I motivi per ricollegare Edith Stein allo Spiritualismo sono davvero molti. Innanzitutto esso stesso emerge in vari modi nel di lei pensiero. Infatti già dalla lettura delle sue prime opere la sua forte insistenza sulla natura spirituale dell’anima, ed anche dello stesso Io, ci suggerisce che la sua intera visione dell’interiorità umana sia stata sempre dominata dalla primarietà dell’elemento spirituale, e peraltro prima ancora che interferisse in questo in maniera significativa la fede cristiana [Edith Stein, Introduzione alla filosofia, Città Nuova, Roma 1998, IIA, 6 p. 169-170, IIB, 1-7 p. 171-196, III, 1 p. 197-206; Edith Stein, Psicologia e scienze dello spirito, Città Nuova, Roma 1996, I, 3, 1-4 p. 72-92, II, 1, 2-3 p. 173-216; Edith Stein, Der Aufbau der menschlichen Person, ESGA 14, Herder, Freiburg Basel Wien 2001, VI, I-II p. 74-92; Edith Stein, Potenza e atto, Città Nuova, Roma 2003, V 1-8 p. 147-236, VI, 1-23 p. 237-386; Edith Stein, Endliches und ewiges Sein, ESGA 11/12, Herder, Freiburg Basel Wien 2006, VI, 4, 3 p. 293-296, VII, 9-11 p. 360-396]. Abbiamo sostenuto questo in alcune nostre passate ricerche, non senza sottolineare che questo tendenziale e già precoce spiritualismo riduce sensibilmente la portata della natura fenomenologico-husserliana del pensiero steiniano, presentandosi quindi come un suo tratto caratteriale ben più di quest’ultima [Vincenzo Nuzzo, “Edith Stein: vivere a partire dall’anima, in: Prospettiva Persona, 95-96 (Gennaio-Giugno), 2016 p. 92-95; Vincenzo Nuzzo, “L’orizzonte platonico del pensiero steiniano. Anima, ragione e spirito”, in: Andrea Muni (a cura di), Platone nel pensiero moderno e contemporaneo, Vol. IX, 2016 p. 129-170]. In questa sede avevamo supposto che questo suo spiritualismo fosse di natura platonica. Abbiamo poi sostenuto questo in maniera ancora più sistematica in un saggio (ancora non pubblicato, ma presentato nel nostro blog) che abbiamo dedicato alla natura neoplatonica del pensiero da lei sviluppato nell’ultima fase mistica della sua opera [Vincenzo Nuzzo, Il platonismo di Edith Stein dal punto di vista della fase mistica del suo pensiero, in: https://cieloeterra.wordpress.com/2018/12/24/il-platonismo-di-edith-stein-dal-punto-di-vista-della-fase-mistica-del-suo-pensiero/%5D ed inoltre anche nel nostro tentativo di accostare il suo pensiero a quello di Eckhart [Vincenzo Nuzzo, “Il pensiero di Edith Stein sullo sfondo del pensiero di Meister Eckhart. Ovvero il neoplatonismo steiniano”, Dialeghestai, 30 Dicembre 2016 < https://mondodomani.org/dialegesthai/vn02.htm >]. Tuttavia, però, poco a poco abbiamo dovuto ammettere che questi nostri argomenti erano troppo estremistici per vari motivi.
Il primo motivo è che la stessa Fenomenologia di Husserl era più o meno impregnata di uno Spiritualismo che era sempre stato presente già da Cartesio in poi e si era notevolmente accentuato dopo l’Idealismo tedesco (contenendo peraltro anche alcune tracce di platonismo, sebbene però ridotto a sola teoria della conoscenza). E ciò in Husserl si tradusse in una chiara postulazione dell’Io puro quale “spirituale”, così come anche l’atto intellettuale stesso – di fatto venne da lui considerato spirituale l’Io rivolto (auto-conoscitivamente) verso sé stesso, ossi verso il flusso di vissuti che lo costituisce [Edmund Husserl, Idee per una Fenomenologia pura, Mondadori, Milano 2008, I, II, II 37 p. 86-89, I, II, IV, 57 p. 143, I, III, II, 80-82 p. 200-206, I, III, III, 94 p. 239-242, II, Intr. 20 p. 528-529, II, I, 22-24 p. 534-541]. Il secondo motivo è che il platonismo steiniano esiste in maniera solo molto tendenziale, e cioè né esplicita né voluta. Per cui, se − com’è molto probabile [Luciano Montoneri, Il problema del male in Platone, Victrix, Forlì 2014, I, IV, 1 p. 78 I, IV p 129-136, I, IV, 5 p. 149-155, II, I, V, I p. 174-183; Paul Friedländer, Platone, Bompiani, Milano 2014 I, III p. 77-87; Romano Guardini, Der Tod des Sokrates. Eine Interpretation der platonischen Schriften Eutyphron, Apologie, Kriton und Phaidon, Topos, Kevelaer 2013, p. 170-171; J. Loewenberg, “Classic and romantic trend in Plato”, Harvard Theological Revue, X (8) 1917, 215-236 (p. 219-225; Vincenzo Nuzzo, Il Platone proibito e l’Idea come la più reale delle cose, Aracne, Roma 2017] − a Platone è attribuibile uno Spiritualismo, non è affatto detto che sia stato proprio questo quello professato da Stein. Anzi (ed ecco il terzo motivo) lo Spiritualismo platonico ha sempre avuto i caratteri di un «onto-spiritualismo», ossia di una visione (trascendentista, dualista e molto prossima alla Gnosi) secondo la quale l’unica e vera realtà (quella radicalmente trascendente) è quella spirituale, e lo è in forte conflitto con tutto ciò che è immanente, ossia mondo, materia e corpo [Vincenzo Nuzzo, “Platonismo e Gnosi”, in: I.V.A.N.Project (a cura di), Rassegna storiografica decennale, Limina Mentis, Villasanta (MB), Voll. IV, 2018 p. 228-255]. Inoltre, propria a causa di queste sue caratteristiche, lo Spiritualismo platonico è stato sempre fortemente imparentato con quello Spiritualismo delle metafisiche religiose orientali che in alcune nostre ricerche abbiamo indicato come «idealismo vedantico» [Krishnachandra Bhattacharyya, Studies in Vedantism, Calcutta University Press, Calcutta 1909; Vincenzo Nuzzo, “Esplorazione di un ipotetico idealismo «puro» entro l’idealismo vedantico”, in: I.V.A.N. Project (a cura di), Frammenti di filosofia contemporanea, Limina Mentis, Villasanta (MB), Vol. XXIII, 2018, p. 121-164; Vincenzo Nuzzo, “Tentativo di rilettura metafisico-religiosa dell’«idealismo della coscienza» – riflessioni sugli Aforismi di Śiva”, in: I.v.a.n. Project (a cura di), Frammenti di filosofia contemporanea, Limina Mentis, Villasanta (MB) 2017, Voll XX, p. 65-78]. Va però anche detto che tale Spiritualismo si lascia fortemente appaiare anche a quello che poi indicheremo come Spiritualismo pneumatico. Infatti esso ha voluto vedere lo Spirito stesso soprattutto come essenza profonda ed occulta di tutte le cose mondane − “jīvātman” (nucleo essenziale della cosa), parola o “udgïta” (vibrazione acustica profonda e centrale), “prāna” (essenza della funzione sensoriale), “etere”, o “iod” o “ākāśa” (essenza dell’anima incarnata, o cuore, equivalente a sua volta all’evangelico “granello di senape”) [René Guénon, Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano 1975, 57 p. 300-304, 69-75 p. 355-396; Chāndogya Upaniṣad, in: Raphael (a cura di), Upaniṣad, Bompiani, Milano 2010, I, I, 1-10, p. 293-295; Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad, ibd., IV, IV, 1-3, p. 191-192; Māṇdūkya Upaniṣad, ibd., III, 3, 1-48, p. 1059-1073]. Inoltre questo pensiero ha inteso lo Spirito divino trascendente esattamente come un Pneuma (“vāyu”, o “soffio” o ancora semplicemente “aria”), ossia come una sostanza aerea, mobile, onticamente inconsistente ed inafferrabile, ossia come un vento o meglio ancora come l’aria stessa [Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad, in: Raphael, Upaniṣad…cit., III, VII, 1-23 p. 130-137; Chāndogya Upaniṣad, ibd., IV, III, 1-8 p. 418-421; René Guénon, Simboli…cit., 42 p 234-237; René Guénon, L’uomo ed il suo divenire secondo il Vêdanta, Adelphi, Milano 1982, 5 p. 49-52, 8-9 p. 63-72, 18 p. 117-121, 21 p. 135-145]. E peraltro viene anche riconosciuta la sua presenza non solo nel mondo ma perfino entro le funzioni del corpo e dell’anima umani. In Platone potremmo riconoscere qualcosa del genere nell’intendimento dello Spirito come “eros”, ossia come forza ascensiva che eleva materia e corpo verso il mondo trascendente dell’essenze ideali divine [Luciano Montoneri, Il problema… cit., I, IV, 4 p. 134-136; Paul Friedländer, Platone…cit., I, III p. 77, II, II, 20 p. 738-749].
Ecco quindi che emerge uno Spiritualismo antico (di tipo prevalentemente orientale, ma anche occidentale) che è caratterizzato da un versante «onto-spiritualista» e da un versante «penumatico». Ma questi due aspetti appaiono piuttosto contraddittori tra loro; dato che il primo pone lo Spirito come solida realtà ontica (sebbene trascendente ed immateriale, ossia ideale) ed il secondo invece lo pone appena come essenza estremamente sottile della realtà, e cioè di fatto come una non-realtà; ossia come una sorta di vuoto pregno di energia (molto prossimo al Nulla) che starebbe nelle profondità abissali di ogni cosa. E ciò corrisponde poi abbastanza bene al simbolismo universale del “cuore” quale autentico centro dell’uomo ed anche del cosmo – è insomma un centro in cui tutto converge, ossia una sorta di centro dei centri.
La contraddizione tra i due intendimenti di Spirito forse però cessa se consideriamo che il primo si interroga sul «dove» si trovi la realtà più autentica in quanto spirituale (se a livello trascendente-ideale oppure immanente-mondana e reale), mentre il secondo si interroga sul «come» è internamente ed ultimamente costituita la realtà spirituale.
Tuttavia sta di fatto che questo genere di Spiritualismo non è mai appartenuto alla tradizione del pensiero moderno (prevalentemente occidentale), il quale più che altro si limitava a identificare lo Spirito con la Ragione umana e anche divina, oltre che con l’Intelletto ed in generale, con l’interiorità e con la coscienza. Quest’ultimo è quindi semmai un «onto-intellettualismo» (secondo il quale il vero essere è quello interiore) ma ancor più precisamente si è sempre trattato di un idealismo fortemente gnoseologistico – entro il quale la questione prevalente era quella della conoscenza («teoria della conoscenza», o Erkenntnistheorie) e non certo invece l’essere o la realtà. Esso insomma non si preoccupava affatto né del luogo (ideale o reale) dove risiedeva la più autentica e piena realtà, né della possibile costituzione metafisica più intima, e cioè spirituale (ossia immateriale) della realtà stessa. Entro questa visione, quindi, lo Spirito viene invocato solo a fini conoscitivi.
