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Archive for dicembre 2014

In uno dei testi di Edith Stein (Aufbau der menschlichen Person, IV, 3, p. 48-49) si giunge ad una delle più estreme conclusioni morali possibili sulla base della dottrina della persona, ovvero dell’assoluta ed irripetibile unicità umana.
E ricordo qui soltanto di sfuggita che essa è fortemente consonante con il centrale concetto cristiano della nascita di Dio in forma umana, cioè della nascita divina in un supremo e paradigmatico Bambino, che a sua volta sembra assommare in sé proprio l’unicità irripetibile nella sua massima espressione. Quella dell’assoluto Uno divino che l’intero neoplatonismo, pagano e cristiano, ha sempre riaffermato.
La conclusione cui giunge la Stein è la seguente. Posto che è impossibile supporre nell’animale un’individualità così strenua come quella umana, e posto allora che proprio qui risiede una delle più rilevanti differenze essenziali tra animale ed umano, allora bisogna dedurne che “…presso l’uomo l’individualità assume un nuovo senso, che non è possibile riscontrare in alcuna creatura sotto-umana”.
Ora l’uso dell’aggettivo “sotto-umano” ci può rinviare tanto al suo uso anti-umano di tipo razzistico (da parte di quel nazismo di cui la Stein stessa finì per essere vittima in quanto ebrea) quanto al suo uso pro-umano di tipo anti-animalista. Di quest’ultima colpa dunque la pensatrice stessa si sarebbe qui macchiata, e proprio in forza della sua passione nel difendere la dignità umana.
È da supporre insomma che la sua affermazione appena citata possa far fremere di sdegno sia il razzista-nazista sia l’animalista. Sdegno che nel primo caso sarà dovuto alla collera per il veto morale opposto alla  ferocia anti-umana, e nel secondo caso sarà dovuto ad un vero e proprio orripilare per una presunta ingiustizia (e conseguente ferocia) anti-animale.
Dov’è la verità?  Non è davvero facile dirlo. Così come non è difficile constatare la nobiltà d’animo della battaglia condotta da tanti animalisti. Si tratta però di una battaglia condotta da uomini e quindi in nome di sentimenti e valori propriamente umani. Valori animali infatti non sono finora noti.
Dall’altro lato la constatazione della Stein circa la natura dell’individualità umana,  è assolutamente inoppugnabile. Basti pensare al fenomeno, da lei stessa citato, dello spontaneo orrore suscitato in noi da un Doppelgänger (sosia) umano, e non invece da un Doppelgänger animale o vegetale.

A conclusione di questa riflessione c’è allora da chiedersi se, nel così complesso e controverso scenario della modernità, un fenomeno come l’allargarsi dell’animalismo non sia andato di fatto di pari passo con l’ormai storico allargarsi del razzismo entro lo stesso contesto culturale e sociale. Insomma, per essere più espliciti, non è che gli animalisti sono stati in fondo complici dei Lager nazisti e stalinisti?
Di nuovo è difficile rispondere. Ma di certo l’attenuazione a qualunque titolo dell’estremismo dell’affermazione fatta dalla Stein circa l’individualità umana ha l’inevitabile conseguenza di rendere possibile che un uomo possa effettivamente essere considerato un “Untermensch”. E ciò sostanzialmente perché non sarà più considerato ovvio che egli è una creatura nel pieno senso del termine, e cioè un’irripetibile creatura divina, ovvero un dio-uomo in piena regola. Un dio in forma umana. Ma siccome, nel considerare l’altro un Untermensch, noi attribuiremo a noi stesso proprio questa somma dignità creaturale, allora tutto ciò significherà che l’altro non è più nostro fratello in Dio (o meglio in Cristo).
Circa il contesto e senso storico dell’attenuazione (fino alla negazione) di tutti questi concetti (così cristiani) bisognerebbe interrogarsi profondamente. Essi si compiono infatti in uno scenario estremamente vasto di pensiero, che risale a molti concetti anti-religiosi dell’Illuminismo. Concetti che oggi si trovano rappresentati lungo un arco di posizioni ideali che copre di fatto tutto lo scenario delle convinzioni laiche, da quelle liberali a quelle di estrema sinistra e di estrema destra.
Insomma su tutto ciò vi è moltissimo da meditare. E dunque facciamolo!
La nostra compagna di pensiero sarà, come in tanti altri aspetti e momenti della nostra riflessione, proprio la grandissima Edith Stein, o anche Santa Theresia Benedicta a Cruce.
Oggi, non a caso, una delle tre patrone d’Europa.

