude fortemente ad un successivo tragico sgonfiamento di troppo facili entusiasmi.
Un altro volto di ciò è l’assoluta ed evidente non eticità di quell’oppressione finanziario-politica (messa appunto in luce da Veneziani) che è inquietantemente collaterale a tutto questo. Essa, alla luce di tutto quanto detto, appare essere dunque proprio il sottoscala o il trascurato pezzo di terreno dietro casa (lo dicono gli stessi tedeschi : ‒ “Vorne hui, hinten pfui!”, cioè “Davanti da urlo, e dietro da far schifo”) o la stanza di Barbablù o anche l’armadio abitato da scheletri, di tutto questo scintillio edonista ed esteriorista al quale è poi così difficile credere in quanto così poco tedesco.
Ed allora appare essere forse proprio questo lo scenario da tener primariamente presente affinchè in tutta questa questione si mantenga quel minimo di serietà ed equlibrio che è degno di uomini intelligenti e prudenti. Al di là di fin troppo facili giudizi e pregiudizi, dunque, ciò che conta è che, nel generale bagno di euforia e contro-euforia interessante tedeschi da un lato ed “il resto del mondo” (tra cui noi italiani) dall’altro lato, non si perda di vista quel primario interesse per l’etica politica e sociale del quale soprattutto ci si dovrebbe interessare.
La Germania ed i tedeschi possono essere tutto quello che vogliono, o possono anche essere tutto quello che si vuole che siano (nel bene e nel male). Ma fatto sta che gli apparati più potenti e più indiscriminati della loro società stanno oggi in ogni caso sfruttando vergognosamente quest’intera situazione per realizzare in Europa quello che il peggiore apparato occulto turbo-capitalista sta intanto realizzando in tutto il mondo in spregio dei più fondamentali e minimi valori morali ed umanistici (non classificabili nè come “di sinistra” nè come “di destra”). Dire che si tratta di sangue, sudore e lacrime è veramente poco.
Che significherà allora, in tale così sinistro e cupo scenario di fondo, il trionfo calcistico tedesco e la sua ricaduta sulla considerazione di sè stesso di un intero popolo? Non credo che nè noi italiani nè nessun altro popolo possa e debba rispondere a tale domanda. Sono i tedeschi stessi a doverlo fare. E però con estrema onestà, acutezza e lungimiranza! Cioè senza ingenuità nè in senso minusvalico che in senso plusvalico, e senza nemmeno alcuna leggerezza di facciata.
In un certo senso noblesse oblige!
Alexander Lernet-Holenia, un austriaco ma pur sempre tedesco, mise in bocca ad un ripugnante personaggio nazista di uno dei suoi racconti (“Il venti di luglio” ‒ vedi la recensione in questo blog) le parole che fanno capire effettivamente cosa significa “essere tedeschi”. Tali parole, per quanto farneticanti e piene di odio e violenza (se non di follia), ci insegnano che essere tedeschi è effettivamente una responsabilità ineludibile. Lo è per il massimo e per l’ottimo e per il minimo e per il pessimo. Si tratta insomma di un onore ed insieme di un onere. Qualcosa che insomma non ammette elusioni. E la così poco credibile scanzonatezza nel trionfo da parte dei tedeschi è di certo un modo per eludere troppo facilmente questa responsabilità.
Si tratta insomma di qualcosa che, proprio nella fortuna e nel trionfo, essi ci debbono sia per il peggio che li ha caratterizzato nella storia sia per l’altissimo meglio che nello stesso tempo sempre li ha caratterizzati.
Ma i tedeschi di oggi, così polarizzati come sono dal nuovo modo di essere che vogliono li caratterizzi, ormai solo nel bene e non più invece nel bene e nel male, lo sanno veramente questo? La disinvoltura con la quale essi vogliono ignorare l’oppressività feroce dell’apparato politico-finanziario che ha intanto restituito loro per intero la fierezza e la potenza di una volta insieme all’innocenza (entro un sistema che ha permesso tra l’altro anche il trionfo sportivo di oggi) lascia sospettare che non sia così.
Il ghigno così insopportalmente tedesco, e solo a volte bonario, della Merkel lo dimostra del resto in pieno.
Dunque affacciamoci alla finestra della storia e stiamo a vedere cosa accadrà.
Più darsi che queste siano solo considerazioni di un ormai-disadattato storico, ma chissà forse esse si prestano comunque ad essere condivise.
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