Scopo principale di questo articolo è quello di dilatare e differenziare (in termini critici) – senza però assolutamente volerla negare – l’usuale piuttosto scontata collocazione del pensiero steiniano nella scia della Fenomenologia husserliana. Questo tentativo rientra in una serie di ricerche da noi intraprese negli ultimi anni (successivantemente al tema del possibile platonismo del pensiero steiniano trattato nella nostra tesi di dottorato in filosofia), che hanno teso a discutere criticamente soprattutto l’effettiva continuità tra la Fenomenologia husserliana ed il pensiero steiniano nella sua ultimissima fase mistica . Tuttavia la maggior parte delle nostre considerazioni su questo tema sono raccolte in un saggio non ancora pubblicato che qui menzioniamo solo in una sua presentazione sintetica .
Orbene la lettura di Psychologie der Weltanschauungen (PWA) di Karl Jaspers ci è sembrata un’ottima occasione per trattare almeno una parte del tema che ci siamo preposti di indagare. Dobbiamo qui però precisare che non ci riteniamo affatto dei conoscitori approfonditi del pensiero jaspersiano, e quindi nostro intento non è affatto quello di approssimare il pensiero della Stein a quello di Jaspers nel suo complesso. Intendiamo invece riferirci unicamente all’opera appena menzionata. Tuttavia quest’ultima ci è sembrata di particolare importanza sostanzialmente per due motivi: 1) essa segnò di fatto il passaggio del pensatore dall’impegno in medicina (psichiatria) a quello in filosofia, e quindi in qualche modo convogliò in quest’ultima disciplina una serie di preziosi punti di vista che sono presenti entro la formazione ed esperienza medica; 2) lo sforzo fatto da Jaspers in quest’opera fu, almeno a nostro avviso, quello di relativizzare fortemente le aspirazioni della filosofia moderna ad una «riduzione trascendentale»; il che avvenne sulla base del suo ricorso ad una psicologia che non è però affatto quella empirica, ma invece vuole essere realmente una «scienza fondamentale» con l’ambizione di portare ordine non solo nella scienza in generale ma anche nella stessa filosofia. Anzi, come vedremo più avanti, essa venne di fatto considerata da Jaspers come una vera e proprio nuova filosofia; e precisamente una filosofia non scientifica. Ad essa poi corrisponde una Fenomenologia sostanzialmente “ermeneutica” , che per questo motivo va considerata in sostanziale linea con le tesi di Heidegger
E va qui subito precisato che la tesi di Jaspers è tutta incentrata sul ricorso alla psicologia (invece che alla filosofia) – sebbene profondamente rivista (secondo quanto vedremo più avanti) – come risorsa per ottenere uno sguardo davvero omni-comprensivo e fondante sulla totalità delle forme di conoscenza umana.
Quest’ultimo aspetto ci sembra si presti perfettamente in primo luogo ad emettere un giudizio di valore complessivo sulla primaria ambizione della Fenomenologia husserliana (e conseguentemente della stessa Fenomenologia steiniana), e cioè quella di fondare una scienza filosofica che sia in grado di offrire un solido fondamento alle scienze empiriche. Inoltre, nell’ambito di tale atto critico, ci sembra che l’aspetto appena menzionato si presti perfettamente a relativizzare l’aspirazione della Fenomenologia husserliana a costituire di fatto l’unica prospettiva di tipo «fenomenologico» che fosse disponibile in quel tempo per portare a compimento l’ambizione appena menzionata. Orbene, tenuto conto dell’evidente sforzo steiniano di distanziarsi dagli stretti limiti della Fenomenologia husserliana (pur restando comunque ad essa nel complesso fedele) – sforzo decisamente testimoniato dal suo approdo ad una metafisica religiosa sempre più mistico-contemplativa che certamente non era prevista nel pensiero di Husserl –, e tenuto conto anche del fatto che parte di questo sforzo puntava verso un realismo filosofico-metafisico anti-idealistico (che intanto la approssimò fortemente ad altre forme di Fenomenologia come quella di Max Scheler) , ci sembra estremamente opinabile che nella visione steiniana vi siano non pochi elementi per il possibile (o almeno tendenziale) intento di allargare l’intendimento di Fenomenologia ad un ambito molto più ampio di quello contrassegnato dalla dottrina di Husserl. Ed in effetti la lettura della menzionata opera di Jaspers ci ha offerto molti indizi in tal senso, unitamente però anche ad elementi che relativizzano lo stesso intendimento steiniano di Fenomenologia.
In conclusione va detto che anche altri Autori (vedi nota 14: Moran) hanno preso in considerazione la possibile approssimazione tra la Stein e Jaspers; sebbene (per quanto ne sappiamo) non vi sia traccia di un’eventuale frequentazione tra i due pensatori (diversamente da quanto avvenne invece con Husserl).
Per questo motivo, dunque, la nostra ricerca sembra avere un suo preciso fondamento
I- Jaspers e Stein in generale.
Pertanto – al netto di queste considerazioni introduttive – una volta esclusa l’ipotesi improponibile di una prossimità Stein-Jaspers che sia in contraddizione con la ben più comprovata prossimità Stein-Husserl –, speriamo che il confronto del pensiero steiniano con le osservazioni fatte da Jaspers ci possa permettere perlomeno di collocare la visione della nostra pensatrice in uno scenario (storico-filosofico e dottrinario) nel quale la Fenomenologia non venne affatto rappresentata solo da Husserl.
Per essere più precisi al proposito bisogna considerare quanto segue.
In primo luogo, a fronte della così decisiva iniziale formazione psicologica della Stein (a Breslau con Hönigswald), vi è da chiedersi se la pensatrice non avrebbe potuto considerare proprio Jaspers (a quel tempo attivo come docente ad Heidelberg) come suo punto di riferimento filosofico qualora lei non avesse invece già scelto di rivolgersi ad Husserl a Göttingen. E vedremo poi che per questo vi sono sostanziosi indizi se si considera quale posizione assunse Jaspers, come fenomenologo, di fronte a concetti come quello di un «mondo fuori di noi».
In secondo luogo – a fronte della perenne diatriba circa la perdurante filosoficità e fenomenologicità del pensiero steiniano in fase mistica – Jaspers appare essere l’unico (in campo filosofico) che offra gli strumenti per un giudizio davvero imparziale e oggettivo sulla natura del pensiero steiniano in questa fase. Questo perché la mistica viene da lui classificata psicologicamente e non invece filosoficamente, cioè al di fuori di qualunque anche minimo residuo di inderogabile giudizio critico demolitorio ed esautorante. Anticipando in parte il commento a quanto afferma il nostro pensatore , ricordiamo qui che egli non sembra vedere alcuna difficoltà nel considerare il Dio della mistica come un legittimo oggetto di conoscenza, sebbene esso non abbia nemmeno minimamente i crismi di ciò che Husserl considerava come un ragionevole oggetto di conoscenza (in quanto esistente sebbene solo come oggetto mentale). In base a ciò possiamo dunque dire che, tenendo presente quanto dice Jaspers, possiamo considerare con una molta maggiore libertà, equanimità e fedeltà quel distanziamento della Stein da Husserl che intanto (a nostro avviso) emerge in maniera così oggettiva nel seguire il percorso del lei pensiero. E che però la critica mainstream si ostina così dogmaticamente a negare o relativizzare.
Il terzo luogo va considerato che la relativizzazione della filosofia alla psicologia emerge con estrema chiarezza laddove Jaspers discute le aspirazioni metafisiche che sono sempre state proprie della filosofia, ossia l’aspirazione di quest’ultima disciplina all’Assoluto come rappresentazione e spiegazione ultima dell’Essere . E qui diviene chiaro anche quale sia la Fenomenologia che da lui viene concepita (incentrata com’era nella psiche, o anima e mente, e non invece nella coscienza filosoficamente definita). Con tutto ciò impallidiscono decisamente le aspirazioni al trascendentale di Husserl, e conseguentemente la sua Fenomenologia viene fortemente relativizzata nelle sue più assolute aspettative. Jaspers sembra infatti considerare la psicologia filosofica (e non la pura filosofia) come l’orizzonte davvero ultimo per la comprensione del senso delle cose. Tanto è vero che pare egli considerasse la PWA come una “struttura trascendentale” della psiche umana . E con ciò va intesa quella naturale e generale tendenza a produrre una “Weltanschauung” (WA) sulla quale riposa poi qualunque tipo di personale visione del mondo (che essa sia fisiologica o patologica). Come tale si tratterebbe quindi di quell’”a priori esistenziale” (che riscosse l’incondizionato plauso di Heidegger), con il quale va intesa una dimensione psicologica inscindibilmente legata alla dimensione esistenziale del singolo soggetto, ossia al suo specifico modo di «essere al mondo».
Il che poi è molto diverso da un Io trascendentale astratto, universale e collettivo; che si pretende travalichi il fattuale Io psicologico in quanto Io-esistente. Orbene, almeno in questo senso, va riconosciuto che in definitiva la Stein davvero restò sempre all’ombra di certe aspirazioni husserliane. Infatti, anche nella fase mistica del suo pensiero, le sue aspirazioni filosofiche restarono in continuità con la complessiva tendenza filosofica ad avere l’Assoluto come proprio oggetto. E speriamo di poter dimostrare questo attraverso l’analisi testuale che faremo più avanti.
La questione che affrontiamo in questo articolo non è quindi quella del se la Stein fu eventualmente più prossima a Jaspers che non ad Husserl (specie nel suo pensare metafisico). La questione è invece, semmai, quella del se la sola Fenomenologia di Husserl (specie a causa del suo atteggiamento verso la metafisica) possa davvero esaurire completamente la collocazione del pensiero steiniano entro un orizzonte che intanto vide anche ben altre prese di posizione di tipo fenomenologico. E nel caso di Jaspers si tratta di una presa di posizione fenomenologica che rende plausibile proprio un percorso metafisico e mistico che travalichi nettamente i limiti della filosofia.
Ma proprio questo fu ciò che accadde (almeno a nostro avviso) allorquando la Stein – dopo il momento più maturo della sua riflessione filosofico-religiosa (corrispondente alla seconda metà di Endliches und ewiges Sein, EES) – si rivolse decisamente verso un pensiero che aveva come proprio primario oggetto più la mistica che non la filosofia. Ammesso dunque che in questa fase ella restasse comunque nel contesto di un pensare fenomenologico, non è però più affatto sufficiente (per spiegare questo) una Fenomenologia che restava comunque entro i più stretti limiti della filosofia. Quindi inserire anche Jaspers nel complesso e multiforme scenario della Fenomenologia del tempo in cui operò la Stein ci aiuta ad osservare il di lei pensiero in maniera molto più oggettiva; sfuggendo così peraltro anche al piuttosto ozioso problema (spesso astioso e fazioso) del suo ininterrotto e diretto rapporto di continuità con Husserl. In effetti (che sia stato in maniera positiva o negativa, diretta o indiretta, esplicita o implicita) sembra proprio che il pensiero steiniano si lasci relazionare di fatto con tutte le forme di Fenomenologia del tempo.
E a noi sembra che esso possa venire debitamente compreso solo tenendo conto anche di questo.