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Parlarne è veramente brutto lo so. Forse effettivamente bisognerebbe solo tacere. Eppure non si può farlo. Eppure bisogna parlarne. Nostro malgrado ed inoltre a danno dei protagonisti.
In ogni caso ora, nel caso della mamma di Loris, è venuto il turno degli psichiatri. Come del resto sempre.
Una volta invece sarebbe arrivato il turno dei “moralizzatori”. Ma da tempo ormai non accade questo. E, nonostante la retorica forse addirittura vuota e falsa che li contraddistingueva, siamo certi che gli psichiatri costituiscano un processo rispetto ad essi?
Non nego naturalmente (non potrei!) che casi come quelli di Santa Croce Camerina (così come quelli di Cogne) necessitino di un’esplicazione psichiatrica. Ma il fatto è che la psichiatria c’entra solo in parte, e precisamente non come “esplicazione”. Fatti come questi richiedono infatti interpretazioni ben più ampie. Altrimenti restano di fatto non spiegati.
Dunque, per capire il perché di cose come queste ci dovremmo soprattutto interrogare sul perché esse siano ormai all’ordine del giorno. E soprattutto ci dovremmo chiedere perché così facilmente proprio su questo invece non ci interroghiamo. Ciò accade esattamente perché le cose sono cambiate sotto i nostri occhi in un modo macroscopico ed eclatante (e cioè decisamente in peggio) ma senza che nessuno, dato che il cambiamento veniva dato per scontato, si fosse mai posto il problema di pronunciare un “no”, di porre un argine. Anzi, per la verità, chi proponeva “no” ed “argini” è stato sempre messo in minoranza ed inoltre anche sbeffeggiato.
Iniziò tutto un po’ di tempo fa, e nella sfera rarefatta ed élitaria dei filosofi. Iniziò con quel Nietzsche, e simili, che chiesero la testa di tutto ciò che portava il nome di “valore”, “ideale” e “sovramondo”, insomma più in generale di “morale”. La ferinità sembrava loro ormai più fisiologica, più autentica, più sana, più viva, più umana. E così la invocarono. E la testa delle antiche chimere “metafisiche” loro la ottennero. E per sempre.
Da allora iniziò l’inarrestabile china discendente. E così dopo i filosofi vennero vari ordini di intellettuali. Ed infine, come sempre, venne l’uomo comune. La massa. Noi! Noi tutti! E così venne anche la vita di tutti i giorni, il quotidiano, l’usuale, il diffuso, il “normale”.
Ed allora, come si dice a Napoli, “qui fu Napoli!”.
Si perché è divenuto del tutto normale che si possa ospitare nel proprio cuore il desiderio di ammazzare un figlio, per il semplice fatto (oggi ampiamente comprensibile!) che questo figlio, venuto troppo presto, ha distrutto per sempre la nostra vita. C’è tutto un percorso che reca fino al possibile omicidio, e questo percorso include cose del genere del “corso di cucina”. Ovvero ciò che rientra nei costumi del nostro usuale, quotidiano, normale edonismo. Inoltre include, come altrettanto normale, che deviazioni come queste possano essere risolte con un “trattamento psichiatrico”. Come se una malattia collettiva non esistesse più solo perché si è curato il singolo!
Cosa che può anche essere vera per le malattie del corpo (come le varie pesti), ma non per questo genere di malattie collettive.
Ovviamente, in tali così normali (quasi generalmente condivise!) circostanze, l’omicidio può venire o anche non venire. In relazione alla forza maggiore o minore di quella voce che parla da dentro. Ma il fatto è che quella voce è “normale”, è “comune”, è “media”, cioè parla di assassinio così come cose di cui parliamo tutti e di cui sentiamo parlare tutti. Cioè parlano di “io, io, io…!”, del “me” come di un assoluto idolo. Al quale tutto può essere sacrificato.
Parlano insomma dei non-valori (del genere del “corso di cucina” e della “psicoterapia”, etc.) in nome ed in forza dei quali tutti ormai agiamo.
E qui c’è naturalmente chi è più dotato di mezzi, o di “risorse” (come dicono oggi proprio gli psichiatri). E costui avrà probabilità molto maggiori di vivere questo normale e quotidiano edonismo alla grande e da vincente. Dunque senza doversi trovare nella necessità di commettere per esso un omicidio. E c’è invece colui al quale (come la mamma di Loris) l’esistenza non ha concesso questo lusso e questa libertà.
Ma le condizioni esistono egualmente per tutti. Tutti noi! E’ questo che è terrificante. Non l’omicidio della povera mamma di Loris. Vittima almeno quanto carnefice, come lo siamo tutti. E non a causa delle “ingiustizie della società” (come una volta si diceva) ma invece per nostra espressa volontà.
Siamo cioè noi gli autori e protagonisti di tutti questo. Noi insieme alla mamma di Loris.
Guarda caso chi è che l’ha giurata di morte? Chi sta in galera, ovvero chi ha il diritto di parlare meno ancora degli altri. Strano paradosso! I peggiori che giudicano i peggiori.