Ebbene molto probabilmente proprio questo è stato lo Spiritualismo al quale si è costantemente rifatta Stein. Infatti mediamente è proprio questo che ritroviamo nel suo pensiero. Eppure però vi sono comunque piuttosto sorprendenti suggestioni che lasciano pensare ad una sua sottostante visione ben più ampia e profonda dello Spiritualismo. Se ne può avere il sentore sia esaminando le idee che ella ebbe in comune con Gerda Walther – la quale professò uno Spiritualismo davvero estremo che addirittura sconfinava nello spiritismo [Vincenzo Nuzzo, “La filosofia religiosa di Gerda Walther e di Edith Stein”, Prospettiva Persona, 103, 2018, 49-52]−, sia esaminando le idee che ella condivise con Hedwig Conrad-Martius – dalla quale attinse il materiale di quei “Metaphysische Gespräche” che furono di così decisiva importanza nella sua opera [Hedwig Conrad-Martius, Metaphysische Gespräche, Forgotten Books, London 2018; Vincenzo Nuzzo, “L’evoluzione nel pensiero di Hedwig Conrad Martius e Edith Stein” < Vincenzo Nuzzo, L’evoluzione nel pensiero di Hedwig Conrad Martius e Edith Stein. | cielo e terra (wordpress.com)>] –, sia infine tenendo conto anche delle possibili assonanze giudaico-esoteriche della sua complessiva visione metafisico-religiosa e soprattutto della concezione dell’anima spirituale [Vincenzo Nuzzo, “Edith Stein e l’ebraismo religioso”, Philosophica, 51, 2018, 81-95]. Ma l’argomento più convincente per sospettare in lei questo genere di Spiritualismo è certamente quello delle sue stesse argomentazioni, riflessioni e menzioni di elementi metafisici di tipo spiritualista.
Entro i suoi testi vi sono sostanzialmente due luoghi dottrinari che giustificano questo. Il primo luogo dottrinario compare nel testo “Der Aufbau der menschlichen Person” (AMP), e consiste nella sua decisa scelta del significato di “spiritus” per concepire ciò che è Spirito, in radicale alternativa con gli altri significati rappresentati da “mens”, “intellectus” e “ratio” [Edith Stein, Der Aufbau …cit., V, II, 1-3 p. 99-103, VII, III, 3-4 p. 114-129]. Laddove ella chiarisce che lo Spirito in quanto “spiritus“ non è altro che il “Pneuma“ divino della tradizione cristiana ed anche il “Ruah“ della tradizione ebraica (equivalente pienamente al “vāyu“ in quanto “soffio“ o “alito“); elementi che compaiono entrambi nel Genesi per indicare lo Spirito divino come quel sottilissimo e mobilissimo elemento aereo che ha il potere di andare «dove vuole». E come vediamo qui ella fuoriesce molto decisamente dal moderno Spiritualismo filosofico-gnoseologista ed «onto-intellettualista».
Il secondo luogo dottrinario compare verso la fine della seconda parte del suo “Endliches und ewiges Sein” (EES) e consiste nel concetto paolino di “Soma pneumatikon”, ossia di fatto la corporalità spirituale [Edith Stein, Endliches und ewiges Sein, VII, 9 p. 387-389]. Orbene rispetto a tutto ciò diviene di nuovo estremamente prossima la riflessione esoterico-religiosa giudaica, dato che Stein stessa non esitò a menzionare il termine ebraico per il Pneuma, e cioè “Ruah”. Termine e concetto che si ritrova poi sia nella riflessione ebraica più ortodossa, come in quella di Maimonide [Mosè Maimonide, Il libro dei perplessi, UTET, Torino 2009, II,XXX, 244,20-252,15 p. 431-443], sia in quella più eterodossa di natura cabbalistica [James David Dunn, Window of the Soul. The Kabbalah of Rabbi Isaac Luria, Weiser Books, San Francisco 2008, 72-86 p. 99-100]. Ma oltre a ciò in particolare il concetto di “Soma pneumatikon” ci approssima in modo straordinario alle caratteristiche dello Spirito pneumatico che poi illustreremo più iin dettaglio grazie a Guardini.
Insomma al cospetto di tutti questi elementi si potrebbe ben pensare che Stein abbia professato una sorta di secondo Spiritualismo (incentrato soprattutto nelle realtà spirituali superiori, o “spiriti puri”, ed inoltre nello Spirito visto soprattutto come Vita divina, e peraltro nel suo significato chiaramente pneumatico).
Eppure questa visione spiritualista ha sempre giocato un ruolo soltanto di secondo piano nel suo complessivo pensiero. Il che è davvero sorprendente, come poi vedremo più approfonditamente nelle conclusioni.
In ogni caso (sia in generale sia rispetto al pensiero steiniano) le cose divengono piuttosto chiare solo quando ci si confronta con il moderno Spiritualismo che è strettamente intrecciato a quel Personalismo del quale Stein è stata senz’altro una dei principali esponenti. È insomma quello che abbiamo constatato nel riflettere sul materiale che ha dato vita al nostro recente saggio sullo Spiritualismo. Questo saggio non è stato pubblicato ma ne abbiamo presentato un’ampia sintesi nel nostro blog [Vincenzo Nuzzo, “Riassunto del saggio dell’autore dal titolo ‘Edith Stein, Nikolaj Berdjaev e il generale Personalismo’”. In: Vincenzo Nuzzo, Riassunto del saggio dell’autore dal titolo “Edith Stein, Nikolaj Berdjaev e il generale Personalismo”. | cielo e terra (wordpress.com)]. Qui ci si confronta infatti con uno Spiritualismo moderno che ha senz’altro molti volti, ma certamente non coincide né con l’«onto-spiritualismo» platonico-gnostico e vedantico né con quel generico Spiritualismo (che si approssima addirittura ad un certo spiritismo) per il fatto di concepire una serie di entità spirituali sovrannaturali delle quali gli “spiriti puri” angelici rappresentano certamente il livello più alto. Anche questo è una sorta di Spiritualismo, e peraltro Stein stessa se ne occupò sia nelle riflessioni che ebbe in comune con Conrad-Martius sia anche nelle sue ponderose traduzioni dei testi di Tommaso di Aquino [Edith Stein, Thomas von Aquin, Thomas von Aquin, Über die Wahrheit 1. Übersetzung III, ESGA 23, Herder, Freiburg Basel Wien 2008 II p. 43-98, IV p. 118-134, VIII p. 191-242, X p. 259-306; Edith Stein, Thomas von Aquin, Thomas von Aquin, Über die Wahrheit 2. Übersetzung III, ESGA 24, Herder, Freiburg Basel Wien 2008, XXII p. 568-612]. Tuttavia questo Spiritualismo si pone molto poco la questione di cosa sia lo Spirito (in assoluto ed oggettivamente), e quindi appena si limita a prendere atto del fatto che nell’universo esistono delle entità spirituali. In ogni caso va detto che comunque Stein si servì non poco di questa dottrina nel sostenere che la persona umana è anch’esse spirito in maniera molto simile a queste entità (specie agli spiriti angelici) [Edith Stein, Excursus sull’idealismo trascendentale, in: Edith Stein, Potenza… cit., g, p. 367-369; Edith Stein, Potenza… cit., p. 387-389; Edith Stein, Endliches und ewiges Sein, VII, 9-11 p. 360-396]. Quello che è certo è che questo complessivo Spiritualismo fu dottrinariamente molto estremo come invece quello personalista non fu affatto (a parte forse in Guardini). Va tuttavia anche precisato che lo Spiritualismo legato intimamente al Personalismo non si negò ad un unico elemento dello Spiritualismo più estremo, e cioè all’identificazione (spesso strettissima) tra Dio e Spirito. E questo senz’altro accadde anche in Stein.
Ebbene nello scenario di questo Spiritualismo personalista domina senz’altro la visione di Nikolaj Berdjaev.
Secondo il quale al Dio in quanto Essere ed in quanto Spirito corrisponde perfettamente l’uomo in quanto persona ed anche quale entità sostanzialmente spirituale; dunque per lui il Dio-Spirito equivale all’Essere nella sua più radicale originarietà. Il suo è senz’altro (almeno in questo senso) lo Spiritualismo più estremista che ritroviamo in tale contesto di pensiero. Lo è però in quanto (almeno in una certa misura) è «onto-spiritualista», dato che identifica il Dio-Spirito con l’Essere stesso. Vi è però (come vedremo) anche un altro Spiritualismo estremista nel contesto del pensiero personalista, ed è quello di Romano Guardini.
Il quale sostiene invece che il Dio-Spirito è l’esatto contrario dell’Essere, cioè è il Pneuma.
Nell’universo personalista vi sono però anche spiritualismi ben più moderati.
Ebbene esamineremo in questo articolo in maniera sistematica tutte queste visioni spiritualiste per mezzo di un’analisi testuale che costantemente terrà presente lo Spiritualismo steiniano come primario termine di confronto. Per una trattazione completa dell’intero panorama di pensiero qui implicato rimandiamo ovviamente al nostro saggio, dato che comunque in questo articolo considereremo solo alcuni pensatori personalisti. In particolare prenderemo in considerazione Berdjaev, Guardini, Maine de Biran e Mounier. Siamo consapevoli che lo scenario dello Spiritualismo non può essere affatto esaurito nel trattare questi autori; e tuttavia, data l’importanza decisiva (già giustificata) che ha lo Spiritualismo personalista, ci sembra che per il momento sia sufficiente questo. Per esempio va fatto notare che in questa nostra indagine c’è un grande assente, e cioè Blondel, ossia il massimo teorico dell’intendimento azionistico dello Spirito. Ed un altro grande assente in questa trattazione sarà anche Bergson (senz’altro esponente di uno Spiritualismo estremamente moderno e quindi vitalistico-materialistico). Ebbene, il motivo di tale assenza è semplicemente il fatto che non abbiamo letto un numero sufficiente di testi di questi autori. Intanto, comunque, è nostra norma trattare solo degli autori dei quali abbiamo letto e meditato i testi in modo ampio e profondo. Comunque vedremo delinearsi la presenza di questi pensatori entro la discussione del pensiero di Mounier.
Nel corso della nostra trattazione accenneremo soltanto molto brevemente alla possibile portata spiritualistica della visione metafisico-religiosa di Eckhart (ma senza poterci in alcun modo approfondire nella sua discussione). Per la precisione va detto però che egli concepì soprattutto un fortissimo «onto-intellettualismo», secondo il quale il Dio-Spirito è in primo luogo una suprema sostanza intellettuale (e tuttavia una sostanza assolutamente non ontica, e quindi molto prossima al concetto di Spirito pneumatico). Non a caso il suo Dio-Intelletto è decisamente apofatico. Ovviamente, a causa di tutto ciò, questo «onto-intellettualismo» non può coincidere in alcun modo a quello che abbiamo riconosciuto nel convenzionale Spiritualismo filosofico-gnoseologistico.
