Il racconto narra del re Agide IV, che visse a Sparta tra il 265 ed il 241 a.C., ed inoltre vi regnò per pochi anni, entrando poi nel novero di quei re per così dire veramente “galantuomini”, i quali pagarono il loro purissimo idealismo politico con il ludibrio e la morte.
Vittorio Alfieri ne parlò in una delle sue tragedie, non a caso dedicata al quel Carlo I di Inghilterra che, come Agide ed altri pochi altri re di questa fatta, trovò la morte nel corso della rivoluzione di Cromwell. E peraltro proprio per le sue convinzioni religiose.
La vicenda è narrata da un punto di vista molto personale, il cui nucleo è quello del valore da noi attribuito alla politica ideale, cioè intensamente etica, vissuta da un Agide immaginario (e molto autobiografico) sullo sfondo di un processo di evoluzione spirituale che lo porta poco a poco a chiarire il mistero dell’identità profonda, divino-umana, di ogni uomo.
Anche in questo racconto trovano voce molte letture contemporanee allo scritto, letture filosofiche e letterarie : ‒l’Apologia di Socrate ed il Critone di Platone, Il Poema sulla natura di Parmenide, gli scritti dei filosofi presocratici, la metafisica indù dei Veda, della Baghavadgita e delle Upaniṣad, la metafisica mazdeico-avestica e la metafisica ebraica dello Zohar (molte delle riflessioni qui esposte sono quelle già da noi trattate nel saggio La rivolta della fedeltà in nome del mistero e contro la ragione).
Anche qui si rende presente comunque l’Oblomov di Gončarov, da noi considerato prototipo umano della Quiete come supremo valore metafisico. Ed inoltre lo scenario storico-culturale è dedotto dall’opera di Arnold Toynbee dal titolo “Il mondo ellenico”, entro il quale è nata in noi la suggestione del possibile operare entro la vicenda di Agide del mistero delle due divinità concorrenti con il Cristianesimo al tempo dell’Impero romano, e cioè Mitra e Giove Dolicheno.
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