Si tratta insomma di una dovuta relativizzazione e sdrammatizzzazione della questione della sua continuità con il pensiero di Husserl. Peraltro in questo stesso capitolo (vedi nota 8) Jaspers relativizza fortemente l’intero percorso filosofico al quale si rifecero Husserl ed anche la Stein (almeno prima della sua fase mistica), definendolo come “panlogismo” o “razionalismo” (la presunzione che lo Spirito o Logos o Ragione sia l’origine della realtà) e considerandolo affatto autenticamente e veritieramente filosofico ed oggettivo ma invece appena relativo e soggettivo.
Pertanto diremmo che nel complesso, tenendo in considerazione anche Jaspers (e non solo Scheler o magari lo stesso Heidegger) nella valutazione complessiva del pensiero steiniano, può venire colta l’occasione di collocare la pensatrice nella corrente di un pensiero fenomenologico para-husserliano che intravvide ben altre dimensioni dell’essere ed inoltre intravvide ben altri metodi per avere un approccio fondante alla conoscenza dell’essere ed infine alla coscienza. Nel caso di Jaspers si tratta di una psicologia che può venire considerata «fenomenologica», ossia una psicologia con i caratteri di una filosofia che aspira fortemente alla fondamentazione della conoscenza (e ciò con lo scopo primario di ritrovare il senso delle cose). Si trattò quindi di una filosofia interessata ad una amplissima visione globale dell’essere ed anche ad una sorta di (per così dire) «riduzione trascendentale». A nostro avviso si può considerare tale lo sforzo di riduzione della molteplicità di dottrine al fattore elementare- fondamentale che è rappresentato dalla tendenza del soggetto a sviluppare un punto di vista, e cioè una “visione del mondo” (“Weltanschauung”). Cosa alla quale corrisponde poi sempre puntualmente, al polo oggettuale, una relativa “immagine del mondo” (“Weltbild”). È evidente che, una volta postotutto questo, non ci si può aspettare alcuna visione filosofica del mondo che sia radicalmente omni-comprensiva e quindi assoluta, così come non ci si può aspettare più nulla da assolutizzazioni filosofiche del mondo nei termini di un idealismo o realismo. Ciò che Jaspers intende mostrarci (per mezzo del ricorso alla psicologia) è pertanto unicamente la collezione più sistematica possibile di tutte le possibili visioni soggettive del mondo, alle quali corrispondono poi le conseguenti immagini oggettuali del mondo stesso. Si tratta però evidentemente appena di una molteplicità di prese di posizione tutte relative e nessuna assoluta.
Ebbene, una volta delineato tale contesto, si può focalizzare con più precisione e cognizione di causa l’attenzione del critico sul superamento steiniano dell’idealismo husserliano nel contesto del famoso Excursus sull’idealismo trascendentale , e cioè l’individuazione di un legittimo mondo oggettuale esistente anche in assenza di coscienza, ossia un mondo esteriore indipendente che abbia i caratteri di un effettivo «mondo fuori di noi». Tale approdo filosofico-metafisico steiniano segnò un momento di svolta davvero cruciale, che senz’altro collocò la pensatrice nel versante più realistico della Fenomenologia del tempo – caratterizzato da svariati aspetti: le opinioni dei diversi discepoli che si erano opposti all’idealismo husserliano (tra i quali in particolare Hering e la Conrad-Martius), la tesi steiniana dell’approssimabilità della Fenomenologia all’onto-metafisica tomista (mai accettata da Husserl), le dottrine fenomenologiche divergenti come quelle di Scheler e Heidegger, ed infine forse anche alcuni aspetti del realismo proprio dell’onto-metafisica neotomista (rappresentata tra gli altri da quel Maritain che la Stein conosceva personalmente) . Ed al proposito va di nuovo tenuto presente che Jaspers fu molto vicino ad Heidegger . Jaspers però aggiunge elementi che permettono di gettare uno sguardo anche oltre questa classica contrapposizione idealismo-realismo che alla fine rischia di costituire uno scenario interpretativo non solo molto angusto ma alla fine dei conti anche piuttosto sterile. Idealismo e realismo sono infatti due posizioni filosofiche che, almeno in via di principio, contano entrambe su solidissimi argomenti. E pertanto la perenne lotta tra di esse non ha alcuna possibilità di vedere una fine.
Ebbene nulla più dell’insistenza del nostro pensatore sulla crucialità della presa di posizione soggettiva (senza la quale non vi sarebbe alcuna WA e quindi nemmeno alcuna filosofia) suggerisce in via di principio un idealismo filosofico. E quindi si potrebbe pensare che anche la sua Fenomenologia debba venire alla fine ridotta a tale elemento. Eppure non è affatto così, perché ciò sarebbe vero solo sul piano filosofico, ma non è affatto più vero sul piano psicologico. Dunque, proprio nel porre la psicologia prima della filosofia – e quindi affermando la crucialità della posizione soggettuale unicamentenei termini di un fattore di relativizzazione delle stesse prese di posizione idealistiche (in quanto esse costituiscono appena una delle tante tendenze conoscitive che sono implicate dalla del tutto naturale relazione tra soggetto ed oggetto comportata dall’esistenza di una mente, e come tale contemplata dalla psicologia prima ancora che intervenga qualunque sovrastruttura filosofica) –, Jaspers ci fa comprendere che l’idealismo non può affermare nulla di decisivo e di ultimo circa l’essere. Cosa che del resto è vera anche per il realismo.
Ecco allora che tutto quanto (in termini di conoscenza) viene prodotto dalla mente può venire osservato dal versante puramente soggettuale (come WA), oppure, con pari diritto, anche dal versante puramente oggettuale (come “Weltbild”; WB). Resta intanto vero che tutto ciò risale all’esistenza di un soggetto. Ma ciò avviene in ragione di una necessità puramente psicologica (l’esistenza indubitabile di una mente in quanto anima o psiche, con la sua struttura e la sua funzione) e non invece in ragione di una necessità filosofica, ovvero in ragione del riconoscimento (per via filosofica) di una sostanza (soggetto o oggetto) che spieghi l’essere in maniera ultima, ossia oggettivamente assoluta. Ed in tal modo decadono insieme idealismo e realismo, così come anche l’aspirazione tutta filosofico-fenomenologica husserliana ad una «riduzione trascendentale» quale metodo per mettere al sicuro la conoscenza.
Orbene, tenuto conto di tutto ciò, è evidente che la presa in considerazione di Jaspers permette di relativizzare non solo la complessiva Fenomenologia husserliana (con la sua impronta così idealistica) ma in via di principio anche quella steiniana (con la sua impronta tendenzialmente realistica). Tuttavia proprio per questo l’introduzione del fattore Jaspers dimostra anche che, nel giudicare globalmente il pensiero della nostra pensatrice, non si deve affatto guardare solo agli sforzi da lei compiuti a causa della sua insoddisfazione per l’idealismo husserliano, ma si deve anche guardare ad una sua presumibile tensione in direzione di una Fenomenologia ben più ampia. E probabilmente le vaste riflessioni svolte da Jaspers sulla metafisica – nel libro da lui esaminato in un capitolo specifico ma anche in scritti dedicati specificamente a questa disciplina – ci mostrano che nella fase mistica del suo pensiero la Stein giunse a toccare la riflessione su un “fenomeno” (l’Assoluto divino) che costituisce un’oggettualità mai ben comprensibile tanto nell’approccio idealistico quanto in quello realistico. Il che comporta poi anche un certo superamento del complessivo orizzonte filosofico della conoscenza dell’essere. Ed al proposito va detto che uno dei più grandi meriti di Jaspers (almeno in base allo studio dell’opera da noi analizzata) appare essere quello di aver mitigato tangibilmente gli effetti di quell’anti-psicologismo filosofico che anche la Stein aveva condiviso appassionatamente con Husserl.
Ebbene, proprio in tal modo Jaspers sembra aver portato ordine (nel contesto di una forte relativizzazione del valore della classica filosofia) in una serie di concetti e prese di posizione (organizzanti e classificanti) della disciplina che riguardano soprattutto la teoria della conoscenza. Dopo la sua opera noi sappiamo dunque molto meglio cosa possiamo davvero aspettarci dalla filosofia e cosa invece no. Su questa base, quindi, noi possiamo comprendere molto meglio quale fu (almeno tendenzialmente) la posizione della Stein, nella fase mistica del suo pensiero, non solo nei confronti della Fenomenologia ma anche nei confronti della stessa filosofia in generale.
Inoltre c’è da considerare che la riflessione di Jaspers introduce un elemento critico di forza davvero molto grande nel giudizio complessivo sul valore dell’approccio rigorosamente filosofico. Tale elemento consiste non solo nella relativizzazione delle aspirazioni della filosofia a fornirci un’immagine assoluta e conclusiva del mondo (e dell’essere), ma anche (e forse soprattutto) nell’affermazione della necessità di risalire dalla visione oggettiva del mondo esposta dal filosofo alle caratteristiche specifiche della sua personalità (in quanto origine di una presa di posizione soggettiva che deve essere giocoforza relativa). Una trattazione molto estesa e sistematica di questo aspetto può venire ritrovata laddove il pensatore analizza le visioni dei vari filosofi nella forma di –ismi, ossia prodotti di “tipi spirituali” (i filosofi stessi), a loro volta relativi alle visioni del mondo che essi hanno voluto affermare . Ebbene ciò (grazie ai precedenti studi medici e psicologici di Jaspers) non esclude ovviamente nemmeno il riconoscimento di una dimensione psico-patologica (o addirittura francamente psichiatrica) della presa di posizione attribuibile a quella determinata personalità di filosofo. Il che rappresenta poi un ulteriore fortissimo elemento di relativizzazione dell’effettivo apporto offerto dai singoli pensatori alla conoscenza del mondo e dell’essere.
Orbene, a noi sembra che non vi sia stato uno solo filosofo al mondo la cui visione non possa venire «giudicata» (e così inevitabilmente relativizzata nella sua oggettiva rilevanza) in base ad un’analisi psico-patologica della sua personalità . E tuttavia ciò vale in maniera ancora maggiore per Husserl.
E tuttavia ciò vale in maniera ancora maggiore per Husserl. Infatti, proprio inquadrando così dogmaticamente il pensiero della Stein in quello di Husserl, si tende a non considerare due aspetti oggettivamente piuttosto problematici del suo complessivo pensiero.
Il primo è l’introduzione (non facile da spiegare) di una tendenza idealistica in un metodo che inizialmente sembrava voler puntare ben più direttamente alla “cosa stessa” nella sua pienezza ontologica (“die Sache selbst”). Il secondo è un apparato di minuziosissime descrizioni delle strutture di coscienza (ossia di fatto della mente) che in termini analitici sono senz’altro di inestimabile valore, ma dall’altro lato rischiano di costituire anche un’immensa (e forse non del tutto utile) complicazione nello studio della mente. Cosa che vale senz’altro in primo luogo per il neurofisiologo e lo psicologo, ma in una certa misura vale anche per il filosofo. Il che viene poi testimoniato ben testimoniato dalle perplessità di pensatori di razza come Jaspers e Heidegger. Ciò che ne viene pregiudicato è infatti un vantaggioso sguardo d’insieme (invece che analitico) sulla mente umana. A mo’ di esempio di ciò ci sentiamo di menzionare quel Saggio sull’intelligenza umana di John Locke , che esamina la mente in una maniera senz’altro profonda ed esaustiva, ma intanto per mezzo di una limpidità e chiarezza di concetti e linguaggio che ci sembrano davvero esemplari.
