Ho letto Deleuze E precisamente il suo “Che cos’è la filosofia?”
Cosa può essere questo? La confessione della vergogna per non averlo ancora letto? O la confessione della vergogna per averlo fatto? O nemmeno si può parlare di vergogna ma magari appena di colpevole ed inconfessabile imbarazzo?
Forse è proprio questo. Perchè, anche se sono un dottorando in filosofia non è con questo spirito che ora sto parlando dopo questa lettura. E nemmeno con questo spirito ho aperto il libro di Deleuze per poi chiuderlo dopo poco. Troppo poco, devo dire.
E questo significa appunto che non posso proprio parlare come un filosofo. Devo infatti limitarmi ad illazioni più che a fondate riflessioni critiche.
Eppure da Deleuze cercavo proprio questo : ‒ aiuto nella mia ricerca critica verso la filosofia istituzionale.
E il guaio è che Deleuze critico verso la filosofia istituzionale lo è per davvero. La sua tesi è che filosofare non è fare il professore dei concetti ma è invece fare il creatore dei concetti. Cosa ne viene fuori però?
Ne viene fuori che nè nei concetti nè nella filosofia vi è in realtà alcunchè di oggettivo. Così come nel mondo al quale entrambi si rifanno. Deleuze non si pronuncia in verità affatto sul mondo nè sulla scienza che lo studia. A lui interessa solo definire cos’è filosofia. E dato che per lui la filosofia è concetto e solo concetto, quale creazione (soggettiva, lo voglia o no), allora in essa non è nemmeno il caso di parlare nè di oggettivo, nè di mondo nè di essere. Per la verità non è il caso di parlare nemmeno di soggetto, visto che esso, nel suo creare filosofico, si limita ad agire e non ad imporre la sua presenza. E se lo fa, dice il pensatore, diviene anch’esso appena un concetto. E come tale viene immediatamente espropriato della sua esistenza oggettiva.
È chiaro che in tal modo non è data alcuna storia della filosofia. Deleuze, nella sua dottrina di riedizione dell’eterno ritorno all’uguale (Nietzsche), non può fare altro che darci della filosofia l’immagine di un infinito andare e venire alternante di produzioni concettuali, che così come emanano allo stesso modo si ritraggono su se stesse. E tutto ciò non può che avvenire su un piano, quello della filosofia, che non è altro che una stupefacente quanto allucinatoria sezione del corpo del pensiero nella sua interezza. Da un lato e dall’altro c’è il pensare (“riflettere”) comune, quello della vita ingenua e della scienza. Nulla a che fare con quello della filosofia, che è creazione pura e fine a sè stessa. Dichiaratamente “inutile”. (altro…)
Posts Tagged ‘Heidegger’
Gilles Deleuze e la moderna filosofia
Posted in filosofia, SAGGI, tagged creare concetti, deleuze, filosofia moderna, Heidegger, psichiatria e filosofia on 29 agosto 2014| Leave a Comment »
Il tardo Heidegger ? ‒ lo scritto “Holzwege”
Posted in RECENSIONI, tagged anassimandro, archeologia, città, civiltà, distruzione, ecologismo, grecità, Heidegger, martin heidegger, materialismo, modernità, morale, nazismo, scheler, titanismo on 27 novembre 2012| 4 Comments »
[Abstract:
Tale recensione tratta del libro di Martin Heidegger dal titolo Holzwege, un libro in cui furono pubblicati postumi diversi saggi scritti dall’autore prima, durante ed immediatamente dopo la seconda guerra mondiale.
Per la data della sua pubblicazione, il 1956, il libro passa, almeno per quanto ne dice lo storico Ernst Nolte, per una testimonianza di un tardo Heidegger, ormai lontanissimo dal suo impegno nazionalsocialista ed estremamente prossimo ormai tutto sommato alle tesi di quel movimento che poi si sarebbe manifestato nel tempo come ecologismo verde tedesco.
La mia recensione mostra comunque che il filosofo, anche in questo suo nuovo volto, non fu affatto lontano dalla sua passata identità filosofico-politica ed ideologica e soprattutto non fu affatto lontano dal sostegno offerto alle tesi di un nichilismo titanico a sua volta al servizio di potenti forze di Distruzione, ma affatto conservatrici (come si è portati troppo facilmente a credere).
È su questa base che la complessiva posizione sostenuta da Heidegger in questo libro può essere considerata equivalente ad una visione filosofica che intende affermare una forma estremamente moderna di ultimativo e radicale Materialismo.