Aggiungeremo comunque (con Steinhart) anche una del tutto moderna riflessione sullo Spirito in modo da poter comprendere alla fine in che modo questa lunghissima tradizione di pensiero si sia tradotta oggi in una riflessione sostanzialmente riduzionistica e di vedute anche estremamente ristrette
In ogni caso va detto in partenza che lo Spiritualismo di Mounier è senz’altro quello più moderato, pragmatico e meno estremista. Ma comunque esso ha un’estrema importanza storica dato che il pensatore francese dedicò tutte le sue energie a quella rivista “Esprít” nella quale di fatto lo Spiritualismo moderno trovò la sede privilegiata della sua esposizione (dato che alla rivista presero parti attiva pensatori insieme personalisti e spiritualisti, come in particolare Lavelle e Le Senne).
E con ciò risulta chiaro che nel corso della nostra investigazione vedremo chiaramente che la concezione dello Spirito si allontana gradualmente dalla più radicale Trascendenza e contro-razionalità per divenire sempre più immanentistica e razionalista. Anzi forse possiamo considerare Berdjaev e Guardini come ricadenti in una sorta prima parte (o primo versante) della concezione dello Spirito, ed invece Maine de Biran e Mounier come ricadenti decisamente nella sua seconda parte (o secondo versante). Steinhart si pone poi decisamente fuori di entrambe le parti del moderno Spiritualismo.
In conclusione va da sé che qui stiamo trattando unicamente di uno Spiritualismo moderno assolutamente non convenzionale, dato che esso molto spesso si sovrappone (fino a cancellarla) a quella visione solo vagamente e tiepidamente spiritualista che intanto (senza assumere alcuna forma personalista) aveva vissuto e prosperato entro il pensiero moderno (da Cartesio in poi).
E veniamo quindi all’analisi testuale dei vari autori
I- Nikolaj Berdjaev
Lo Spiritualismo di questo autore si lascia riconoscere ed analizzare per mezzo di tre tra le sue opere: −
“Das Ich und die Welt der Objekte” (“L’Io e il mondo degli oggetti”) (DIWO), “Il senso della creazione” (SC) e “La concezione di Dostoevskij” (SC)
In generale Berdjaev sostiene che l’Io è spirito nella misura in cui è persona. Il che significa che è trascendente non solo rispetto al mondo, ma in particolare rispetto a quell’irreale mondo che si costituisce per via filosofico-gnoseologica specie per mezzo di quel ricorso all’universale (come norma assoluta) che obiettiva qualunque realtà ideale (rendendola così solo apparente mondana e quindi esistente) al solo scopo di renderla rigorosamente conoscibile. In altre parole l’obiettivazione in nome dell’universale ricostituisce un mondo di soli oggetti conoscibili, e non invece il reale mondo degli esistenti.
Ma intanto per lui l’Io in quanto persona non può sottomettersi a questa dimensione oggettivo-oggettuale senza perdere la propria natura spirituale. Dato che, se ciò accade, esso risulterà separata invalicabilmente dagli oggetti (conosciuti e conoscibili, ossia intelligibili) con la conseguenza principale di perdere la sua possibilità di comunicazione con le entità spirituali che le sono affini, ossia gli altri Io in quanto persone. Oltre a ciò l’Io in quanto persona perderà in tal modo uno dei suoi caratteri ontici primari, e cioè quella sua trascendenza rispetto al mondo che fa di esso qualcosa di radicalmente diverso da una cosa. Trascendenza che poi risale addirittura all’equivalenza assoluta che esiste tra persona umana ed essere in quanto creativo, e quindi radicalmente originario.
Ecco allora che lo Spiritualismo di Berdjaev si lascia in tale complesso comprendere in primo luogo nei termini della trascendenza dell’Io personale-spirituale rispetto a qualunque oggettività-oggettualità mondana. Orbene (come abbiamo già detto) l’equivalenza da lui istituita tra persona, essere e spirito (in particolare divino) fa sì che qui si possa ritrovare una certa dose di «onto-spiritualismo» − specie nel senso che lo spirito personale equivale all’essere per eccellenza. Tuttavia Berdjaev non scade però mai da questa convinzione nel tipico dualismo trascendentista (di stampo platonico) che caratterizza il vero «onto-spiritualismo», secondo l’idea che l’unica realtà sarebbe quella trascendente ossia essenziale-ideale.
Anzi al contrario egli si esprime decisamente contro qualunque dualismo spirito-carne, ed in questo è decisamente anti-platonico [Nikolaj Berdjaev, Il senso…cit., Introduzione, p. 39-43].
Naturalmente comunque risulta evidente che egli è totalmente avverso ad uno Spiritualismo in qualunque modo e misura assimilabile all’intellettualismo gnoseologistico. Egli infatti non concede alcun potere né alcun diritto all’universale come istanza dirimente di obiettivazione delle entità astratto-ideali, anzi si oppone radicalmente a questa visione [Nikolaj Berdjajew, Das Ich… cit., II, 4 p. 103-109, III, 1 p. 113-122, III, 2 p. 143-147, III, 3 p. 148-162, V, 2-3 p. 221-249; Nikolaj Berdjaev, Il senso…cit., XI-XII p. 323-349]. In particolare egli rimprovera all’universalismo gnoseologistico l’impossibilità che da esso possa scaturire una vera e propria “comunione spirituale” tra persone a loro volta spirituali, ossia una società autentica ed intesa secondo il lemma primario dell’amore unitivo (e peraltro autenticamente cristiana). Insomma per lui la prospettiva unicamente gnoseologistica (che è introdotta dal ricorso all’universale) impedisce quella dimensione comunitario-spirituale della società che prevede per davvero una relazione tra “io” e “tu”, ed inoltre rende impossibile qualunque individualismo egocentrista.
E tutto questo quindi pone il suo Spiritualismo decisamente in conflitto con quello steiniano, entro il quale per varie vie la dimensione spirituale coincide invece esattamente con quella intellettualistico-gnoseologistica – essa si incentra soprattutto nell’atto sostanzialmente intellettuale (sebbene dalla valenza vagamente spirituale) per mezzo del quale l’Io rivolto a sé stesso (cioè ai propri vissuti) assume il pieno possesso di sé stesso [Edith Stein, Der Aufbau… cit., VI, I-II p. 74-92; Edith Stein, Potenza… cit., V 1-8 p. 147-236, VI, 1-23, p. 237-386; Edith Stein, Endliches… cit., V, 5, 1 p. 239-241 ,VI, 4, 3 p. 293-296, VII, 9, 2-4 p. 362-374]. E va detto che questo approccio finì per permanere anche laddove la sua riflessione investì dimensioni decisamente metafisico-religiose, teologiche (ed in parte ultra-filosofiche) come quelle relative all’«Io sono» biblico, al Logos cristico ed alla dinamica trinitarie. Si tratta insomma di quella seconda parte di EES entro la quale ella di fatto si stava apprestando a passare alla filosofia alla mistica. In altre parole il suo Spiritualismo non riuscì mai a liberarsi dell’ipoteca filosofico-gnoseologistica (il cui interesse primario era la teoria della conoscenza) che la Fenomenologia husserliana aveva gettato sul suo pensiero.
Ma vediamo se in Berdjaev a livello testuale esistono ulteriori elementi che siano a supporto di queste nostre affermazioni e permettano anche di allargarle.
Iniziamo da DIWO. Un aspetto particolare delle sue riflessioni al proposito è quello che riguarda la società in quanto “comunione spirituale” e quindi comunione di persone [Nikolaj Berdjajew, Das Ich… cit., III, 3 p. 153-156, V, 3 p. 232-249]. Qui egli chiarisce infatti che il tendere verso la comunione implica l’uscita da sé stesso dell’Io (apertura) per andare verso l’altro, per cui alla fine ciò comporta l’unione perfetta tra le persone spirituali. Ma ciò avviene puramente sul piano dell’esistenza e non invece della gnoseologia, quindi è totalmente indipendente dal rapporto tra universale e particolare. Peraltro in SC Berdjaev chiarisce che in una comunità di vere persone (com’è quella che dovrebbe insorgere in una società cristiana), ossia una vera comunione spirituale, tutto ciò che è universale è anche cosmico, e quindi non prevede alcuna separazione di oggettualità in forza dell’universale, ma invece solo una perfetta unione che corrisponde alla Totalità dell’essere [Nikolaj Berdjaev, Il senso…cit., XI p. 323-326]. In ogni caso tutto ciò parte solo dall’interiore, non avendo invece nulla a che fare con la dimensione esteriore della società, cioè scaturisce solo da quel «dentro» umano dove c’è Dio. Quindi la comunione non insorge affatto senza la presenza simultanea di Dio.
Più precisamente essa si compie a partire dallo spirito, e precisamente dallo Spirito divino. E con ciò avviene una vera e propria unione degli opposti. E quest’ultima non è altro se non quella dimensione ontica (la “coincidentia oppositorum”) che Nicola Cusano aveva inteso come raggiungimento di un altissimo livello sia conoscitivo che ontologico, dato che esso sta ormai ben aldilà della logica così come anche ben aldilà di qualunque separazione naturale tra individualità cosali e personali; ossia si trova di fatto ben oltre il principio logico di contraddizione [Nicola Cusano, La dotta ignoranza, Fabbri, Milano 1996, I, X p. 73-75].
Quindi per Berdjaev la vera dimensione sociale è solo religiosa e per nulla invece conoscitiva (non è insomma affatto una comunità del sapere). E ciò sottolinea la perfetta equivalenza tra persona umana e spirito divino, ossia l’umano-divinità [Nikolaj Berdjajew, Das Ich… cit., I, 1 p. 28-38]. Ciò significa allora che il suo Spiritualismo è decisamente religioso in quanto si incentra su questo fondamentale elemento.
Su questa base appare evidente che egli identifica lo Spirito con il soggetto personale (umano o divino che sia). Il che lo porta poi a contestare qualunque idea di “spirito oggettivo” [Nikolaj Berdjajew, Das Ich… cit., I, 2 p. 39-48]. Ma sta di fatto che Stein (insieme ad Husserl e senz’altro sulla scorta di Hegel) concepì fortemente lo spirito in questo modo [Edith Stein, Der Aufbau…cit., II, I, 1-4 p. 18-26, VII, III, 1-4 p. 103-127; Edith Stein, Psicologia…cit., II, I, 2 p. 182-184; Edith Stein, Potenza…cit., II, 1-3 p. 72-90]. In particolare però Berdjaev si astiene da qualunque affermazione dell’astrazione dello spirito soggettivo, ed infatti sottolinea qui la carnalità e concretezza dello spirito personale. Questo significa allora che il suo Spiritualismo non si nega affatto all’ammissione dello spirito oggettivo allo scopo di affermare la trascendenza dello Spirito in termini astratti. E quindi esso non è assolutamente trascendentista in questo senso. Anzi si pone come intendimento decisamente concreto dello Spirito; sebbene però nel contesto di un intendimento senz’altro interiore e non esteriore dello Spirito stesso.
Per contro egli deplora il soggettivismo sicuramente deteriore (corrispondente all’individualismo che sicuramente per lui deriva dall’Idealismo). Infatti precisa che esso insorge quando l’universale viene contrapposto al particolare-individuale nel contesto di quell’oggettivazione della quale abbiamo già parlato. Essa consiste in particolare nel trasformare in oggetto ciò che invece non lo è affatto, ossia quell’Io che è appunto spirito.