Infatti, proprio inquadrando così dogmaticamente il pensiero della Stein in quello di Husserl, si tende a non considerare quella certa distorsione apportata dal pensatore tedesco nell’orizzonte filosofico universale per mezzo di una presa di posizione tendenzialmente idealistica ma intanto tendente comunque a realismo. Essa ha infatti creato una tangibile confusione di prospettive, non mancando inoltre di complicare in maniera forse non necessaria una materia già estremamente complessa attraverso una pletora estremamente farraginosa di concetti a tratti davvero molto pesante e perfino inestricabile. Non intendiamo in alcun modo negare il valore che hanno le osservazioni incredibilmente minuziose (e certamente geniali) di Husserl sulla mente umana e sul suo rapporto con le cose. E tuttavia, da un punto di vista meno interessato all’analisi dettagliata e più interessata invece allo sguardo di insieme (com’è del resto il punto di vista di Jaspers), esse rischiano di creare un apparato di conoscenze che si lascia incapsulare in una sacca che è in sé senz’altro in sé di grande valore (a causa della sua straordinaria ricchezza di contenuti) ma comunque resta una sacca. E così per certi versi essa rischia anche di costituire anche una troppo pesante e pleonastica zavorra.
A tale proposito va precisato che – sebbene inizialmente pare che Jaspers sia stato attratto entusiasticamente proprio dalla minuziosa “descrizione” husserliana dei contenuti di coscienza (per lui preziosa contraddizione del così riduttivo approccio puramente esplicativo della psicologia empirica) – la sua psicologia fenomenologica deve venire considerata anche un superamento di tale metodologia (come illustreremo meglio più avanti). Dunque essa deve venire intesa in fondo come una forte relativizzazione della descrizione mentale husserliana, e non invece come una sua applicazione. Non a caso, come vedremo più avanti, per Jaspers lo sguardo dell’Io rivolto verso sé stesso non è affatto fondante, ma invece non è in realtà altro che uno dei tanti fenomeni naturali della psiche. Esso è quindi un atto psicologico e non filosofico.
Detto questo vorremmo però chiarire che scopo di questo articolo non è affatto quello di sviluppare una polemica anti-husserliana, bensì semmai quello di mostrare (attraverso l’esempio della Stein nella sua relazione con una Fenomenologia che va perfino oltre quella husserliana) quali possano essere anche gli orizzonti molto lontani ed ampi di una Fenomenologia meno condizionata dalle ossessioni analitiche husserliane. Pertanto va detto anche che scopo di questo articolo non è quello di indagare gli scenari post-realistici (filosofia religiosa) del pensiero steiniano – come abbiamo fatto negli scritti precedentemente menzionati –, ma invece quello di restare in prossimità a ciò che effettivamente a lei provenne ancora da Husserl. E ciò in modo che il contributo di quest’ultimo ne resti comunque illuminato.
II- I riscontri testuali
Quanto abbiamo detto finora tocca gli aspetti generali che più ci interessava mettere a fuoco. Quindi in questa seconda sezione ci limiteremo a menzionare i luoghi testuali dell’opera di Jaspers nei quali è possibile trovare riscontro a quanto abbiamo già affermato. Per rendere questo compito più facile divideremo questa sezione in alcune sotto-sezioni dedicate ognuna ad aspetti specifici delle problematiche toccate da Jaspers e che riguardano secondo noi più o meno da vicino anche il pensiero della Stein (o spesso anche di Husserl).
Data però l’enorme ricchezza di spunti offerti dal testo jaspersiano dovremo limitarci a trattare solo le suggestioni più rilevanti e generali che da esso emergono.
II.1 Jaspers come fenomenologo e la Stein.
Sul ruolo giocato da Jaspers nella Fenomenologia non vi può essere alcun dubbio. In particolare egli conta come il fondatore dell’approccio fenomenologico-psichiatrico. Eppure questo suo ruolo tende da molti a venire ricondotto molto direttamente alle complesse analisi psicologiche e ontologiche che vennero condotte da Husserl . Naturalmente viene ampiamente attestata anche l’esistenza di altre fonti della psichiatria fenomenologica ed inoltre anche della visione di Jaspers stesso, e cioè Hegel, Dilthey e Heidegger . La nostra questione al proposito è però duplice. Da un lato l’analisi di PWA evidenzia elementi che già a prima vista distanziano non poco Jaspers da Husserl. Dall’altro lato gli stessi Autori che abbiamo poc’anzi citato attestano che, se è vero che Jaspers di rifece inizialmente ad Husserl, è anche vero che poi se ne distanziò quasi totalmente. Galimberti (p. 176-183) dice che Jaspers protestò con particolare veemenza contro l’intendimento husserliano di filosofia come “scienza rigorosa”. Ed in effetti deve essere stato davvero inaccettabile il fatto che Husserl abbia criticato così severamente la scienza (rivolgendo i suoi strali molto direttamente verso lo stesso “psicologismo” empirico-naturalista combattuto da Jaspers) per poi riabilitare pienamente la scienza facendola equivalere addirittura alla filosofia stessa. È evidente che in questo modo quel “comprendere” (“verstehen”), che aveva intanto sostituito lo “spiegare” (“erklären”) – mettendo così in primo piano il senso delle cose (e facendo così dei esse dei “fenomeni”) –, finiva in tal modo per perdere molta della sua forza, rischiando addirittura di venire abolito nel suo ruolo e valore.
Ecco che Galimberti menziona il fatto che la forte delusione provata da Jaspers verso Husserl (proprio dopo che quest’ultimo aveva letto ed approvato PWA) si lascia riassumere nel fatto che la husserliana “visione dell’essenza” (“Wesenschau”) cominciò ad apparirgli nel complesso un deplorevole “vedere indifferente” (quindi affatto attento al senso). E questo apparve ad Jaspers come un vero e proprio “pervertimento della filosofia”; laddove è evidente che con questo egli intendeva anche una Fenomenologia tutt’altro che soddisfacente. Successivamente (in seguito alla vera e propria rottura che avvenne tra i due a Göttingen nel 1913) il pensatore accentuò ancor più il suo giudizio critico su Husserl, ritenendolo incapace di capire “cos’è la filosofia” ed anche responsabile di un vero e proprio “tradimento” della disciplina. Il che trova poi riscontro nel fatto che Heidegger, nello scrivere una recensione su PWA, ritenne che Jaspers aveva in quel testo denunciato un “fallimento della filosofia” proprio nell’atto di scoprire una “psicologia più principiale”, incentrata nella realtà dell’esistenza e lontana quindi dalla realtà del puro pensiero. Da tutto questo emerge anche quanto sia opinabile che per il pensatore la psicologia venne intesa come una vera e propria filosofia, e più precisamente come una “psicologia comprensiva” radicalmente opposta a quella “esplicativa” (ossia quella meramente empirico-naturalista, e quindi riduzionista).
Il Biondi spiega in maniera ancora più precisa la differenza tra i due pensatori. Egli dice infatti che, se per Husserl i vissuti di coscienza furono appena un mezzo per giungere ad una filosofia fondamentale con l’aspetto di una Fenomenologia (dove è primario il senso della cosa e non la cosa stessa), invece per Jaspers i vissuti costituirono la Fenomenologia stessa. E con ciò abbiamo davanti a noi quella psicologia (primaria rispetto alla filosofia) che è emersa nell’opera jaspersiana da noi esaminata.
Non vi è lo spazio in questo articolo per esaminare oltre la letteratura circa la relazione tra i due pensatori. Per cui, prima di passare all’analisi testuale, diremo solo che ci sembra abbastanza superficiale ed illegittima la tendenza di alcune scuole e di alcuni studiosi a considerare Husserl (anche grazie all’intermediazione di Jaspers) come il padre dell’attuale psichiatria fenomenologica. E vorremmo esporre la nostra perplessità al proposito con la seguente domanda: – posto che Jaspers (in quanto medico e psichiatra) è stato di fatto il più legittimo fondatore della psichiatria fenomenologica, e posto inoltre che il suo pensiero non coincide affatto con quello di Husserl, come si può sostenere che proprio a quest’ultimo vada invece fatta risalire l’intera psichiatria fenomenologica?
Jaspers dal canto suo esprime oggettivamente in PWA delle opinioni che lo rendono abbastanza lontano da alcuni concetti fondanti della Fenomenologia husserliana. Quando discute la presa di posizione contemplativa , quest’ultima viene equiparata ad un “puro pensiero” il cui presupposto fondamentale è la ”distanza” dalla realtà, e quindi anche l’assenza di “interesse” per gli oggetti del mondo. Il che, per il nostro pensatore, annulla di fatto ogni possibilità effettiva di conoscenza. Questo perché si tratta appena di una conoscenza soggettuale e non invece oggettuale (definita come “ontologica”) – essa concepisce pertanto l’oggetto unicamente nel modo in cui esso viene visto dal soggetto, e non assolutamente nel modo in cui esso esiste effettivamente (in maniera totalmente indipendente dal soggetto e della sua coscienza). Oltre a ciò tale forma di conoscenza viene considerata per definizione appena relativa, dato che si tratta solo di una tra le tante possibili WA. Ebbene ci sembra che qui venga posto seriamente in discussione il metodo fenomenologico proposto da Husserl. E precisamente in tre modi: – 1) il distacco teoretico dall’oggetto (praticato nell’epochè e nella riduzione trascendentale) non solo è l’esatto contrario di una conoscenza oggettuale ma è perfino come tale del tutto inefficace; 2) l’oggetto puramente interiore (o oggetto di coscienza) , una volta isolato dal contesto sensibile, non ha assolutamente nulla a che fare con l’oggetto reale e quindi non è affatto un’unificazione di quest’ultimo per mezzo dell’intuizione essenziale ; 3) tale forma di conoscenza è ben lungi dall’essere fondante, in quanto non è per nulla assoluta ma è invece solo relativa. Da tutto ciò appare chiaro che il “fenomeno” deve essere stato per Jaspers qualcosa di radicalmente diverso rispetto a quello concepito da Husserl. Come può dunque la Fenomenologia del primo essere in continuità con quella del secondo? Naturalmente ciò coinvolge anche le convinzioni espresse dalla Stein nella prima metà della sua opera. C’è però da chiedersi se ella non si sia spostata progressivamente verso una posizione simile a quella di Jaspers slittando poco a poco verso una vera e propria “conoscenza ontologica”, ossia una conoscenza che prevedeva sì ancora il metodo dell’epochè ma comunque appariva alla pensatrice impossibile in assenza del riconoscimento di un mondo oggettuale esteriore totalmente indipendente dalla coscienza. E ciò avvenne proprio nel contesto del già citato Excursus. Ciò potrebbe quindi significare che questo percorso di pensiero steiniano non si mosse soltanto sotto l’egida dell’aspirazione ad un realismo anti-idealistico, ma anche sotto l’egida della messa in discussione della Fenomenologia così come venne instancabilmente concepita da Husserl.