E tale visione non solo non mi sembra che dia alcuna vera risposta alle tremende sfide della Modernità ma addirittura contribuisca non poco al loro prodursi.
Testo recensione:
Decisamente non ci si può proprio sottrarre al fascino accattivante della lettura di Heidegger, ed Holzwege1 non si sottrae certo a questa regola.
Il libro, come ci racconta Ernst Nolte2, rappresenta a suo parere in pieno l’Heidegger tardivo, quell’Heidegger che, come ho raccontato nell’altra recensione di suoi testi3 , era sopravvissuto straordinariamente incolume alle tremende tempeste del dopoguerra post-nazionalsocialista.
Incolume non è certo l’espressione più appropriata, dato che poco mancò che il filosofo si togliesse la vita per l’umiliazione e la vergogna che subì dopo la guerra. Ma fatto sta che, come ho già raccontato4, con questo ed altri libri egli si ripresentò al mondo non più come filosofo del nazismo ma invece come filosofo in qualche modo della riscossa ecologica dell’uomo contro la modernità e la tecnica.
Ed in tal modo egli senz’altro riprese le fila di un’ispirazione iniziale ( e quindi di una sostanziale buona intenzione) che la compromissione con il nazismo aveva poi oscurato fin quasi ad annientarla. Ci tengo comunque a sottolineare che tale ispirazione e buona intenzione fu e restò autenticamente conservatrice, indicando così a noi come e quanto il conservatorismo autentico non sia affatto coinvolto nelle vergogne della destra storica.
Almeno è così, comunque, che la sua filosofia tarda ci viene presentata da Nolte.
Ciò è però abbastanza difficile da credere, visto che non è affatto arduo, nel presente libro, riconoscere ancora ben distinto quel filosofo del nazismo dietro il quale si nascondeva più che altro in realtà il pensatore di un estremo materialismo immanentista. (altro…)
I dialoghi di giorni senza fine e la Biblioteca universale ‒ il sogno di Heidegger
Posted in I MIEI LIBRI, tagged Heidegger, leopardi, mishima, pessoa on 21 novembre 2012| 2 Comments »
Ho da poco ultimato la stesura di un nuovo racconto. Eccone una sintesi in abstract.
L’autore resta disponibile, per chiunque sia interessato ad essa e ne facesse richiesta, all’invio di una copia cartacea per via postale.
La storia comincia con un risveglio, quello di Giacomo Leopardi dopo la morte, in una casa sconosciuta in cui egli ritrova due uomini a lui affini che poi si riveleranno Fernando Pessoa ed Yukio Mishima. La casa è tutta in un’ampia stanza, dietro la quale, in una fitta penombra si nasconde un’immensa biblioteca, nella quale compaiono sia i libri pubblicati sia quelli mai pubblicati ma comunque scritti. In questa biblioteca si rende poco a poco manifesta la presenza occulta di Martin Heidegger, che diviene sempre più l’oggetto esplicito e non esplicito dei dialoghi dei tre uomini.
I dialoghi rappresentano un percorso di catarsi dei tre poeti e pensatori per riscattarsi dei necessari errori intellettuali e morali, equivalenti ad altrettante parziali opinioni (ovvero molto parziali riflessi della verità), che essi hanno dovuto commettere in vita per assolvere al compito storico di opporsi all’idealismo sentimentalista.
Errori che si rivelano confinare sempre con la possibilità di un peccato, ma che comunque verranno riscattati nel cammino faticoso verso l’unità che, nelle condizioni della vita non più mortale, viene ad essere finalmente possibile. E con essa si apre la possibilità di un perdono.
Non però per chi, come Heidegger, oltre che di errori si è macchiato anche di un vero e proprio aperto peccato (da intendere con ciò è tutto ciò che ruota intorno alla sua adesione al nazismo, e cioè, nell’essenza, soprattutto il suo tradimento dell’iniziale vocazione di filosofo cristiano e quindi il suo tradimento della vera metafisica per una metafisica immanente e ferina), ed intorno a questo ha permesso che si muovesse l’intera sua vita.
Eppure anche per questo si profilerà alla fine il perdono, un perdono che qui avrà l’aspetto di un vero e proprio miracolo. Una possibilità insomma di gioia al di fuori di ogni misura, ovvero la traduzione in definitiva del concetto paolino-agostiniano di felix culpa.