E questo sottolinea quindi che il suo Spiritualismo non solo è religioso, ma intanto non manca di affiancarsi esso stesso non poco al tradizionale Spiritualismo del pensiero moderno, secondo il quale l’interiore umano è spirituale. Tuttavia non lo fa fino al punto da considerare l’universale (di significato gnoseologistico) come la dimensione alla quale l’interiore umano debba sottomettersi per poter essere spirito. E questo previene decisamente il configurarsi di uno Spirito oggettivo in quanto esteriore, e cioè di fatto quell’edificio della Cultura umana che Husserl e Stein intesero come la forma più tangibile e concreta dello Spirito stesso. Laddove poi la Cultura umana corrisponde all’universale stesso una volta obiettivato in forma di conoscenza. Si tratta infatti in primo luogo della veridicità inter-soggettiva del conoscere, e quindi della sua affidabilità scientifica.
Dunque per Berdjaev in via di principio lo spirito resta sempre solo il soggetto stesso, e tuttavia lo è in modo radicalmente diverso da quanto previsto dalla gnoseologia. Perché lo Spirito per definizione è tutt’altro che un oggetto (a causa della propria trascendenza). Semmai invece l’oggettivo-oggettuale stesso riceve il suo senso unicamente nello Spirito, ossia entro la dimensione spirituale individuale e soggettiva e non invece universale-oggettiva. Ciò significa che l’Io è Spirito totalmente di per sé (in quanto interiore umano tout court) e non invece in forza della sua sottomissione ad un paradossale Io universale impersonale com’è l’Io puro di Husserl [Angela Ales Bello, L’universo nella coscienza, ETS Pisa 2003, 1, 2-4 p. 130-139] ed in parte anche di Stein. In altre parole l’Io è da considerare Spirito senza alcuna necessità che esso venga oggettivato in alcun modo e ed in alcuna misura. E quindi la sua conoscenza resta affidabile anche se essa resta puramente soggettiva, e quindi senza mai divenire oggettiva.
Fu esattamente questa convinzione che portò Berdjaev a considerare la filosofia un’opera unicamente soggettiva, e quindi basata pienamente sull’intuizione soggettuale senza sottomissione ad alcuna oggettualità [Nikolaj Berdjajew, Das Ich… cit., I, 1-2 p. 11-48]. La filosofia infatti per lui tutto può essere tranne che scientifica. Proprio per questo essa prevede non solo un filosofo che in primo luogo sia un esistente-vivente e poi prevede anche necessariamente una filosofia dell’esistenza che sia insieme anche filosofia dell’essere. Ecco allora che lo Spiritualismo moderno non convenzionale in qualche modo (almeno in Berdjaev) si oppone decisamente all’intendimento della Filosofia come scientifica, per avvalorare invece la filosofia dell’esistenza e dell’essere.
Ma passiamo ora a SC.
Qui innanzitutto Berdjaev chiarisce che l’onticità dello Spirito consiste esattamente nell’illimitata creatività libera che caratterizza l’essere, e che si manifesta in una incessante generazione del nuovo che è poi continuo incremento dell’essere stesso [Nikolaj Berdjaev, Il senso…cit., V p. 182-185]. Il che poi, dal lato dell’agire della persona umana, corrisponde ad una volontà illimitatamente libera che equivale a sua volta alla creatività stessa. Ebbene, proprio a causa di tutte queste caratteristiche, la persona è spirito: dato che lo Spirito è esattamente l’essere nella sua creatività illimitata. Ci troviamo insomma nuovamente di fronte da una certa dose di «onto-spiritualismo». Ma solo non nel senso che la vera realtà sia quella spirituale-trascendente (peraltro fortemente statica) bensì nel senso che lo Spirito non è altro che l’essere nella sua illimitata creatività e quindi nel suo illimitato dinamismo. Il che fonda uno Spiritualismo che prende certamente l’essere originario a suo paradigma, ma non nel senso della stasi bensì nel senso dell’illimitato dinamismo.
In questa sede innanzitutto Berdjaev deplora che lo Spiritualismo possa basarsi su un radicale dualismo spirito-carne; il quale deve invece venire ammesso senza alcuna aspirazione a risolverlo né senza alcuna aspirazione a vederlo come un’opposizione inconciliabile [Nikolaj Berdjaev, Il senso…cit., Rrefazione, p. VII-IX (Adriano Dell’Asta); Nikolaj Berdjaev, Salvezza e creatività. Due modi di intendere il Cristianesimo. In memoria di Vladimir Solov’ëv, in: Nikolaj Berdjaev, Il senso…cit., 1 p. 3-8]. Questa presunzione (apparsa secondo lui nel Cristianesimo sulla scorta dell’antico dualismo spirito-materia della metafisica greca, e che peraltro è sempre stato fortemente platonico) rende impossibile concepire quella carnalità, mondanità e concretezza dello Spirito che si manifesta nella persona umana. E pertanto fa dello Spiritualismo una dottrina metafisico-religiosa totalmente astratta che non ha poi alcuna utilità nella vita mondana, e quindi perde per questo qualunque interesse. Infatti (come poi vedremo nelle conclusioni) se lo Spiritualismo ha una sua validità (ed in tutte le sue forme, sia antiche che moderne), ciò accade solo perché esso diviene una dottrina utile alla prassi umana nel mondo.
Più precisamente (specie nella sua forma più religiosa) essa ci serve per tener continuamente presenti quelle fonti inesauribili dell’essere la cui disponibilità ci permette di non lasciarci schiacciare dalla spietata esteriorità mondana, dominata com’è da quelle Leggi della Natura che non hanno nulla di spirituale.
È esattamente in questo senso che si può (e secondo noi anche si deve) professare una fede cristiana che non abbandoni mai la certezza che lo Spirito ci soccorre continuamente nel nostro esistere; e specialmente nei suoi momenti più duri e difficili. Bisogna dire che oggi però questa non è affatto la fede cristiana che viene usualmente insegnata e praticata. Essa è invece semmai di segno diametralmente opposto, e quindi è decisamente anti-spiritualista, materialista ed immanentista (fino ad essere perfino decisamente atea).
A completamento di queste riflessioni Berdjaev però condanna decisamente quel monismo assoluto che egli vede rappresentato tipicamente in Plotino [Nikolaj Berdjaev, Il senso…cit., Introduzione, p. 39-43], ma che certamente (diremmo) si era manifestato molto prima nel famoso non-dualismo di Śankara – nel presupporre la totale interiorità dell’essere mondano all’Uno divino trascendente [Georges Vallin, La prospettiva metafisica, Victrix, Forlì 2007, I, II, p. 138-162]. Infatti per il filosofo russo la persona, in quanto molteplicità (ed anche unità di per sé) è in decisa competizione con l’Uno assoluto neoplatonico (ed ovviamente anche śankariano). Egli condanna così il monismo platonico affermando la necessità assoluta del dualismo (spirito-carne) della persona. Ma afferma anche la necessità di un monismo che sia relativo in quanto compatibile con il dualismo nel contesto della postulazione della divinità del mondo (monismo divino).
Inoltre in questa sede Berdjaev distingue inoltre molto opportunamente lo Spiritualismo autenticamente filosofico-metafisico e metafisico-religioso da quello della moderna teosofia, che poi si appaia pure all’ancora più deteriore moderno spiritismo (ossia quello di dottrine arbitrarie, superstiziose ed anche pericolose come quella di Alain Kardec). Egli sottolinea infatti che lo Spirito è in primo luogo unità [Nikolaj Berdjaev, Il senso…cit., XIII p. 358-361]. Ma sta di fatto che la moderna teosofia (specie quella paradossalmente evoluzionistica di Rudolf Steiner) scompone l’unità dello spirito umano nella serie di gradi di una fantasiosa evoluzione planetaria, ed inoltre nega così l’esistere di un Uomo prototipico divino quale radice originaria della spiritualità umano-personale stessa, ossia quel Logos cristico (quale Umanità originaria) che è poi ciò che fonda la stessa umano-divinità. A ciò si associa poi lo spiritismo più volgare e superstizioso che abbiamo appena menzionato (quello, per intenderci, che ipotizza addirittura una Rivelazione cristiana che avvenga ad opera degli spiriti dei morti che si presentano ai medium) nel suo scomporre l’unità spirituale umana in una serie di realtà elementari, come ad esempio il corpo astrale.
A tutto ciò si aggiungono poi gli elementi desumibili dai suo commento alla visione di Dostoevskij (SC), il quale colse la natura dello Spirito in modo davvero originale ed estremamente intenso.
Lo scrittore russo vide infatti lo Spirito nella stessa profondità dell’uomo e precisamente nella forma di un abisso turbinoso ed infuocato (di natura decisamente dionisiaca) entro il quale tutto è davvero possibile nel contesto di una creatività libera davvero senza limiti [Nikolaj Berdjaev, La concezione… cit., I, p. 8-25, I p. 32-35, I p. 40-47, III p. 49-57, IV p. 67-70, IV p. 75-81, V p. 85-93, VI p. 104-109, VIII p. 160-166]. Lo Spirito è dunque per davvero il luogo nel quale ha sede l’illimitata possibilità della trasfigurazione dell’essere. Il che significa che lo Spiritualismo più autentico deve tenere conto esattamente di questa dimensione come assolutamente fondamentale.
Fu su questa base che non a caso Dostoevskij intuì infallibilmente non solo la rivoluzione russa ma anche quella universale, che è poi rivoluzione dello spirito ed apocalittica, e quindi si verifica per definizione solo alla fine dei tempi, cioè nel momento in cui può avvenire la davvero totale trasfigurazione dell’essere.
Ciò significa allora che l’onto-spiritualità è fondamentalmente dinamismo creativo e nient’altro. E se esso non viene inteso in questo modo, allora è molto probabile che sia inautentico e spurio.
Tanto è vero che Dostoevskij intuì l’evento della Rivoluzione proprio nelle profondità non solo dello spirito umano ma anche dello spirito in assoluto. Non a caso (come abbiamo visto) Platone vide nello spirito esattamente la profondità nucleare e centrale dell’intero essere (vedi voce bibliografica: Friedländer), e quindi vide anche lui in esso quel nucleo dal quale procede qualunque totale trasfigurazione dell’essere.
Peraltro in SC Dostoevskij aveva chiarito che la vera rivoluzione (quella che davvero trasfigura l’essere) avviene solo nel profondo (ossia sul piano delle premesse dell’essere) e non sul piano dell’esteriorità superficiale [Nikolaj Berdjaev, Il senso…cit., XII p. 334-339].
Ecco. Questo è quanto possiamo comprendere della concezione dello spirito secondo Berdjaev. Ne risulta chiaramente che dal suo punto di vista lo Spiritualismo va concepito senz’altro sul piano radicalmente ed oggettivamente ontico, ma anche in una perfetta coincidenza tra l’onticità spirituale umana e quella divina, che poi corrisponde all’essere stesso. Sicuramente si tratta con ciò di uno Spiritualismo molto estremo nel contesto del pensiero moderno, e peraltro in esso non si trova quasi alcuna traccia dei tratti del classico e connvenzionale Spiritualismo moderno (che peraltro si presenta anche nel Personalismo), e cioè soprattutto l’identificazione dello Spirito con la Ragione umana e divina e con l’interiorità egoica e mentale. È evidente che quindi che lo Spiritualismo di Berdjaev entra decisamente in conflitto con quello steiniano.