Ne consegue che la Stein deve essersi in quel momento trovata davanti al “fenomeno” nella forma di quell’oggetto definito da Jaspers come “immanente” (laddove quello “trascendente” sarebbe invece di esclusivo interesse psicologico e quindi privo di qualunque connessione con la realtà sensibile), che sembra avere le caratteristiche di una sorta di oggetto pre-cartesiano, e quindi sarebbe lontanissimo dall’oggettualità così come venne concepita da Husserl. E a tale proposito va sottolineata la netta opposizione (secondo Galimberti) di Jaspers al dualismo cartesiano. Il che ci porta a chiederci come avrebbe mai potuto il suo pensiero coincidere con quello di Husserl, che era invece così manifestamente di ispirazione cartesiana. Non a caso, come poi vedremo, Jaspers deplorò fortemente la dottrina filosofica della separazione filosofica tra soggetto ed oggetto (e cioè tra anima e corpo-mondo).
Del resto ovunque nel testo jaspersiano la “Anschauung” (percezione, esperienza ed anche osservazione) viene considerato non solo il presupposto indispensabile di un’effettiva conoscenza ma anche il segno di una conoscenza di sicura efficacia com’è l’intuizione . Del resto proprio nel passo che stiamo discutendo (vedi nota 23) Jaspers afferma che l’intuizione va equiparata ad una vera e propria “intenzione”. Quindi è proprio grazie ad essa che avviene la conoscenza della pienezza dell’oggetto esteriore.
Come abbiamo già accennato, un momento davvero rilevante di divergenza di Jaspers da Husserl sta poi nel modo in cui egli definisce il WB di tipo metafisico, ossia il mondo metafisico . Quello che a lui sembra più concreto e vivibile è il mondo metafisico che viene considerato come la Totalità in cui viviamo e che da ogni parte ci circonda; pur non essendo affatto un oggetto sensibile, e quindi costituendo senz’altro un oggetto sovrasensibile ed un Assoluto. Ebbene questa Totalità è secondo lui l’insieme co-ordinato entro il quale soltanto le singole entità acquistano un senso; dato che altrimenti esse sarebbero solo una caotica congerie. Ma questo è esattamente il mondo nel quale noi come uomini-esistenti siamo immersi totalmente. E quindi questa sua intelligibilità contraddice molto stridentemente ciò che la Stein osserva sulla scorta di Husserl introducendo alla Fenomenologia come fondamentale filosofia – e deplorando proprio quell’immersione nelle cose sensibili che ci impedirebbe di avere la distanza teoretica senza la quale è impossibile una conoscenza affidabile. E ciò riguarda poi la contraddizione jaspersiana del concetto di “ingenuità” naturale (sostenuto dalla Stein di concerto con Husserl) sul quale non possiamo però soffermarci, per cui citeremo qui solo i luoghi testuali in cui può venire ritrovato .
Va però anche detto che, se Husserl rimase sostanzialmente su queste posizioni (nonostante tutte le sue approfondite riflessioni sull’hyletica), il pensiero della Stein si allontanò progressivamente da una visione così rigida. Ecco allora che ancora una volta, grazie ad Jaspers, la scoperta steiniana di un «mondo fuori di noi» può assumere non solo una valenza realistica ma anche la valenza di allargamento del campo di riflessione della Fenomenologia. Del resto in un suo articolo ella parlò proprio di questo, e cioè della Fenomenologia come “Weltanschauung”, nel menzionare Scheler e Heidegger ma senza chiamare in causa Jaspers
Le cose divengono però ancora più chiare nel passo immediatamente successivo, nel quale Jaspers affronta quel particolare genere di metafisica che si associa alla filosofia anche quando non sembrerebbe che sia così . E con ciò torniamo alla valenza contemplante di quello che per lui è appena “puro pensiero” ma non è invece effettiva conoscenza. Ecco che noi ci troviamo con ciò di fronte ad una vera e propria metafisica filosofica (o filosofia metafisica), che però si presenta a noi come la filosofia per eccellenza, e cioè quella che affida l’indagine sull’Assoluto al solo puro pensiero. Più in particolare si tratta di quella tendenza conoscitiva che è costantemente alla ricerca di WB assoluti e totalizzanti per mezzo dei quali fornire un’interpretazione completa ed esaustiva del mondo nella sua natura, secondo la specifica sostanza che viene riconosciuta come il suo fondamento (materia, spirito, divenire, etc.). Si tratta insomma dei vari –ismi per mezzo dei quali la natura del mondo viene definita. E questo è ciò che fa anche la scienza, sebbene l’aspirazione all’Assoluto renda l’indagine comunque tipicamente filosofica. Il problema è però secondo Jaspers sempre lo stesso – queste visioni pretendono dogmaticamente di essere oggettive, ma invece sono sempre soltanto soggettive, e ciò in quanto si tratta appena di WA tra le tante. Non solo, ma in questo caso esse sono costruzioni di puro pensiero astratto, che non si basano in realtà su alcuna esperienza. Ecco allora che ne scaturiscono delle teorie che hanno la valenza di vere e proprie “mitologie”. E di esse vi è traccia perfino in medicina (come nel caso dell’interpretazione meramente cerebrale della mente, secondo Wernicke). Proprio in tale contesto Jaspers riconosce però un “errore” tipico della filosofia, che a nostro avviso può venire (almeno in parte) ascritto anche alla Fenomenologia husserliana, e cioè la presupposizione di un incolmabile jato tra soggetto ed oggetto; laddove invece per la psicologia (in nome della quale parla il nostro pensatore) tra i due termini c’è una del tutto naturale continuità. La conseguenza di tutto ciò è che mentre il filosofo tende a vedere nel soggetto (quanto più distaccato possibile dall’oggetto) la garanzia di una conoscenza affidabile, lo psicologo invece sa che con ciò non si fa altro che forgiare una visione soggettiva dell’oggetto o del mondo, ossia una WA tra le tante che mette poi capo ad un WB tra i tanti. Una presa di posizione così relativa non può quindi avere alcuna speranza di ricostruire l’unità oggettiva del mondo. Cosa per cui lo psicologo (esattamente come fa lo stesso Jaspers lungo tutto la sua opera) si limita a raccogliere tutti i molteplici e relativi WB che stanno in relazione con le altrettanto relative WA prodotte dai filosofi. Si vede bene, dunque, che non vi è qui alcuno spazio per riconoscere un possibile vero atto di riduzione trascendentale da parte della filosofia. Vi è però la possibilità di vedere proprio nella psicologia lo scenario trascendentale nel quale rientra anche la stessa filosofia, venendone così riassorbita e notevolmente relativizzata nelle sue aspirazioni. In particolare il pensatore parla qui della PWA come di un “pensiero del pensiero”, e quindi anche come vera e propria “scienza fondamentale” (ossia una scienza fondante). Ed esso è tale perché indaga le forme del pensiero che possono potenzialmente insorgere nella psiche (o anima) umana e non invece nella coscienza filosoficamente intesa.
Ebbene è esattamente in questo modo che a nostro avviso Jaspers si pone come fenomenologo. Ed è facilmente possibile vedere che in tal modo la sua Fenomenologia non converge affatto con quella di Husserl. Tra l’altro (come abbiamo già detto) proprio qui emerge in Jaspers la suggestione che ci porta a pensare ad una possibile «psichiatria della filosofia» (o anche «psichiatria della personalità del filosofo». Infatti in ogni WB traspare la particolare psicologia del filosofo che lo ha forgiato. Il che significa ancora una volta che l’oggettualità di quel WB ne risulta fortemente svalutata e ridotta.
A tutto ciò va aggiunta un’altra forte critica mossa da Jaspers alla filosofia (partendo dalla psicologia), e cioè il giudizio emesso sulla tendenza costante dell’intera disciplina (da Parmenide, per Spinoza, fino ad Hegel) a costituire un “panlogismo” o “razionalismo”. Secondo il quale il Logos, o Ragione, o Spirito, va considerato come l’autentica origine di ogni realtà. E bisogna ammettere che sia Husserl che la Stein ricadono senz’altro in questo ambito, dato che per essi il mondo esiste d fatto solo se viene conosciuto.
Vi sono però anche luoghi in cui la Fenomenologia di Jaspers sembra collimare abbastanza bene con quella di Husserl. Avviene ad esempio laddove egli chiarisce cos’è l’”osservazione psicologica” (“psychologische Betrachtung”) . Si tratta di un atto conoscitivo-esperienziale che è sostanzialmente diverso da quello filosofico ed anche da quello scientifico. Proprio per questo esso è genuinamente “psicologico”. E tuttavia esso è un atto fondamentale nella sua capacità costitutiva, perché ci restituisce il mondo tipicamente prodotto dalla WA, ovvero un mondo che esiste unicamente in funzione del soggetto che lo produce (ed ha caratteristiche specifiche a seconda del genere di specifica WA). Si tratta in particolare di quanto Jaspers ci mostra come un mondo sostanzialmente umano, ossia l’orizzonte locale di esperienze che ognuno di noi considera spontaneamente (ma anche ingenuamente) come il mondo nella sua totalità, sebbene esso sia appena una parte molto ristretta del mondo, ossia il piccolo luogo o ambito (spaziale e temporale) in cui noi trascorriamo la nostra esistenza. Si tratta di ciò che Jaspers definisce come il nostro proprio “mondo domestico” (“Gehäuse”) E ci sembra che questo concetto possa essere fortemente approssimato al concetto heideggeriano di “radura dell’essere” (“Lichtung”) . Jaspers sta insomma qui affermando che il mondo oggettuale è in realtà costituito dal soggetto. Ed in tal modo egli assume una posizione molto simile a quella assunta da Husserl (con il pieno consenso della Stein) nella seconda parte delle Idee nel contesto della dottrina della costituzione . Almeno in questo senso le Fenomenologie dei due pensatori non possono che convergere. In altre parole anche Jaspers sta qui ponendo in primo piano criteri soggettivi come il «proprio» ed il «quoad nos» come decisivi per affrontare il problema dell’essere. Ed anche a tale proposito va sottolineata l’importanza della riflessione steiniana più prossima all’idealismo trascendentale di Husserl .
Non possiamo però dimenticare che Jaspers sta parlando qui di psicologia e non di filosofia.