E perché ‒ ci si chiederà ‒ queste cose succedono sempre in luoghi come Santa Croce Camerina e Cogne?
Ma è ovvio! Perché proprio in questi luoghi ciò che doveva essere espugnato dal generale edonismo ancora non lo è stato del tutto. Come invece è accaduto da tempo nelle grandi ed anonime città, dove ormai il godimento edonista è ben più a portata di mano e scontato.
Lì, in quei luoghi, c’è ancora tensione tra la sanità e l’insania collettiva. Anche se ormai l’ago della bilancia pende decisamente dal lato di quest’ultima. E dove ci sono tensioni ci sono esplosioni. Segno, ognuna di esse, di un nuovo “crac”, di una nuova crepa apertasi nella compattezza dell’”ordine”. Intendo con ciò l’ordine cosmico e non quello politico. È l’edificio che si sgretola, crepa dopo crepa. Laddove c’è ancora un edificio. Altrove ci sono invece già da tempo solo macerie fumanti e fetide.
Ebbene, cosa c’era in questi luoghi poco fa, prima che l’espugnazione iniziasse?
Come ho già detto molte volte, c’era la noia. La vecchia, millenaria, sana e protettiva noia. Quella che fa campare cent’anni e mediamente bene, cioè quasi senza scosse (come quella di notizie di cronaca come questa). C’erano dunque esistenze in cui non ci venivano risparmiate mortificazioni del nostro oggi così glorioso ego. Anzi esistente in cui la mortificazione era la regola. E così era molto più facile, per condivisa fede collettiva (giusta o sbagliata che fosse), accettare che potesse anche venire a 15 anni un figlio a cambiarci la vita, ma senza che avessimo la netta impressione che ce la aveva distrutta.
C’erano, sì, il perbenismo, l’ipocrisia, il conformismo, la grettezza, magari anche “la violenza”. Tutto quello che volete. Ma comunque non si arrivava a pensare di poter un giorno ammazzare questo figlio. La madre insomma non era giunta a poter essere, entro la collettiva latenza, “normalmente” assassina. La psichiatria poteva allora dominare in alcuni casi isolati ma non in modo diffuso, ovvero collettivo.

Ma guardate, dunque, in faccia alle persone di oggi là dove vivete!.
Guardate in faccia alla giovane tabaccaia che vi serve con sguardo impertinente, nel mentre il negozio gremito di chincaglierie risuona di musica “salsa” ad altissimo volume. Guardatela mentre vi fissa con quello sguardo vuoto e colmo di sfida, mentre si ingegna con sforzo nel reprimere, per una chissà quale decenza, le movenze di danza che la musica le ispira. Guardatela la novella Baccante che muore dalla voglia di gridarvi : “Ma che cazzo vuoi tu? Che cazzo volete tutti? Io non voglio altro che godere!”.
Ebbene, miei cari signori (se è ancora ammessa un’espressione così antiquata), questo è quanto!.
È banale, all’ingrosso, forse anche becero, quello che vi sto dicendo. Ma vi assicuro che è la pura verità.
A quando allora il nostro collettivo ricrederci? A quando il nostro risvegliarci da quel sogno che considera “normale” tutto ciò che è successo ed il punto al quale siamo arrivati? A quando la rinuncia agli psichiatri e la decisione, invece, di rimboccarci le maniche ed iniziare da noi stessi, da ognuno di noi, da noi tutti? Da me, da te! Senza puntare il dito, se non contro noi stessi.
E cominciando anche dai luoghi e dai modi infernali in cui ormai viviamo.
Infernali non perché “sono stati resi così….” (dall’ingiustizia, dal capitalismo, da questo e da quello….) ma solo e soltanto perché, molto semplicemente (banalissimamente) noi stessi abbiamo tollerato che tali venissero resi.

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