II- Romano Guardini
Qui ci riferiremo soprattutto al suo libro “Der Herr” (DH), mentre ulteriori sue riflessioni sullo Spirito si ritrovano anche in “Welt und Person” (WP) – dato che in questo testo egli tenta di giustificare la spiritualità che caratterizza la persona umana. Ma per questo rimandiamo al nostro saggio sul Personalismo.
L’idea guardiniana di Spirito può quindi venire soprattutto constatata laddove (in DH) egli ci parla dello Spirito divino, ossia del Logos cristico, ovvero Colui che egli ci mostra nella forma del Signore dell’Essere.
E questo rende ovviamente (almeno in via di principio e piuttosto superficialmente) il suo Spiritualismo abbastanza simile a quello di Stein. Vedremo però che nei fatti le cose non stanno affatto così.
Anche per lui, così come per Berdjaev, spirito umano e Spirito divino sono la stessa cosa in grazia del dono della somiglianza fatto da Dio all’uomo [Romano Guardini, Introduzione alla preghiera, Morcelliana, Brescia 2009, I, 4-5 p. 24-33, II, 10 p. 81-89, III, 4 p. 104-107]. Emerge però intanto un’importante distinzione entro lo Spiritualismo propriamente cristiano. Perché qui si sottolinea che la somiglianza uomo-Dio sussiste rispetto al Logos, e non invece rispetto all’Atto puro della classica metafisica teologica scolastico-tomista. Infatti in maniera molto simile ad Eckhart – il quale affermò che Dio non è un “filo d’erba” [Meister Eckhart, Predica 4 (Q 77), in: Loris Sturlese, Meister Eckhart, Bompiani, Milano 2014, p. 49-59; Meister Eckhart, Predica 5 (Q 22), ibd., p. 63-79] −, Guardini rifiutò ogni enticismo naturalista nella concezione di Dio, e quindi qualunque sua considerazione come “Ens commune” (per quanto assolutamente perfetto e compiuto in quanto totale coincidenza di potenza ed atto). Dio insomma per definizione non è in alcun modo un «qualcosa», e proprio su questo si basa la Sua profonda somiglianza con lo spirito umano in quanto persona. Con paradigma massimo in Dio, dunque, lo Spirito è l’esatto contrario dell’essere. Semmai invece (come anche in Berdjaev) è il dinamismo puro. E bisogna dire che questo dinamismo nella concezione di Dio corrisponde molto bene a quel “prospettivismo” con il quale Eckhart intese l’esistenza di Dio e la sua relazione con l’uomo e il mondo [Dietmar Mieth, Meister Eckhart, München, C.H. Beck 2014, I, 5 p. 63-73]. E con questo termine va inteso un Assoluto divino che in primo luogo è incessante tensione amorosa verso l’uomo e il mondo, e che non a caso sfocia in un’assolutamente continua “nascita divina” nel cuore dell’uomo [Meister Eckhart, Predica 13 (S 102), in: Sturlese Loris, Meister Eckhart…cit.,, p. 186-203; Dietmar Mieth, Meister Eckhart…cit., Einl, p. 17, IV, 16 p. 160-163, IV, 19 p. 173-174]. Tutto questo significa allora che anche la complessiva visione di Eckhart andrebbe vista come parte integrante di uno Spiritualismo simile a quello di Guardini. Ma siccome non c’è qui assolutamente lo spazio per trattare del suo complessissimo pensiero, ci limiteremo a rinviare il lettore agli articoli che abbiamo dedicato ad esso ed al tema più generale dell’onto-dinamismo [Vincenzo Nuzzo, “Il pensiero di Edith Stein sullo sfondo del pensiero di Meister Eckhart. Ovvero il neoplatonismo steiniano”, Dialeghestai, 30 Dicembre 2016 < https://mondodomani.org/dialegesthai/vn02.htm >; Vincenzo Nuzzo, “Dinamismo e onto-dinamismo”, in: Ivan Pozzoni (a cura di), Frammenti di filosofia contemporanea, Limina Mentis, Villasanta (MB), Vol. XXI, 2017 p. 163-227; Vincenzo Nuzzo, “Emanazione e continuità di essere tra Cabala e neoplatonismo”, in: I.v.a.n Project, Frammenti di filosofia contemporanea, Limina Mentis, Villasanta (MB), vol. XXIV, 2018, 41-68].
Quindi questo genere di visione (diversamente da quella di Berdjaev) non può essere in alcun modo un «onto-spiritualismo». Siamo però qui in ambito religioso ed anche cristiano, e quindi dobbiamo trovarci di fronte ad una concezione molto specifica dello Spirito. E quella che più sembra appropriata ad essa è ka concezione dello Spirito come Pneuma, vento, aria, soffio, spirito che va dove vuole. Come abbiamo visto, a tale concezione cristiana corrispondono perfettamente il concetto ebraico di “Ruah” e quello vedico di “vāyu”. Si parla insomma qui di una sostanza aerea, sottile ed immateriale (ma intanto esistente) che non cessa mai di muoversi e soprattutto nel suo muoversi genera continuamente essere. Esso è dunque se mai la premessa dell’essere ma non l’essere stesso. E qui possiamo cogliere nuovamente il concetto berdjaeviano di essere in quanto realtà radicalmente originaria che non cessa mai di muoversi in un incremento costante di sé stesso che è anche trasfigurazione di tutto quanto si trova davanti.
Bisogna però a questo punto ammettere (come abbiamo già detto) che questo concetto di Spirito somiglia almeno ad una parte di quello che anche Stein affermò in maniera secondaria in diverse sue opere.
E questo genera una delicatissima questione critica che affronteremo nelle conclusioni.
In ogni caso per Guardini questo Spirito divino è esattamente il Paraclito, ossia lo spirito consolatore e quindi lo Spirito Santo vero e proprio [Romano Guardini, Der Herr, Grünewald & Schöningh, Ostfildern Paderborn 2016, II, 9 p. 143-151]. Dunque è lo Spirito osservato da un punto di vista sostanzialmente teologico-religioso, ossia di fatto quello Spirito divino-amoroso che compare nell’esperienza religiosa cristiana (del quale parlavamo prima). Pertanto lo Spiritualismo pneumatico (fortemente impersonato intanto da Guardini) si caratterizza per essere appunto fortemente religioso-teologico. Le sue caratteristiche rientrano quindi necessariamente in una certa dogmatica, che a sua volta serve gli scopi di un determinato ritualismo e pietismo. Il che riduce senz’altro la portata metafisica dello Spirito stesso, irrigidendolo in determinati schemi, e peraltro schemi messi su per esigenze umano-terrene oltre che ecclesiali. Resta però sempre intorno ad esso un certo alone di indefinizione che permette di ricostruirne l’immagine completa di una realtà estremamente inafferrabile e misteriosa. E forse questa è l’immagine più appropriata dello Spirito che si possa trovare in metafisica.
Guardini stesso ci lascia intravvedere questo commentando il curioso «vai e vieni» di Gesù nei Vangeli, ossia il suo continuo apparire e sparire [Romano Guardini, Der Herr… cit., VI, 2 p. 497-504, VI, 4-6 p. 513-531]. Il che ci lascia intravvedere una delle caratteristiche principali dello Spirito pneumatico, ossia la sua assoluta a-località, oltre che a-temporalità. Cosa che poi ancora una volta sottolinea la sua realtà assolutamente non ontica, o almeno iper-ontica. Infatti Guardini sottolinea che il corpo (pur integralmente carneo-materiale) di Gesù non è mai stato sottomesso alla condizione mondano-terrena della spazio-temporalità.
Ma proprio qui emerge il punto cruciale di questa concezione dello Spirito. Perché pur possedendo le chiare caratteristiche dello Spirito penumatico, Gesù non solo fu corpo ma inoltre risorse esattamente come corpo. Ecco allora che il Corpo Risorto di Cristo rivela la natura corporale che è insita nello Spirito pneumatico (nonostante la sua non sottomissione alla spazio-temporalità), che appunto emerge in maniera piena dopo un evento (come la Resurrezione) che lo svincola decisamente e definitivamente dalla mondanità terrena, permettendo così ad esso di essere pienamente ciò che latentementeera sempre stato. E cosa sia questo ce lo dice chiaramente Guardini stesso – è corporalità spirituale (o anche, viceversa, spiritualità corporea), e come tale essa è radicalmente diversa da quella del “corpo animale” (“Tierkörper”). Ma proprio per questo si tratta della massima pienezza della spiritualità.
Ecco allora che lo Spirito pneumatico è quanto di meno ontico possa essere immaginato eppure è corporale al massimo grado; anzi esso porta perfino a compimento ultimo la corporalità stessa. Ed eccoci dunque di fronte a quel concetto paolino di “Soma pneumatikon” che anche Stein aveva pienamente riconosciuto.
E tuttavia dall’altro lato Guardini ci mostra che una certa forma di onticità qui comunque sussiste, e precisamente è quella ormai unicamente interiore e per nulla più esteriore. Anzi questa va considerata perfino una certa forma di “realtà” (“Wirklichkeit”). Ciò in particolare nel senso che l’ontologia di Gesù era sempre stata la stessa, senza alcuna frattura tra fase corporale e fase spirituale.