Di certo proprio in questa sede egli si oppone con forza all’ingenuità tipica della psicologia empirica, la quale dà acriticamente per scontato il mondo colto dai sensi (convergendo così anche in questo con Husserl nella reazione allo “psicologismo”) . Ma sembra che, ricorrendo alla psicologia e non alla filosofia, Jaspers ci voglia dire che tale ingenuità non è affatto solo dell’uomo comune (chiuso nel suo piccolo mondo) e dello psicologo empirico, ma è anche del filosofo. E ciò è vero perché, stando a ciò che lui dice, anche l’atto di purificazione dell’esperienza per mezzo dell’epochè risulta in definitiva del tutto inutile conoscitivamente dato che inevitabilmente anche il filosofo dedito a questo atto è un uomo chiuso nel piccolo mondo umano che egli invano ritiene riscattato dall’atto di distacco teoretico dall’esperienza sensibile. E ciò ci riporta molto suggestivamente ai luoghi testuali in cui la Stein finisce per riconoscere che anche lo stesso Io trascendentale in ultima analisi non è altro che un esistente, ossia è pienamente appena un “Io psicologico” . In altre parole il pensiero della Stein sembra sfociare anche a tale proposito in un ordine di pensieri nel quale, oltre che di un realismo onto-metafisico, ne va dell’affermazione del primato dell’esistenza su ogni costrutto filosofico che cerchi di relativizzarne l’importanza. E ciò, oltre che ad Heidegger, ci riporta peraltro ad un’orizzonte filosofico ancora più ampio, che è quello rappresentato dal concetto di «in-mondo» indagato da Sartre e Merlau-Ponty .
Un’ulteriore momento di convergenza della Fenomenologia di Jaspers con quella di Husserl e della Stein è quello in cui egli parla delle caratteristiche proprie del WB “animico-culturale”, ossia quello incentrato sulla WA di tipo riflessivo (o auto-riflessivo), e cioè quella che ha come proprio oggetto il Sé umano (interiorità) e non invece l’oggetto esteriore . In questa sede infatti la riflessione del pensatore assomiglia in molti punti alle conclusioni alle quali giunse la Stein alla fine della sua indagine sulla psicologia, mettendo così in evidenza un mondo umano-culturale che ha le caratteristiche di un vero e proprio “spirito oggettivo” .
E questa riflessione collimò peraltro con quella di Husserl circa la relazione inscindibile tra l’hyletica (il mondo della cieca materia) e l’edificio culturale su di essa eretta dall’intelletto umano . Jaspers insomma ci mostra che accanto al “mondo sensibile” vi è un “mondo culturale” che rappresenta un’oggettualità non meno esperibile. Oggettualità che viene esperita proprio mediante il rivolgersi del soggetto verso sé stesso invece che verso il mondo esteriore. E ciò avviene nonostante il fatto che l’interiorità umana (cioè il Sé) sia di fatto un nulla ontologico, e quindi sia una solo metaforica oggettualità nel contesto dell’atto intellettuale auto-riflessivo. Ancora una volta però non possiamo dimenticare che l’impianto complessivo dell’opera jaspersiana si basa sull’affermazione del primato assoluto della dimensione conoscitivo-esperienziale psicologica su quella filosofica – riflessione della quale forniremo qui i riferimenti testuali senza poterci addentrare in essa . Ciò significa quindi che in tale contesto l’atto di auto-riflessione non equivale affatto all’atto (sostanzialmente filosofico) fondante l’essere, lungo un percorso che è lo stesso della riduzione trascendentale (ossia il rivolgersi dello spirito verso sé stesso per riconoscersi come l’unico luogo in cui l’essere esteriore trovi una forma compiuta). Ed in ciò va detto che Jaspers mette fuori gioco anche la ponderosissima riflessione condotta da Stein su questo aspetto proprio nella fase più matura della sua onto-metafisica, ossia in EES . Il richiamo di Jaspers ad un atto sostanzialmente psicologico (e non filosofico) ci ricorda ancora una volta che esso sarà magari anche fondante, ma appena nella veste di una tra le tante WA che sono alla portata della psiche (o anima o mente) umana. Ponendo in evidenza tale atto noi non abbiamo dunque fatto altro che descrivere una delle tante possibilità di conoscenza del mondo da parte dello spirito. Ma non abbiamo invece affatto messo al sicuro per sempre la conoscenza del mondo stesso.
A ciò va solo aggiunto che proprio in questo passo Jaspers precisa che uno dei più bassi mondi esperiti dall’uomo per questa via è quello “immediato”, ossia il mondo vissuto ma non ancora compreso. E questo è per lui (così come per Husserl e Stein) il mondo di una deplorevole ingenuità che senza dubbio attende di venire riscattata. Ed il riscatto consiste per lui (sempre in concordanza con la Fenomenologia husserliana) nella consapevolezza del “mondo dell’altro”. Solo con quest’ultimo, infatti, si può parlare di un’autentica conoscenza. Il che avviene per mezzo del riconoscimento di un’oggettualità (che sta davanti al soggetto, ovvero un “Gegenstand”) che non insorgerebbe mai se essa non venisse riconosciuta anche dall’altro. Stiamo insomma parlando della dottrina husserliana dell’inter-soggettività.
II.2. Il processo della formazione del mondo e dell’auto-formazione spirituale.
Nel pensiero di Edith Stein quello della formazione e dell’auto-formazione è un tema costante ed inoltre affrontato in maniera nel tempo sempre più nuova e ricca, nel corso dello sviluppo dell’opera in direzione di una franca metafisica religiosa. All’inizio la riflessione steiniana al proposito restò sostanzialmente all’ombra delle convinzioni espresse da Husserl, specie nella seconda parte delle Idee con la sua complessiva dottrina della costituzione. Ed in questo caso si tratta in primo luogo della formazione del mondo materiale da parte dello spirito umano in quanto Io intellettuale e razionale. Successivamente però (a partire dall’intensificarsi della vita religiosa associato all’incontro con il tomismo) la Stein iniziò a pensare da un lato ad una formazione di più ampio respiro (la formazione del caos materiale mondano da parte dello Spirito o Io divino) e dall’altro lato ad un’auto-formazione dell’uomo ad ente intellettuale-spirituale che ricalcava (in termini metafisico-religiosi e teologici) il percorso della «riduzione trascendentale» (in quanto atto del ripiegarsi dell’Io su sé stesso nell’osservazione del flusso dei suoi vissuti). In questo atto la Stein iniziò a vedere (rifacendosi intanto ormai non più a Tommaso alla grande tradizione agostiniana della riflessione sull’«Io sono» dell’Esodo, ovvero la principale affermazione di Dio sulla propria identità) il prototipo dell’auto-conoscenza e dell’auto-coscienza. Ossia le vie per mezzo delle quali l’uomo si riconosce come Io intellettuale-spirituale e quindi afferma la propria identità ed insieme natura spirituale, elevandosi così (con l’intermediazione dell’anima) sul corpo e sulla materia mondana. Questa complessiva riflessione iniziò nella seconda metà di Potenz und Akt (PA) e poi si prolungò in EES raggiungendo il culmine nella seconda metà di quest’opera .
A tale proposito (senza però poter scendere troppo in dettaglio) c’è da dire che Jaspers semplificò e snellì alquanto il concetto di auto-formazione unito poi inestricabilmente a quello di auto-riflessione (invece visto in maniera così complessa sia da Husserl che dalla Stein) . Egli infatti constatò che non vi è alcun risultato se al semplice «trovarsi davanti a sé stesso» non si aggiunge anche il “volersi”, e precisamente l’accettarsi esattamente come si è. Il che svincola pragmaticamente il processo di auto-formazione dal peso di qualunque ideale pregiudiziale da raggiungere, e quindi da qualunque ipoteca etica ed etico-religiosa. Cosa che oggettivamente relativizza non poco (almeno dal punto di vista di Jaspers) le così dense congetture steiniane su questo tema. Per il nostro pensatore l’atto di formazione è pertanto concreto, vitale e fattuale al massimo grado, dato che consiste appena nel ricongiungersi con la personalità che si è davvero autenticamente. Questo processo non ha quindi assolutamente nulla di teoretico e intellettuale né ha assolutamente nulla di metafisico-religioso (come nel contesto delle dottrine che teorizzano la naturale razionalità dell’uomo quale Io-Spirito in seguito al dono divino). E quindi tale processo non equivale né alla propria auto-formazione come «Io» (intellettuale-spirituale) né tanto meno al raggiungimento dell’auto-coscienza. Va da sé che in tal modo si tratta di un formarsi come “persona” che per Jaspers è totalmente diverso da quello sostenuto dalla Stein. Per cui non mette conto assolutamente parlare di questo aspetto nel quale i due pensatori sono così radicalmente diversi. Diremo quindi solo che la pienezza dell’auto-formazione si raggiunge per Jaspers nelle cosiddette “nature plastiche” (e non invece nelle nature ascetiche, rappresentate dal “santo”), ossia quelle che vivono avendo solo sé stesse come scopo. Qui la sua presa di posizione esprime una certa adesione al titanismo nietzschiano. Ma comunque non è su questo verte il nostro articolo.
Intanto non vi è alcun dubbio che, sia per Husserl che per Stein, questa complessiva dinamica equivale alla formazione razionale del caos mondano, che a sua volta (in termini teoretico-conoscitivi) corrisponde alla trasformazione dell’ente mondano in ente conosciuto, e quindi tanto oggetto di coscienza quanto oggetto dotato di senso. Ancora una volta ci troviamo dunque qui di fronte all’intendimento della cosa come “fenomeno”. Jaspers invece parla molto poco di spirito (se non piuttosto criticamente, e cioè negli usuali termini riduttivi impiegati in filosofia per definirlo). Egli parla invece continuamente ed intensivamente di “anima” (identificata con la mente in quanto psiche, e quindi entità ben più che naturale) vedendo in essa il centro motore dal quale si irradiano tutte le possibili WA ed i conseguenti relativi WB. E vede la formazione del mondo da parte dello spirito umano proprio nella relazione esistente tra anima, WA ed infine WB, ovvero le immagini del mondo che l’uomo si crea al solo scopo di poter esistere in esso. Tuttavia, pur annoverandola tra i vari possibili WB, egli esprime una certa sfiducia nella presa di posizione razionalistica (incentrata com’è proprio nella forza formatrice del pensiero) colta nella sua attitudine a portare ordine nel caos materiale . Tale atto consiste infatti per lui semplicemente nella “formalizzazione” e quindi nella sottomissione del dinamismo materiale reale, concreto e vitale, alla rigida fissità (astratta ed irreale) della forma. Non a caso egli giunge spesso a deplorare il conflitto tra Conoscenza e Vita che sempre è stato apportato dalla filosofia nell’esperienza umana . Ed inoltre giunge spesso a deplorare nel complesso l’opera del tutto astratta ed irreale della logica .
Commentando negativamente la formalizzazione, egli però sta svalutando anche quella complessiva dottrina teoretico-conoscitiva incentrata nel riempimento delle “forme vuote” che già si ritrova (in parte e solo indirettamente) in Husserl e che poi nella Stein non solo si sviluppa ma si riconnette anche alla tradizione medievale (specie a Duns Scoto oltre che a Tommaso d’Aquino) . Dobbiamo quindi presumere che le due vie per pervenire al “fenomeno” (quella di Husserl-Stein e quella di Jaspers) siano state molto diverse. Jaspers spera infatti di coglierlo nel pieno del divenire vitale mondano ed esteriore (grazie alla forza dell’intuizione, o “Anschauung”), mentre gli altri due pensatori sperano invece di coglierlo negli alti e sereni strati dell’interiorità, della coscienza egoica, dello spirito (umano-divino) ed anche delle grandi ed astratte forme categoriali (presso la Stein esattamente i Trascendentali del pensiero medievale) .