Tuttavia vi è anche un altro aspetto dell’«andare e venire» spirituale-penumatico di Gesù che viene posto in evidenza da Guardini, e cioè il fatto che nell’atto finale di questo suo modo di esistere (l’Ultima Cena ed infine Emmaus) fu la sua promessa di mandare giù nel mondo lo Spirito Santo nel mentre Lui tornava dal Padre per preparare un posto per i figli di Dio nella Sua Casa. Ebbene, quello Spirito che scende nel mondo non è altro che il Cristo stesso divenuto ormai definitivamente Corpo Spirituale; insomma quello stesso Cristo che si era trasfigurato in Corpo di Luce sia sul monte Tabor sia anche nel sepolcro. E nello stesso tempo Egli è il Logos nel quale «fin dal principio» esistono tutte le cose. Ecco allora che lo Spirito diviene il mondo stesso e lo diviene con le stesse sembianze del Cristo. Ed eccoci dunque a quella “ontologia cristo-centrica” che anche Stein aveva intuito [Edith Stein, Psicologia…cit., II, 2, 1-4 p. 217-309, “Osservazioni conclusive”, p. 312-327; Edith Stein, Ber Aufbau…cit., II, III, 2-3 p. 30-32, VII, II, 1-3 p. 78-92,VII, III, 2-4 p. 107-127; Edith Stein, Endliches…cit., VII, 8-9 p. 358-391, VIII, 3,1-3, p. 422-442; Donald L. Wallenfang, “Awaken, o Spirit : the vocation of becoming in the work of Edith Stein”, Logos, 15, 4 (2012), 57-74 ; Donald L. Wallenfang, “The hearth of the matter : the substance of the soul”, Logos, 17, 3 (2014), 118-142 ; Jane Duran, “Edith Stein, ontology and belief”, Hey.J., XLVIII (2007), 707–712 ; Ann W. Astell, “From ugly duckling to swan : education as spiritual transformation in the thought of Edith Stein”, Spiritus, 13, 1 (2013), 1-6 ; Sarah R. Borden, “Introduction to Edith Stein’s ‘The interiority of the soul’ : from finite and eternal Being”, Logos, 8, 2, (2005), 178-182; Sarah Borden Sharkey, Thine own self. Individuality in Edith Stein’s later writings, The Catholica University Press, Washington 2010, 1 p. 16-25, 2 p. 44-48, 2 p. 54-58; Philibert Secretan, “Essence et personne”, Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie, 26, 1979, 481-504; Philibert Secretan, “L’homme spirituel et la Creation”, Carmel, 117 (10) 2005, 45-63; Chantal Beauvais, “Edith Stein et Erich Przywara: la reconciliation du noetique et de l’ontique”, Laval théologique et philosophique, 61 (2) 2005, 319-335], portando così a compimento addirittura quella ricerca filosofico-fenomenologica circa il riconoscimento di un mondo di pure essenze che aveva condiviso soprattutto con Hering [Jean Hering, “Bemerkungen über das Wesen, di Wesenheit und die Idee“, Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung, IV, 1921, p. 495-543]. E ciò implica allora che molto probabilmente quel suo stesso (così filosofico-razionalistico) concetto di “spirito oggettivo” aveva subito nel suo pensiero un’evoluzione che infine giunse alla sua forma più mistico-contemplativa, e che non a caso coincide fortemente con lo Spirito pneumatico in quanto mondo.
Dunque lo Spirito pneumatico non solo è corpo ma è anche perfino il mondo stesso. Per la precisione è il mondo nella sua infinita estensione ma ancora più come essenza divina che sta al centro di tutte le cose (esattamente come presupposto nel concetto vedico di “jīvātman”); insomma è il mondo divino stesso che anche Berdjaev auspicava nel contesto di un monismo relativo. Insomma è il mondo impregnato del divino. E del resto Guardini stesso afferma qualcosa di molto simile nel considerare il Regno dei Cieli come una realtà alla piena portata dell’azione umana e della storia [Romano Guardini, Der Herr… cit., I, 8 p. 48-53, II, 3-4 p. 100-115, II, 7 p. 127-136, V, 6 p. 413-419, V, 14 p. 482-487, VI, 14 p. 579-585].
Del resto il pensatore italo-tedesco ci mostra anche come il mistero riguardante lo Spirito pneumatico era stato già rivelato con l’aprirsi dei Cieli nel momento del Battesimo di Gesù da parte di Giovanni [Romano Guardini, Der Herr… cit., , 4 p. 19-27, I, 5 p. 27-34]. Anzi lo Spirito stesso era disceso su Gesù trasformandone il corpo definitivamente in ciò che intanto era sempre stato latentemente, e doveva ritornare ad essere dopo l’Incarnazione. Non a caso, all’“irruzione dall’Altezza” (“Ausbruch aus der Höhe”) rispose esattamente in quel momento un’accentuazione estrema dell’atto di Incarnazione, ossia la pienezza della kenosis – dato che Gesù si abbassava alla necessità del Battesimo come l’ultimo degli uomini di carne e materia. Si tratta di un “abbassarsi alle profondità umane” (“Herabsteigen in die Menschentiefe”) da parte di Dio stesso per mezzo del Figlio. Ma questa risposta è di importanza decisiva, perché grazie alla simultaneità dei due eventi la discesa si trasforma in ascesa a causa del fatto che di colpo la distanza tra Cielo e Terra è stata annullata.
Insomma è come se un incommensurabile elastico, fino a quel momento teso spasmodicamente fino al limite della rottura, e quindi dilatatosi al massimo (a causa di quella Caduta che era stata estrema separazione tra Cielo e Terra), grazie alla kenosis cristica ora ritornasse alle sue infinitesimamente minuscole dimensioni iniziali (quelle della Prima Creazione), ossia alla totale coincidenza dei suoi estremi.
Ed ecco allora che, come dice Guardini, lo Spirito Santo “eleva l’uomo sopra sé stesso” nel senso della sua ri-assimilazione dell’uomo a Dio dopo gli eventi tragici della separazione avvenuta con il Peccato e la Caduta. Dunque nel farsi corpo e mondo, lo Spirito pneumatico ha anche il potere di ri-assimilare Cielo e Terra, ossia di risolvere proprio quel dualismo che Berdjaev ritenne assolutamente inappropriato alla realtà spirituale. Dunque la sua a-località va intesa anche come ubiquitarietà. Infatti lo Spirito «che va dove vuole» è anche questo – esso si trova già dove voleva arrivare, e quindi di fatto occupa dinamicamente tutto lo spazio dell’essere. Solo in questo senso, dunque, esso è Essere, ossia come Totalità dinamica dell’essere.
E questo fonda anche un’altra osservazione di Guardini, ossia che lo Spirito è Gesù stesso, in quanto è persona della Trinità (“in lui”). Eppure ciononostante sulle sponde del Giordano lo Spirito scende su di Lui (“sopra lui”) come se fosse l’ultima creatura di questo mondo. Siamo insomma davvero di fronte ad una realtà caratterizzata dall’assoluta inafferrabilità in quanto totale non prevedibilità della localizzazione.
Ma intanto lo Spirito pneumatico in quanto mondo è già di per sé intuitivamente lo stesso Regno dei Cieli in terra, ossia il mondo impregnato della presenza divina. Al proposito però Guardini ci invita a comprendere un’altra serie di aspetti riguardanti il potere di questa realtà agente che egli definisce addirittura “violenza divina” (“göttliche Gewalt”) [Romano Guardini, Der Herr… cit., I, 7-9 p. 40-57]. E si tratta esattamente di quell’irresistibile potere sul male che permise a Gesù di guarire ogni sorta di malati e posseduti. Ebbene la valenza di Regno dei Cieli del mondo impregnato dallo Spirito divino dipende strettamente da quel “sì” umano che pone lo Spirito nel pieno del suo potere, permettendo così che esso trasformi in possibile ciò che è assolutamente impossibile nelle circostanze mondano-terrene. Tra gli incalcolabili caratteri di questo Spirito pneumatico rientra dunque perfino l’azione rivolta ad una riforma del mondo che è addirittura concreta e storica, ossia di fatto politica. Si tratta insomma di quella rigenerazione dell’uomo, nel mondo, secondo lo Spirito, cioè secondo il Regno di Dio, che fa del mondo stesso qualcosa di non più naturale ma invece spirituale.
Gesù pensa insomma ad riforma del mondo prevalentemente nel senso del Ritorno in assenza dell’intermezzo della morte, e cioè nel senso di una reintegrazione dell’immanente nel trascendente (ossia la condizione ontica che fu della Prima creazione), e quindi nel senso di una riunificazione sul piano ontologico. Ma questa viene affidata all’opera dell’uomo, e quindi ad una prospettiva utopica ma per nulla ultra-storica. Dunque essa è lasciata in aperto nel contesto della prospettiva di un Regno dei Cieli del tutto immanente. È dunque in questo senso che il Regno è vicino − nel senso che io posso e devo cercare il Dio presente nel mondo (presenza divina) e nel senso che il Regno è effettivamente immanente.
È evidente che tutto ciò sta in immediata relazione con ciò che qualunque uomo può sperimentare entro l’esperienza religiosa nel caso che esso davvero si affidi al potere rigenerante dello Spirito con il massimo livello e grado di fede possibile. Senz’altro fu questo genere di fede (umana ma in verità sovrumana) ciò che attirò irresistibilmente Gesù verso la decisione a compiere quei miracoli che guarirono tutti i generi di malati e sventurati.
Da tutto ciò consegue che la dimensione dinamica dello Spirito immanente è anche eminentemente attivo-creativa. E ciò concorda non solo con Berdjaev, ma anche perfino con lo Spiritualismo personalista più laico, ossia (come vedremo) quello di Mounier, secondo il quale la spiritualità umana è eminentemente attiva.
E ciò ha peraltro un preciso significato etico ed anche in parte etico-politico. Infatti Guardini sottolinea che Gesù, nel venire nel mondo, ha preso certamente atto del fatto che l’uomo, di fronte alla preponderanza ineluttabilmente soverchiante delle Leggi del mondo e della Natura, può in verità solo scappare terrorizzato e pieno di sfiducia. Egli, insomma, deve essersi reso conto di questa schiacciante evidenza. E quindi deve certamente aver deciso di prendere davvero il toro per le corna, in modo tale che, solo grazie a Lui, all’uomo divenisse possibile l’impossibile, ossia il sovrumano. Ma intanto Gesù può fare fronte a tutto questo soltanto perché Egli è pienamente Spirito, oltre che carne. Infatti il male può venire combattuto solo dallo Spirito, e cioè da quanto si pone radicalmente fuori dalle leggi del mondo; le quali altrimenti prevarrebbero senza l’ombra del minimo dubbio.
Lo Spirito pneumatico nella sua propensione attiva, è dunque quella realtà che ha la capacità di rendere possibile l’impossibile in quanto essa ha lo straordinario potere di revocare le inflessibili Leggi della Natura.
Guardini pone l’accento su tutto ciò offrendoci una lettura del famoso Discorso della Montagna, entro il quale, secondo lui, viene sancita la messa a disposizione delle capacità sovrumane all’uomo da parte di Gesù secondo il principio del “a Dio nulla è impossibile” [Romano Guardini, Der Herr… cit., I, 11 p. 66-76]. La questione è al proposito molto complessa, e proprio perché noi uomini tendiamo ad intenderla letteralmente e cioè fuori da qualunque lettura integralmente spirituale. E Gesù è di nuovo estremamente consapevole di questo nostro tragico limite. Egli sa bene infatti che noi uomini siamo costretti ad avere a che fare ogni giorno con il serissimo problema del «pane quotidiano», e sa che esso istituisce un conflitto in sé inconciliabile tra Cielo e Terra. Per cui ci indica l’unica via praticabile, ossia quella di trattare con tale questione guardando intanto unicamente alle «cose del Cielo», e quindi con quella leggerezza (tutta spirituale) che invece le Leggi della Natura non ci consentirebbero mai e poi mai di professare. Si tratta ovviamente di una questione di pura e nuda fede. Ma intanto, prestando fede alle Sue promesse, noi possiamo essere certi che comprenderemo tutto questo una volta che saremo totalmente nello Spirito, ossia una volta che avremo anche noi conquistato davvero pienamente la dimensione ontica della corporalità spirituale. Ebbene, è chiaro che ciò avverrà dopo la nostra morte fisica. Ma intanto (in maniera assolutamente sorprendente) fu esattamente questo ciò che avvenne nel contesto della discesa dello Spirito Santo nel corso della Pentecoste. Infattiin tale evento divenne addirittura tangibile la verità della promessa da parte di Cristo secondo la quale lo Spirito insemina nell’uomo la sovrumanità ossia la divinità stessa. Ed eccoci dunque di fronte alla pienezza estremamente concreta della divino-umanità. Non a caso, dopo questo evento, i Discepoli divennero capaci di atti dei quali prima non sarebbero mai stati capaci.
Naturalmente tutto ciò esige dall’uomo una sorta di «decisione per lo Spirito, e Guardini allude a questo trattando della lotta contro “il Nemico” [Romano Guardini, Der Herr… cit., II, 7 p. 127-136; II, 9 p. 143-151]. Si tratta insomma del “sì” puramente fideistico nel senso di fiducia negli insegnamenti del Cristo. Il che implica un deciso schierarsi. Ed infatti il pensatore parla qui del “peccato contro lo Spirito” (quello che non sarà perdonato), che è evidentemente il rifiuto di Dio implicato nel falso schierarsi da parte dell’uomo. Si tratta insomma dello schierarsi sempre totalmente volontario (e quindi assolutamente libero) dell’uomo dalla parte del Nemico e non invece del Salvatore.
Lo Spirito pneumatico è dunque agente anche nel senso che esso esige da noi uomini una ben precisa decisione libera. In assenza della quale esso resta inattivo e quindi sembra come se non ci fosse affatto.
In questo senso, quindi, lo Spirito pneumatico (nonostante la sua assoluta inafferrabilità metafisica, che poi soprattutto non-onticità) assume portentosamente una decisa forma storica. E peraltro ciò esige una consapevolezza estremamente sofisticata che va senz’altro oltre l’umano naturale. Infatti, come dice Guardini, la vittoria deve avvenire non sul piano della “forza” evidente, ma invece sul piano della “liberazione” (“Erlösung”), ossia la liberazione da quelle Leggi del mondo che includono in primo luogo l’assolutamente ferrea legge del più forte (e quindi inevitabilmente anche l’ossequio assoluto all’istinto egoistico di sopravvivenza). È dunque proprio questo il nucleo della paolina kenosis, cioè questo è il senso del «è quando sono più debole, che io sono forte». Si tratta insomma di una vittoria che doveva assolutamente includere la “possibilità della sconfitta”. Il che sottolinea nuovamente l’importanza che ha la libera e coraggiosa decisione umana. Del resto nel nostro saggio sul Personalismo abbiamo visto, per mezzo di Jaspers, che il nucleo stesso della “coscienza tragica” consiste nella certezza di vincere proprio nel mentre si è nel pieno della sconfitta, ossia nel pieno di quella sconfitta che ormai coincide addirittura con la nostra morte (come esemplificato al massimo dalla vicenda di Amleto) [Karl Jaspers, Del tragico, SE, Milano 2008, p. 34-38]. Il che significa allora che l’infinitamente amorosa Provvidenza divina aveva reso disponibile tale consapevolezza già nel pieno del Paganesimo.
E tutto ciò, per Guardini, investe inevitabilmente anche lo scottante tema della “remissione dei peccati”, ossia ciò che nel Vangelo si presenta nuovamente come guarigione miracolosa da mali fisici e psichici in virtù di quel pentimento che è anche una sorta di socratico atto di profonda auto-conoscenza da parte di noi stessi. Si tratta insomma del riconoscere del tutto umilmente (e soprattutto incondizionatamente) la nostra responsabilità personale nei mali che ci affliggono. E quest’ultima non è in fondo altro che l’ancora mancata decisione della quale prima parlavamo, ed in assenza della quale si delinea per Guardini il “peccato contro lo spirito”, ossia la sfiducia nelle possibilità che lo Spirito divino ci mette a disposizione.
Invece in caso contrario (ossia quando questa nostra decisione si è ormai verificata) si delinea quindi un nostro attivo fare in modo che tutto di nuovo sia “in ordine”. Ed ecco allora che la nostra guarigione non è altro che l’effetto della trasfigurazione del mondo alla quale noi stessi abbiamo aperto la strada con il nostro “si” incondizionato allo Spirito divino nella sua potenza trasfigurante.
Di nuovo siamo insomma di fronte alle illimitate capacità di trasfigurazione che caratterizzano lo Spirito pneumatico come premessa dell’essere. Eppure ciò non significa affatto che lo Spirito sia immanente in quanto ipostatizzato. Anzi significa l’esatto contrario. Guardini ci fa comprendere questo menzionando le difficoltà che Nicodemo incontra nel pensare che lui, vecchio e stanco, possa davvero rinascere per l’azione dello Spirito [Romano Guardini, Der Herr… cit., II, 12 p. 166-174]. Egli è insomma convinto del fatto che l’uomo è solo “mondo” (“Welt”) e tale “resta” sempre ed invariabilmente. Mentre invece l’uomo è spirito anche perché è spirito in quanto può essere allo stesso modo pienamente oggetto dell’azione dello Spirito. Intanto però ciò non può avvenire appena sul piano orizzontale dell’immanenza separata dalla Trascendenza. Perché lo Spirito pneumatico può agire solo “dall’alto” (“von oben her”), e quindi solo in tal modo può dare vita ad un nuovo inizio.
Questo quindi ci illustra un aspetto davvero fondamentale della natura ontologica dello Spirito pneumatico. Infatti lo Spirito (così come viene inteso da Gesù, ossia dalle Scritture) non è in alcun modo immanente (come è senz’altro invece lo spirito ontico, o se si vuole «onto-spirituale», opposto alla corporeità, o anche lo stesso spirito oggettivo filosofico che corrisponde poi appena alla Cultura umana), ma è invece integralmente divino e trascendente (pur essendo intimamente connesso alla corporeità e potendo quindi agire perfino storicamente). Esso è cioè il Padre della Trinità e quindi è il Pneuma stesso – è insomma quel Padre che entro la Trinità è allo stesso tempo Figlio e Spirito. L’uomo, invece, è intanto di per sé solo “mondo” e “carne”, e quindi lo Spirito lo trascende totalmente. E pertanto proprio per questo può fare di lui quello che vuole.
Guardini ci offre un’ulteriore possibilità di comprendere tutto questo illustrando l’episodio evangelico in cui Gesù appare ai Discepoli sul lago come un vero e proprio fantasma [Romano Guardini, Der Herr… cit., III, 8 p. 230-235]. Ebbene questo conferma in pieno l’a-località dello Spirito pneumatico proprio entro la dimensione della sua trascendenza verticale. È infatti estremamente probabile che Gesù non sia stato affatto presente fisicamente sul lago, ma invece sia stato presente solo appunto “in spirito“, e cioè nel contesto di una vera e propria bilocazione. Infatti molto probabilmente Egli era restato sulla montagna, dove si era separato dai Discepoli che erano andati in barca sul lago.
E questo ci riporta poi di nuovo all’episodio del Battesimo nelle acque del Giordano. Gesù Cristo è insomma Colui che è spirito per eccellenza. E quindi è lo spirito (“Pneuma”) che scende su di Lui non trova affatto un uomo medio, ossia un uomo naturale, e pertanto può manifestarsi pienamente in Lui con tutte le sue estreme caratteristiche ontiche. Il che significa poi che, proprio in virtù della sua natura di Spirito pneumatico, in Cristo l’umanità e la divinità non sarebbero mai potute restare separate nel contesto dell’Incarnazione. Insomma Egli fu ed è uomo-dio che poi diviene il risorto senza alcuna interruzione tra le due ontologie − Egli si è incarnato pur essendo Dio (il Logos stesso, ossia lo Spirito divino) e poi è tornato Spirito pur restando corpo. Ecco che allora Egli si rivela essere quel prototipo di uomo divino (ossia la pienezza dell’umano-divinità) che nessuna riflessione filosofico-metafisica (per quanto sofisticata) potrà mai giustificare e lasciarci comprendere. Infatti tale realtà è davvero spiegabile soltanto qualora l’Incarnazione si spieghi dal punto di vista della Resurrezione, e quindi in maniera assolutamente contro-razionale e pertanto per nulla logica. E questo decisamente pone fuori gioco quel lato dello Spiritualismo steiniano che non si soffermò sullo Spirito pneumatico ma invece solo su quello «onto-intellettuale», per quanto religiosamente inteso.
A conclusione di queste riflessioni di Guardini vale la pena di richiamare alcune riflessioni di Gregorio di Nissa che ci permettono di comprendere ancora meglio lo Spirito pneumatico nella sua natura di Corpo spirituale ed anche di estremo dinamismo [Gregorio di Nissa, Sull’anima e la resurrezione, in: Ramelli Ilaria (a cura di), Gregorio di Nissa. Sull’anima e la resurrezione, Bompiani, Milano 2007, I, 6, 40-44 p. 375-381, V, 108-128 p. 457-481, VI, 129-160 p. 483-519; Ilaria Ramelli, Il Platonismo nella filosofia patristica, ibd., II, III, 1 p. 1014-1028]. Il discorso di Gregorio verte in particolare sulla la conoscenza di un oggetto immateriale come l’anima, cosa che per lui implica il coglimento dell’essenza − in forza del fatto che il vero essere è immateriale, ossia corrisponde a Dio, ed è appunto per questo intangibile ed invisibile. Ecco che allora l’intelletto (che è onticamente immateriale) non è affatto escluso dall’essere. Infatti l’uomo che è intelletto, e dunque è del tutto simile a Dio (uomo-dio e “imago dei”) − secondo il paradigma della similitudine al modello −, costituisce di fatto un intelletto immateriale ed incorporeo.
Esso corrisponde pertanto pienamente a Dio in quanto Intelletto. Ebbene quest’ultimo è del tutto “privo di massa” (ἀσωμάτῳ) così come di “estensione” (ἀδιαστάτῳ); proprio come lo è lo Spirito pneumatico. Dunque, al cospetto di ciò (e nel contesto della somiglianza) per Gregorio l’uomo è come un piccolo frammento di cristallo che riflette l’intero disco solare − “così nella piccolezza della nostra natura brillano le immagini di quelle misteriose proprietà della divinità” Sebbene questo non significhi affatto un’identità completa con quella che è una pura sostanza intelligibile.
A ciò si aggiungono poi le considerazioni del pensatore sull’a-località spirituale in quanto eternità (che a quanto pare assimilano il pensatore al neoplatonismo di Plotino) e che ci offrono ulteriori possibilità di comprendere la natura ed azione dello Spirito pneumatico. Si tratta in particolare dell’”atemporalità” espressa come “aidion” (ἀῒδιον) o “aion” (αἰών), dunque assenza di estensione, ossia assenza di “diastema” (διστηνα), cioè separazione nella successione spazio-temporale – “adiastatos” (ἀδιάστατος), ovvero “adimensionale” e quindi “ininterrotto”. Si tratta insomma di una dimensione di essere che, non conoscendo alcuna scansione né spaziale né temporale, costituisce la (fulminea e simultanea) Totalità del tempo e dello spazio come perfetta coincidenza di inizio e fine. Si tratta insomma dell’assenza di scansione tanto temporale che spaziale che sussiste in un attimo eterno che è anche sempre Totalità di Essere. Ebbene tutto ciò nelle “Enneadi” di Plotino [Plotino, Enneadi, Monadori, Milano 2002, III, 7, 3-4] viene espresso appunto come “eterno presente”; che è poi la massima pienezza di essere, laddove l’essere ha l’eternità essenzialmente (e non come attributo accidentale) – l’eternità (αἰών) equivale qui a “ciò che è sempre” (ἀεί ὢν). Dunque non tempo infinito ma invece semmai “mancanza di tempo”. Il che corrisponde poi al permanere dell’eterno nell’unità, o anche al permanere dell’essere nel proprio stato (stasi ad onta del dinamismo temporale) nel senso dell’unità inscindibile − “sempre essente” (ἀεί ὢν) in quanto “veramente essente” (ἀληθῶς ὢν).