In particolare Jaspers ritiene che l’intuizione (per il fatto di muoversi nel mondo del divenire senza turbarlo) sia l’unica capace di lasciare l’oggettualità esteriore così come essa è (ossia come un “fenomeno”). Di conseguenza egli ritiene l’intuizione il presupposto irrinunciabile affinché davanti allo spirito si presenti realmente un’oggettualità. E bisogna dire che una posizione molto simile era stata espressa anche da Scheler nella sua davvero severa critica all’ambizione husserliana di concepire un “oggetto di coscienza” .
Ma in tal modo noi ci ritroviamo nuovamente di fronte allo spessore dell’ontologia («mondo fuori di noi» indipendente dalla coscienza) alla quale approdò la Stein dall’Excursus in poi. Ed in effetti, leggendo la sua opera, si ha esattamente l’impressione che da questo momento in poi la complessiva dottrina della conoscenza (incentrata nella formazione) sia rimasta senz’altro in piedi ma solo assumendo un ruolo di secondo piano. Bisogna però anche dire che nel corso dello sviluppo successivo (poc’anzi menzionato) ella ritornò in qualche modo ad una sorta di teoria della conoscenza, ormai però profondamente influenzata dalla metafisica religiosa agostiniana. E ci chiediamo allora se in questa fase (nel descrivere l’atto di ripiegamento dello spirito su sé stesso, auto-formandosi per mezzo del riconoscersi come identità che include in sé tutto l’essere possibile, sul modello dell’«Io sono» divino) ella non stia parlando di un atto di intuizione quasi esperienziale. Del resto il coglimento agostiniano del «cogito-sum» aveva in fondo esso stesso queste caratteristiche. Ebbene bisogna considerare che qui Jaspers sta tra l’altro contrapponendo la presa di posizione contemplativa a quella razionale. E l’intuizione gli sembra il nucleo stesso della prima. Dato che soltanto tale atto è per lui capace di lasciare integro un oggetto supremamente unitario come l’Assoluto invece di scinderlo fatalmente come fa la tendenza alla definizione concettuale che è propria della razionalità. Questo deve pertanto essere stato il tratto portante dell’estremo interesse del pensatore per la metafisica.
Va comunque detto che anche qui interviene il forte fattore svalutante che è rappresentato in Jaspers dall’affermazione del primato della psicologia sulla filosofia . Per lui infatti il processo di formazione del mondo, che si diparte dall’anima (in quanto centro) è un processo che tende all’infinito (la teorica totalità di tutti i possibili WA e WB) senza però mai poter giungere a compimento. Si tratta pertanto solo della relazione tra ideale (in quanto possibilità infinita) e reale (in quanto possibilità già realizzata). Ebbene, questo reale è senz’altro l’oggettualità in quanto WB posta di fronte alla relativa WA. Ma tale oggettualità è appena un’immagine e non invece l’effettivo “Gegenstand” (determinato e finito); che è poi l’oggetto stante davanti a noi del tutto indipendentemente dalla nostra presa di posizione. In primo luogo ne deriva quindi che l’intero processo di formazione è appena la metafora di qualcosa che avviene in verità solo nella nostra mente (e non invece nella realtà fattuale) ed in secondo luogo ne deriva che da esso non ci si può aspettare in alcun modo un risultato definitivo (come quello ipotizzato da Husserl e dalla Stein), cioè la completa ed esaustiva definizione dell’oggetto per mezzo dell’ormai ultimata intuizione essenziale. A ciò va solo aggiunto che presso la Stein ritroviamo (nella fase ultima della sua matura ontologia) uno schema molto simile della relazione tra la possibilità ideale infinita (le “essenzità”, o “Wesenheiten” trascendenti) e la realtà oggettuale concreta . E questo può essere un altro indizio della progressiva diminuzione in lei della fede nell’ontologia interiore e di coscienza (ideale), la quale qui viene riconosciuta essere appena una «possibilità di essere» ed affatto invece una realtà.
In una qualche misura, fin dal momento del suo pieno riconoscimento di un’ontologia esteriore, la Stein si era approssimata dal mondo ideale al mondo reale. Uno dei nuclei della sua contestazione dell’idealismo trascendentale di Husserl (insieme ad altri discepoli, in particolare Hering) fu proprio l’affermazione della necessità di ricostruire (per mezzo della ricerca fenomenologica) un mondo di essenze, ossia le cose come “fenomeni” (ontologia essenziale) nella realtà vissuta e non invece solo nella coscienza . Il progetto era insomma quello di restituire semplicemente ad ogni cosa il suo senso, senza dover necessariamente passare per il pesantissimo e complessissimo apparato dottrinario messo su da Husserl. E ritroviamo qualcosa del genere anche in Jaspers . Egli precisa infatti che la formazione da parte dell’anima si compie nel pieno della dimensione attiva, vitale e dinamica, ossia quella che è caratterizzata dal perenne movimento e quindi è infinitamente lontana dal piano (astratto e statico) della definizione concettuale.
Soffermandoci poi su altri aspetti del concetto di formazione jaspersiano possiamo notare che esso sembra a tratti voler sostituire con esso quello husserliano di intenzione . E non a caso ciò avviene ancora sul piano della vita. infatti egli afferma che, fermo restando l’oggetto esteriore nella sua irriducibile impositività ontologica, l’oggetto di visione interiore agisce ormai sull’anima appena come una forza e non più invece come un’effettiva oggettualità. È dunque proprio così che avviene la formazione (dal versante puramente soggettuale dell’esperienza), e cioè nel contesto del costituirsi di una WA che a sua volta delinea una determinata immagine dell’oggetto reale. Ne consegue ancora una volta che la formazione non è altro che un processo metaforico. Inoltre qui Jaspers sta di nuovo parlando di quella particolare WA che è la presa di posizione intuitiva, ossia quella che è molto più delle altre basata sull’esperienza immediata (“Anschauung”). Dato che esso è soggettuale, nemmeno questo atto può dunque venire considerato effettivamente formativo (invece che metaforico). E però esso, a differenza della presa di posizione razionale-pensante, è comunque in grado di rispettare l’oggetto come totalità (senza scinderlo nelle sue molteplici qualità, corrispondenti poi a categorie e concetti), e quindi riesce a restare ben più prossimo all’oggettualità reale che è esteriore alla coscienza. Tanto più perché qui si delinea un’esemplare e piena “chiarezza” dell’oggetto (garantita pienamente solo dall’esperienza immediata), della quale quella pensante-razionale è appena una pallida ombra. E peraltro Jaspers ci mostra come tutto ciò si presti perfettamente a definire una delle oggettualità più pienamente ontiche come sono il simbolo e l’idea.
I quali vengono colti intellettualmente nella loro unità su un piano molto simile a quello della percezione, e quindi senza alcuna sussunzione nell’universale e nell’inter-soggettività (solo il singolo può infattti coglierli).
Ebbene a nostro avviso questa dottrina potrebbe aiutare molto a comprendere il tipo di riflessione filosofico-metafisica che la Stein condusse (nel pieno della sua fase mistica) allorquando si occupò della teologia simbolica di Dionigi l’Areopagita. Quel che è certo è che ciò non sarebbe potuto avvenire se ella non avesse percorso (attraverso l’intermediazione dell’onto-metafisica tomista) una strada che recava verso una Fenomenologia esteriorista che in Husserl certamente non si ritrova. E tutto ciò diviene ancora più chiaro se teniamo conto di quanto dice Jaspers circa presa di posizione mistica . Egli equipara fortemente tale presa di posizione a quella intuitiva soprattutto per il fatto che un supremo oggetto unitario e totale (che peraltro si trova del tutto al di fuori del campo dell’esperienza sensibile) ha la caratteristica di rappresentare una “pienezza” oggettuale (la massima possibile) così grande da poter venire colta (ancor più che nel caso dell’oggettualità mondana) solo rinunciando del tutto alla tendenza analitica del pensiero razionale. Infatti se esso viene suddiviso, allora immediatamente svanisce (il che avviene quando all’Assoluto divino si attribuiscono qualità sensibili). Pertanto solo un coglimento immediato e incondizionato del tutto “irrazionale” può permetterci di coglierlo. E per giunta tale oggettualità deve necessariamente sfuggire a qualunque atto di “formazione razionale” in quanto essa si trova infinitamente aldilà del reale mondano e del sensibile. E quindi di fatto è un nulla. Tanto è vero che il luogo del suo coglimento è solo interiore ed affatto invece esteriore. Esso insomma non è un “contenuto” (“Inhalt”) ma è solo un “vissuto” (“Erlebniss”). Ebbene tutto questo è ciò che effettivamente avviene in quell’esperienza mistica della quale così intensivamente si occupò la Stein nell’ultima fase del suo pensiero. Ed in base a queste osservazioni, appare allora evidente che ciò non sarebbe stato mai possibile se ella avesse continuato a servirsi della presa di posizione razionale-pensante che è imprescindibile nel pensiero husserliano. Tra l’altro anche quando ciò che dice Jaspers sembra assomigliare a ciò che dice Husserl (definizione dell’oggetto mistico come un “vissuto”), appare chiaro che intanto esso si costituisce per una via completamente diversa da quella del distacco teoretico dall’esperienza sensibile. Anzi sembra costituirsi su un piano (quello dell’immediata intuizione) che è molto vicino a quello della percezione.
Nel complesso l’indagine condotta da Jaspers (fondandosi sulla psicologia e non sulla filosofia) riesce a vedere nella mistica un effettivo campo di conoscenza anche se esso (in maniera apparentemente paradossale ed incomprensibile) diverge tanto dall’esperienza quanto dal pensiero razionale. In particolare nella mistica mancano totalmente l’oggettualità e gli opposti logici, con la conseguenza della totale impossibilità di qualunque indagine razionale su di essa. Eppure, ciononostante, mentre la razionalità sfugge il compimento (a causa dell’aspirazione ad un’indagine infinita), la mistica invece punta proprio al compimento, ossia all’unione a Dio. E quindi pur con tutta la sua inconsistenza ontologica non vi è nulla di più concreto di questo genere di conoscenza.
Ebbene, una volta messe così le cose, il lavoro svolto dalla Stein nella sua ultimissima fase mistica appare perfettamente comprensibile sulla base di una Fenomenologia che non si lascia in alcun modo ridurre al rigore fanatico del razionalismo tanto filosofico che scientifico. Abbiamo visto infatti con quanta forza Jaspers protestò contro la filosofia come “scienza rigorosa”. Questa Fenomenologia appare pertanto in grado di contemplare qualunque genere di presa di posizione senza in alcun modo contestarne la legittimità (se non sottolineandone la relatività). Ed ecco allora che grazie a Jaspers il pensiero mistico della Stein è ben più comprensibile che non grazie ad Husserl. Rifacendosi solo ad Husserl, infatti, o si è costretti ad arrampicarsi sugli specchi per dimostrare un’inesistente continuità della mistica steiniana con la Fenomenologia husserliana, oppure si è costretti a dichiarare la totale rottura della pensatrice con quest’ultima (che è anch’essa una forzatura). Rifacendosi a Jaspers, invece, non è necessario nulla di tutto ciò.
II-3. Jaspers e l’ontologia realista.
Nel complesso l’impianto teorico della ricerca di Jaspers (incentrata sulla relatività di qualunque presa di posizione filosofica o scientifica rispetto all’essere ed al mondo) esautora per definizione tanto la posizione idealistica quanto quella realistica. Ci sembra pertanto abbastanza utile verificare cosa accade quando si applica questo schema alle idee più realiste sviluppate nel tempo dalla Stein nel distanziarsi dall’idealismo trascendentale husserliano.
Ecco che, esaminando i vari possibili WB, Jaspers pone alla base di tutti quello che viene professato tanto dall’uomo comune quanto dallo scienziato empirico, e cioè quello che vede il mondo come sostanzialmente sensibile e spaziale . Si tratta senza dubbio del mondo più concreto e reale che ci sia. Eppure, per quanto ciò sia sorprendente, le cose non stanno affatto così per l’uomo, proprio a causa del fatto che esso tende spontaneamente a formarsi una propria immagine del mondo dove vive. Pertanto nemmeno il mondo sensibile-spaziale è per davvero oggettivo ed assoluto, ma è invece appena relativo alla corrispondente WA umana. Jaspers suggerisce (sulla base del biologo von Üxküll) che questo mondo è davvero oggettivo solo per gli animali invertebrati, ossia quelli che non hanno nemmeno un barlume di coscienza. Dunque il mondo più immediato in cui viviamo è in realtà sempre solo un mondo umano e pertanto per definizione soggettivo. In altre parole qui Jaspers assume una posizione che (almeno in una certa misura) si può considerare sbilanciata verso l’idealismo, e con ciò esautora ogni forma di realismo in quanto presumibilmente ingenuo. Del resto da ciò che lui dice si può opinare che il mondo nel quale Husserl e la Stein temevano l’immersione da parte dell’uomo (con la conseguente impossibilità della conoscenza) sembra essere appena il mondo animale più basso possibile. Sulla base di tutto ciò si potrebbe quindi ritenere che la Stein si illuse sia quando assunse una posizione idealistica (insieme ad Husserl) sia quanto assunse poi una posizione realistica (insieme a Tommaso). Ma sta di fatto che quest’ultimo realismo era di stampo onto-metafisico (ed anche non poco influenzato dalla dogmatica cristiana di origine aristotelica) e quindi rispecchiava quella metafisica alla quale Jaspers non concesse alcun valore, ossia quella che nega la piena coincidenza tra il Trascendente ed il mondano (in una forma di vero e proprio panteismo) . L’onto-metafisica alla quale approdò ad un certo punto la Stein si incentrò infatti (almeno fino ad un certo punto) sul concetto di “analogia entis” tomista; secondo il quale l’ente mondano risaliva al supremo Ens divino.
Posizione che però non a caso venne da lei decisamente superata nell’iter successivo, anche grazie all’apporto del pensiero di Przywara .
Del resto Jaspers persiste in questa convinzione anche quando teorizza una differenza tra il punto di vista soggettuale ed il punto di vista oggettuale (due tra le principali forme di WA), riconoscendo poi in quest’ultimo una forma attiva ed una forma passiva. Ebbene, parlando della forma attiva della presa di posizione oggettuale egli la definisce come quella generata dall’espressa volontà umana di incontrare una resistenza nel mondo, e quindi di imbattersi in un “Gegenstand”. In tal modo sembra delinearsi più che mai un mondo indipendente esteriore, eppure esso continua a dipendere comunque dal soggetto. In altre parole esso ancora una volta non è affatto il mondo oggettivo, bensì è invece appena un mondo umano. Ma la Stein riconobbe la pienezza ontologica del “Gegenstand” proprio quando iniziò ad avere dubbi sulla costituzione dell’oggetto da parte della coscienza (intenzione). E non solo. Perché proprio per questa via ella pervenne al concetto di essere che invece era del tutto assente nella visione husserliana.
Tutto ciò sembra dunque suggerirci un altro ed opposto angolo visivo dal quale osservare il pensiero della Stein per l’intermediazione di quello di Jaspers. La visione di quest’ultimo sembra avere anche una certa portata soggettivistica (sebbene solo nel contesto del generale relativismo da lui sostenuto), per cui alla luce di essa il realismo perde non poco in forza e valore filosofico. Il che può significare poi che una Fenomenologia davvero appropriata dovrebbe essere capace di mantenere un saggio equilibrio tra idealismo e realismo (equilibrio che non sembra davvero esserci in quella husserliana). Ora, come abbiamo già suggerito, è probabile che la Stein abbia intuito questa necessità filosofica, e che quindi il suo realismo possa venire interpretato come la conseguenza negativa, forzosa e poco autentica di un suo vero e proprio intrappolamento nelle maglie della dogmatica tomista. Che sicuramente costituisce anche una delle più dogmatiche forme di realismo. Fatto sta che (come abbiamo già detto) la Stein si sottrasse poi a questo invischiamento. E quindi è probabile che il suo successivo percorso di pensiero sia stato tra l’altro anche la continuazione dello sforzo per allargare il campo della Fenomenologia.
Continuando l’analisi del testo jaspersiano constatiamo poi che secondo il pensatore il mondo esteriore rappresentato dal WB non è altro che quello “concresciuto” (“verwachsen”) insieme all’anima . Ecco allora che, tenendo presente Jaspers, così come fallisce il tentativo di dissecare un mondo oggettivo rispecchiato nella coscienza (dopo la sua purificazione per mezzo dell’epoché), allo stesso modo fallisce anche il tentativo di identificare un mondo esteriore totalmente oggettivo in quanto del tutto indipendente dal soggetto Esso, infatti, a causa della sempre modificante presenza del “Dasein” è altrettanto illusorio quanto il primo.
Giunto a questo punto Jaspers riconosce però che accanto al mondo concresciuto con l’anima (che è quello vissuto e reale, per quanto in parte soggettuale), e che è tipicamente sconosciuto, vi è molto marginalmente anche un mondo conosciuto (cioè quello considerato reale e valido per Husserl). Ma esso, per quanto conosciuto, è il mondo meno reale e più illusorio; lo dimostra il fatto che esso è quello meno “efficace” (“wirksam”). Nella gerarchia di oggettualità sta dunque decisamente in primo piano il mondo concresciuto con l’anima. Il mondo conosciuto è invece sostanzialmente quello dell’appercezione e della formalizzazione. Ecco che ancora una volta vediamo che della Fenomenologia di Jaspers idealismo e realismo trovano in equilibrio pressoché perfetto.
Possiamo poi trovare espressa la perfezione di questo equilibrio ritornando alla trattazione jaspersiana del mondo animico-culturale . Come abbiamo visto egli pone l’uno accanto all’altro il “mondo immediato” (puramente soggettivo) e il “mondo dell’altro” (puramente oggettivo). La pari legittimità di esistenza di questi due mondi dipende da quella indiscutibile continuità naturale tra soggetto ed oggetto che secondo Jaspers può venire ritrovata solo in psicologia (prendendo atto delle fondamentali funzioni della mente) e non invece in filosofia. Quest’ultima invece parte sempre da una scissione irrecuperabile tra i due termini, e quindi tende inevitabilmente a rappresentarsi un mondo soggettuale «posto davanti» al mondo oggettuale, e da esso fatalmente separato. Ecco che in tal modo insorge ineluttabilmente quel tema della «problematicità della conoscenza» che senza alcun dubbio è stato una delle principali molle che hanno fatto insorgere l’intera ricerca husserliana. Sta di fatto però che tale problematicità appare del tutto astrusa ed assurda agli occhi del medico (abituato com’è a considerare come scontate le naturali funzioni psicologiche nel contesto della conoscenza). E così è stato evidentemente anche per Jaspers.
Ebbene va detto che, pur nel suo lodevole tentativo di superare l’idealismo husserliano verso un realismo, la Stein restò lei stessa vittima della contrapposizione tra due visioni (idealismo e realismo), ognuna delle quali ha pretese assolutizzanti e trascendentalizzanti. Tuttavia, a moderazione di questa critica va considerato che, solo grazie a Jaspers, la negazione steiniana di un Io trascendentale viene completata dall’affermazione che vi è in verità appena un Io psicologico (che è poi l’Io-esistente da lei pienamente riconosciuto nel contesto della sua onto-metafisica) . Esso corrisponde poi allo spirito soggettivo di fronte al quale si trova un mondo oggettuale che qui anche Jaspers ammette come “spirito oggettivo”, ossia mondo della cultura. E così si ricostituiscono in fondo i termini di una alla quale la Stein era approdata.
III- Conclusioni.
Sulla base delle osservazioni testuali ci sembra che i principali obiettivi di questo articolo siano stati raggiunti. Essa ha dimostrato infatti che, se per molti versi la Fenomenologia di Jaspers (PWA) si contrappone non solo a quella di Husserl ma anche a quella della Stein, la sua analisi offre comunque la preziosa occasione di comprendere meglio quel percorso della pensatrice che (in misura maggiore o minore, secondo le varie interpretazioni) comunque si distanziò tangibilmente dal pensiero husserliano. Abbiamo visto che tale prospettiva si riflette soprattutto nella possibilità di intendere meglio il senso e la misura del distanziamento della Stein da Husserl durante l’ultimissima fase mistica del suo pensiero. Ma oltre a ciò (non volendo attardarsi in una polemica anti-husserliana che senz’altro può essere fazione e sterile), la presa in considerazione di Jaspers suggerisce con discreti argomenti che il complessivo percorso di pensiero steiniano debba venire inteso anche come lo sforzo di allargare l’ambito della Fenomenologia husserliana raccordandolo con un orizzonte storico-filosofico che oggettivamente fu molto più ampio.
Note.
Vincenzo Nuzzo, “L’orizzonte platonico del pensiero steiniano. Anima, ragione e spirito”, in: Andrea Muni (a cura di), Platone nel pensiero moderno e contemporaneo, Vol. IX, 2016 p. 129-170; Vincenzo Nuzzo, “Il pensiero di Edith Stein sullo sfondo del pensiero di Meister Eckhart. Ovvero il neoplatonismo steiniano”, Dialeghestai, 30 Dicembre 2016; Vincenzo Nuzzo, L’idealismo realista del pensiero di Edith Stein ed i suoi presupposti platonici, Tese de Doutoramento, Repositorio da Universidade de Lisboa, Faculdade de Letras (FL), Lisboa, Set. 2018; Vincenzo Nuzzo, “È possibile pensare ad una Edith Stein cartesiana in quanto filosofa religiosa?”, Dialeghestai, 21, 2019; Vincenzo Nuzzo, “Edith Stein e l’ebraismo religioso”, Philosophica, 51, 2018, 81-95.
2Vincenzo Nuzzo, Il platonismo di Edith Stein dal punto di vista della fase mistica del suo pensiero, in: https://cieloeterra.wordpress.com/2018/12/24/il-platonismo-di-edith-stein-dal-punto-di-vista-della-fase-mistica-del-suo-pensiero/
3Karl Jaspers, Psychologie der Weltanschauungen, Forgotten Books, London 2018.
4Umberto Galimberti, Psichiatria e fenomenologia, Feltrinelli, Milano 2020, II, 9, 1 p. 178.
5Marco Tedeschini, “La controversia Idealismo Realismo (1907-1931). Breve storia concettuale della contesa tra Husserl e gli allievi di Monaco e Göttingen”, Internat. J. For the History of Texts and Ideas, 2, 2014, 235-260.
6Hanna-Barbara Gerl, Unerbittliches Licht, Matthias-Grünewald, Mainz 1998, II p. 18, VII p. 81-94; Edith Stein, “Die weltanschauliche Bedeutung der Phänomenologie”, in: Edith Stein, Freiheit und Gnade, ESGA 9, Herder, Freiburg Basel Wien 2014, 8 p. 143-158.
7Karl Jaspers, Psychologie… cit., I, IA, 3 p. 73-78.
8Karl Jaspers, Psychologie… cit., IIC p. 160-188.
9Umberto Galimberti, Psichiatria… cit., II, 9,3 p. 188-189.
10Edith Stein, Endliches und ewiges Sein, ESGA 11/12, Herder, Freiburg Basel Wien 2006, V-VIII p. 239-441; Hanna-Barbara Gerl, Unerbittliches… cit., X, p. 129-133, XII p. 148-155.
1Edith Stein, Potenza e atto, Città Nuova, Roma 2003, VI p 344-386.
12Edith Stein, “Husserls Phänomenologie und die Philosophie des heiligen Thomas v. Aquino. Versuch einer Gegenüberstellung“, in: Husserl zum 70. Geburtstag, N. Niemeyer Verlag, Tübingen 1929, p. 315-338; Edith Stein, “Was ist Philosophie? Ein Gespräch zwischen Edmund Husserl und Thomas von Aquino”, in: Edith Stein, Freiheit… cit., 6 p. 91-118.
3Vincenzo Nuzzo, “L’«atto di esistere» e la «filosofia dell’essere». Edith Stein e Jacques Maritain”, Dialeghestai, 31 Dicembre 2018.
4Dermot Moran, “Immanence, Self-Experience, and Transcendence in Edmund Husserl, Edith Stein, and Karl Jaspers”, American Catholic Philosophical Quarterly, 82 (2) 2008; Umberto Galimberti, Psichiatria … cit., II, 9, 2 p. 179-187.
5Karl Jaspers, Psychologie… cit., IIC p. 160-188.
6Karl Jaspers, Philosophie III. Metaphysik, Springer, Berlin Heidelberg New York 1973.
7Karl Jaspers, Psychologie… cit., III p. 189-407.
8Pare che, nel Dicembre 2007, nel corso di un colloquio privato avvenuto a Venezia presso l’Università Ca’ Foscari (nell’ambito del Master in Comunicazione e Linguaggi non verbali), Galimberti abbia affermato che ogni filosofo è tendenzialmente uno psicotico.
19John Locke, Saggio sull’intelligenza umana, Laterza, Roma Bari 2022.
20Umberto Galimberti, Psichiatria … cit., II, 9, 2 p. 180.
21Umberto Galimberti, Psichiatria… cit., II, 9, 2 p. 179-187; Simone Biondi, “I due volti della psichiatria fenomenologica”, Comprendre, 25-26, 2015-2016, 131-152.
22Umberto Galimberti, Psichiatria… cit., II, 8-11 p. 168-220.
23Karl Jaspers, Psychologie… cit., IA, 2 p. 50-73.
24Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura, Mondadori, Milano 2008, I, II, I, 31-32 p. 67-73, I, II, II, 60-65 p. 78-86, I, II, III, 103-108 p. 135-141, I, III, II, 85-86 p. 213-221, I, III, 87-96 p. 222-246, I, IV, 97-102 p. 245-260, I, IV, I-III, 128-153 p. 338-382, II, I, I, 1-4 p. 441-448, II, I, I, 11-15 p. 461-479, II, III, I, 49 p. 611-621; Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia pura, Il Saggiatore, Milano 2008, III, A, 28-55, p. 133-215; Pedro MS Alves e Carlos Aurélio Morujão, Edmund Husserl, Investigações Lógicas. Segundo Volume, Parte I. Investigação para a Fenomenologia e a Teoria do Conhecimento, Centro de Filosofia da Universidade de Lisboa, Lisboa 2007, II Voll, I, I, § 4, 25-38 p. 56-58, I, I, § 11, 49-51 p. 68-71, I, II, II, § 38, 67-69 p. 89-91, § 41-43, 73-80 p. 97-105, I, III, § 29-30, 97-104, p. 116-123.
25Edmund Husserl, Idee…cit., I, II-IV p. 115-375, II, III, I, 49 p. 611-621; Pedro MS Alves, Carlos Aurélio MoruJão, Edmund Husserl…cit., II Voll., I, I, § 11, 49-51, p. 68-71, II, I, III, § 29, 97-101 p. 116-120.
26Pedro MS Alves, Carlos Aurélio MoruJão, Edmund Husserl…cit., II Voll. § 17, 67-68 p. 87-89.
27Umberto Galimberti, Psichiatria … cit., II, 9, 1 p. 177.
28Karl Jaspers, Psychologie… cit., IA p. 50-73,
29Karl Jaspers, Psychologie… cit., II, C, I p. 163-166.
30Edith Stein, Introduzione alla filosofia, Città Nuova, Roma 1998, Introd., p. 35-52, I, I p. 53- 86, I,II p. 87- 99; Edith Stein, Psicologia e scienze dello spirito, Citta Nuova, Roma 1996, I, Introd. p. 39-44, I, 1-2, p. 45-71.
31Karl Jaspers, Psychologie… cit., IA, 2 p. 68-73, II p. 122-132.
32Edith Stein, “Die weltanschauliche Bedeutung der Phänomenologie”, in: Edith, Freiheit…cit., 8 p. 143-158.
33Karl Jaspers, Psychologie… cit., II, C, II p. 166-177.
34Karl Jaspers, Psychologie… cit., II p. 122-133.
35Martin Heidegger, Che cos’è metafisica?, Adelphi, Milano, 2008, p. 52-57; Martin Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi, Milano 1976, Intr. II, 7-8 p. 46-60, I, I, I, 9 p. 64-68.
36Edmund Husserl, Idee…cit., II, I, I, 1-8 p. 439-454, II, I, I, 11 p. 461-463, II, I, I 18, p. 491-523.
37Angela Ales Bello, Il senso delle cose, Castelvecchi, Roma 2013, I, 1-3 p. 9-50, V-VI p. 107-154.
38Edith Stein, Endliches… cit., III, 3 p. 68-72, III, 7 p. 83-86, IV, 3, 2-16 p. 144-181, VI, 4, 3 p. 293-296.
39Umberto Galimberti, Psichiatria… cit., II, 9, 2 p. 179-180.
40Vedi nota 11.
41Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla, Il Saggiatore, Milano 1997, I, I, 1 p. 37-40, III, II, 1 p. 354-389; Maurice Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, Bompiani, Milano 1993, p. 39-41, p. 121-124
42Karl Jaspers, Psychologie… cit., II, B p. 147-160; Karl Jaspers, Psychologie… cit., I, B p. 78-102.
43Edith Stein, Psicologia… cit., I, 5, 2-3 p. 106-118, II, 2, 2 p. 221-240; Edith Stein, Der Aufbau der menschlichen Person, ESGA 14, Herder, Freiburg Basel Wien 2001, II, I, 3, p. 23-26; V, II, 2, p. 80-91.
44Angela Ales Bello, Il senso …cit., I, 1-3, p. 9-50, V – VI, p. 107-154.
45Karl Jaspers, Psychologie… cit., Einl. 4 p. 38-42, IA, 2 p. 50-73, IB, 2 p. 94-100, II p. 122-124, IIC, II-III p. 166-188.
46Edith Stein, Der Aufbau… cit., VI, I-II p. 74-92; Edith Stein, Potenza e atto… cit., V 1-8 p. 147-236, VI, 1-23, p. 237-386; Edith Stein, Endliches… cit., VI, 4, 3 p. 293-296, VII, 9, 2 p. 362-365.
47Edith Stein, Endliches … cit., II, 7 p. 57-61, V, 5, 1 p. 239-241, VI, 4, 3-4 p. 288-296; Edith Stein, Vie della conoscenza di Dio, EDB, Bologna 2003, III, p. 115-120.
48Karl Jaspers, Psychologie… cit., IB, 2 p. 80-94.
49Karl Jaspers, Psychologie… cit., IA, 2c p. 61-65.
50Karl Jaspers, Psychologie… cit., Einl., 3, 1 p. 35, IA, 1c p. 61-65, IA, 2 p. 68-73, IB, 2c p. 93-94, IIB p. 147-160, IIC, II-III p. 166-188.
51Karl Jaspers, Psychologie… cit., IA, 3 p. 76-78, IB, 2c p. 88-89, IIC, II p. 166-177
52Edith Stein, Potenza ed atto… cit., I, III, 8-13 p. 117-137; Sarah Borden Sharkey, Thine own self. Individuality in Edith Stein’s later writings, The Catholic University of America Press, Washington 2010, 2-4 p 36-115.
53Edith Stein, Endliches… cit., V p. 239-279.
54Max Scheler, Idealismo-Realismo, Editorial Nova, Buenos Aires 1962, p. 7-10, II, 1, p. 11-13.
55Karl Jaspers, Psychologie… cit., II p. 122-133.
56Edith Stein, Der Aufbau… cit., V, II, 1-10 p. 59-73, VII, I, 1-2 p. 93-99; Edith Stein, Endliches… cit., VI, 1-7 p. 280-232, VII, 1-11 p. 303-394. Sarah Borden Sharkey, Thine own self… cit., Introd. p. XX-XXVII, 1 p. 20-25, 2 p. 26-40, 2 p. 54-58, 3 p. 56-64, 4 p. 115-126.
57Edith Stein, Potenza… cit., VI, 26, i-j p. 380-386; Jean Hering, “Bemerkungen über das Wesen, di Wesenheit und die Idee“, Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung, IV, 1921, p. 495-543.
58Karl Jaspers, Psychologie… cit., Einl., 1 p. 1-7
59Karl Jaspers, Psychologie… cit., IA, 2a p. 55-59.
60Karl Jaspers, Psychologie… cit., IA, 3 p. 73-78.
61Karl Jaspers, Psychologie… cit., IIA p. 133-147.
62Karl Jaspers, Psychologie… cit., II C p. 160-188.
63Edith Stein, Endliches… cit., VI, 4 p. 288-302; Chantal Beauvais, “Edith Stein et Erich Przywara: la reconciliation du noetique et de l’ontique”, Laval théologique et philosophique, 61 (2) 2005, 319-335.
64Karl Jaspers, Psychologie… cit., IA, I p. 44-50.
65Karl Jaspers, Psychologie… cit., II p. 122-133.
66Karl Jaspers, Psychologie… cit., IIB p. 147-160.
67Vedi nota 11.
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