E questo è poi ciò che non ha alcun bisogno del futuro, così come ciò che non ha bisogno di altro essere in quanto è “in pieno possesso di ciò che deve essere”. Al contrario la temporalità (come “diastasis” o “diastema”, estensione, successione ed intervallo, ossia scansione) è soggetta fatalmente al bisogno di un essere successivo ed ulteriore, ossia al bisogno spasmodico di possesso come promessa di stasi. Questo spasmodico bisogno di altro implica pertanto fatale perdita dell’assoluta unità che è propria dell’eterno, ossia la fatale “dissipazione” (la cui espressione immanente è poi l’inquietudine della perenne ricerca del possesso come stasi). Questo è insomma il tempo come mobilità dell’eternità (del quale, secondo la commentatrice, si ritrova il corrispettivo in Platone, Timeo 37D) e come Natura [Plotino, Enneadi…cit., II 7, 12].
Orbene è evidente qui la preoccupazione metafisica (che senz’altro fu presente primariamente in Plotino) che intende preservare il valore di una suprema Stasi. E quindi queste riflessioni non si prestano a concepire né lo Spirito né l’Essere stesso come sostanzialmente dinamici. Eppure comunque in tal modo possiamo meglio comprendere quella a-temporalità ed a-spazialità dello Spirito che poi si traducono in particolare in una stasi che è soprattutto Totalità di Essere raccolto in un solo momento anche nel suo perenne fluire dinamicamente. Ed anche questo è senz’altro un aspetto dello Spirito nel suo intendimento pneumatico. In altre parole lo Spirito pneumatico è a-spaziale ed a-temporale proprio in virtù di tali caratteristiche perfino statiche. E quindi esso «va dove vuole» semplicemente perché sta già nel luogo dove voleva arrivare, e quindi non conosce alcuna discrepanza tra causa ed effetto. La quale implica sempre una sorta di impotenza, nel senso di fatale e tragica soggezione alle condizioni che possono rendere impossibile raggiungere l’effetto che era voluto nell’intenzione. E non vi è dubbio che ciò è esattamente quanto può accadere a causa del vigere nel mondo di quelle inflessibili Leggi della Natura secondo le quali una causa implica necessariamente un effetto specie in senso difettivo – ossia una causa impedente rende impossibile raggiungere l’effetto voluto. Insomma siamo così di fronte a quella inflessibile concatenazione causale che entro la metafisica orientale del “karma” (specie buddhista) ha teorizzato che una determinata causa negativa produrrà necessariamente un effetto egualmente negativo.
Ecco allora che è esattamente questo il motivo per il quale lo Spirito pneumatico ha il potere incondizionato della trasfigurazione dell’essere. Esso infatti è esattamente quella creatività illimitata (presupposta anche da Berdjaev) in quanto assolutamente libera dal condizionamento di qualunque necessità naturale.
Dunque è su questa base che si spiega il perché del «tutto è possibile allo Spirito», ossia «tutto è possibile a Dio»
III- Maine de Biran
Lo Spiritualismo di Maine de Biran (MdB) rientra decisamente nella tradizione filosofico-idealistica moderna, ed inoltre (a causa del suo accento posto sulla coscienza) anticipa anche in maniera molto suggestiva alcuni elementi tipici dello Spiritualismo fenomenologico-husserliano, e quindi anche di quello di Stein.
MdB parte infatti chiaramente dalla concezione dello Spirito come coscienza umana [Marie-François-Pierre Maine de Biran, Frammenti sui fondamenti della morale e della religione, Bibliotheca, Gaeta 1998, Introduzione, 2 p. 12-22], sebbene poi aggiungerà a questo l’affermazione che in essa è presente lo stesso Spirito divino. Peraltro egli postula un processo di auto-conoscenza da parte dell’Io che rientra in modo chiaro nello Spiritualismo che intende lo Spirito come Ragione umana ed Io coscienza [Marie-François-Pierre Maine de Biran, Frammenti…cit., 47-56 p. 55-64]. Non a caso per lui la coscienza è solo del soggetto in quanto è una realtà ontologica capace di disporre di uno spazio interiore caratterizzata dal “con sé”, e che poi null’altro è se non il «sapere di sé» [Marie-François-Pierre Maine de Biran, Frammenti…cit., 11-13 p. 35-36].
Tuttavia questo atto ha per lui anche una valenza chiaramente religiosa. In particolare egli dichiara di riferirsi ad Agostino nel teorizzare un auto-possesso dell’Io da parte di sé stesso che avviene sostanzialmente sulla base del riconoscere la sua somiglianza interiore a Dio (umano-divinità). Questa è per lui la dimensione del cuore in senso cristiano. Sul cuore si basa per lui la disposizione sociale della persona, che poi comporta l’amore in quanto compassione.
Rispetto a queste riflessioni egli va poi ancora più avanti nell’affermare che l’Io e Dio sono le due primarie unità dell’essere [Marie-François-Pierre Maine de Biran, Frammenti…cit., 61-67 p. 65-73]. E, nel sostenere questo, egli si oppone imoltre decisamente all’unità indifferenziata divino-immanente (decisamente impersonale) che fu teorizzata entro il panteismo di Spinoza. Ecco che quindi il suo concetto di Spirito non consiste solo nella coscienza, ma anche nell’Io stesso come fondamentale unità singolare. Lo Spirito insomma è una persona nel suo isolamento ontico di entità assolutamente e paradigmaticamente unitaria.
Egli tuttavia non manca di concepire lo Spirito divino come trascendente quello umano, ossia l’Io stesso [Marie-François-Pierre Maine de Biran, Frammenti…cit., 83-90 p. 82-88]. Lo fa sostenendo che Dio è causa delle esistenze, e come tale coincide anche con quello Spirito originario che contiene in sé ogni verità; in modo tale che esse di trovano prima dello spirito umano. Ecco insomma l’esatta natura dello spiritualismo di MdB, che appare essere una dottrina subordinante l’uomo ad una dimensione ideale trascendente che appare essere poi lo Spirito stesso nella sua integralità ontica. Esso è senz’altro lo Spirito divino, ma senza nessuna delle caratteristiche che abbiamo visto essere tipiche dello Spirito pneumatico.
Questa è molto in sintesi la dottrina dello Spirito di MdB e quindi questo è il suo Spiritualismo.
Comunque in termini specificamente religiosi egli non manca di intendere lo Spirito divino come Grazia [Marie-François-Pierre Maine de Biran, Frammenti…cit., 2 p. 12-22]. Non a caso egli concepisce una mistica attiva in quanto movimento verso l’Assoluto divino; ma che è anche passiva in quanto attende appunto la Grazia.
Dio in quanto Causa è comunque anche ciò che trasfonde nella stessa anima umana il potere di muovere il corpo, dando vita in tal modo anche a quell’unità spirito-animico-corporea che è tipica dell’uomo e quindi configura un’antropologia fondata in Dio [Marie-François-Pierre Maine de Biran, Frammenti…cit., 61-71 p. 65-76].
Ne risulta quindi che per MdB lo Spirito divino coincide anche con la causalità stessa nella sua forma più elevata. Così come è anche la stessa sede di ogni Verità razionale. Più precisamente Egli è “causa delle esistenze”, e proprio come tale è “oggetto della ragione” in quanto è appunto insieme di verità razionali [Marie-François-Pierre Maine de Biran, Frammenti…cit., 83-94 p. 82-94]. Le quali sono poi verità antecedenti allo spirito umano in quanto si trovano nello Spirito divino. Ecco allora che MdB, nell’essere spiritualista, assume una posizione decisamente idealista. Dunque il suo Spiritualismo si rivela essere una dottrina che subordina lo spirito umano ad una dimensione ideale-spirituale trascendente che è Dio stesso. Comunque l’oggettività delle verità che sono presenti in Lui lascia pensare che in qualche maniera MdB intendesse lo Spirito divino con le caratteristiche di una certa «onto-spiritualità» paradigmatica, e proprio come tale da intendere come Spirito per eccellenza. In ogni caso comunque l’intendimento più esplicito ed evidente del suo Spiritualismo è quello di una dottrina che intende porre in evidenza ciò che è e fa lo spirito umano (sia nella conoscenza che nell’azione etica). E su questo siamo chiaramente nel campo della visione spiritualista più tipica della moderna filosofia, ossia quella che (aldilà anche dei suoi aspetti religiosi) intendeva lo Spirito come equivalente alla Ragione umana.
IV- Emmanuel Mounier.
Lo Spiritualismo di Mounier è senz’altro quello più pragmatico ed immanentista; anzi a tratti appare addirittura materialista. In ogni caso vedremo poi che in esso appare decisiva la presenza della visione di Blondel. Tale Spiritualismo non è però affatto razionalista, dato che Mounier, nel fondare il proprio Personalismo, si distanzia decisamente dalla tradizione filosofica, moderna. Ed in particolare si distanzia dallo gnoseologismo filosofico, così come fa anche Berdjaev [Emmanuel Mounier, il Personalismo, AVE, Roma 1964 (a cura di Giorgio Campanini e Massimo Pesenti), p. 31-40, I, VI p. 103-120]. In particolare egli dissocia decisamente lo Spiritualismo dal «cogito» cartesiano ed anche dall’oggettivazione prodotta dal ricorso gnoseologistico all’universale da parte della moderna filosofia.
Appare perciò molto sorprendente che il pensatore, nell’affermare che il Personalismo ha dietro di sé una lunghissima e remotissima tradizione filosofico-metafisica, veda il nucleo di quest’ultima proprio in quel concetto tutto cristiano di “carne spirituale” [Emmanuel Mounier, il Personalismo…cit., p. 31-40] che abbiamo visto messo in luce da Guardini, ossia dallo spiritualista più radicale che finora abbiamo esaminato. Egli insomma prende debitamente atto del fatto che lo Spiritualismo si è a lungo (ed in larghissima parte) identificato con la postulazione di uno Spirito pneumatico. Ma questo con certezza assoluta gli serve a fondare la concretezza corporale e mondana della persona umana. Infatti nel definirla egli afferma che bisogna decisamente contraddire il tradizionale dualismo metafisico riconosciuto tra spirito e materia [Emmanuel Mounier, il Personalismo…cit., I, I p. 43-56]. A questo punto va anche detto però che ciò si sposa perfettamente con l’irrazionalismo della sua visione, dato che questa parte della tradizione spiritualista fu sempre (forse già da Platone in poi) in qualche modo razionalista. E ciò ci porta a pensare dunque che vi sono due forme di Spiritualismo tradizionale non «onto-spiritualista» − quella dello Spirito pneumatico colto nella sua pienezza (quindi sicuramente irrazionalista) e quella dello Spirito colto sostanzialmente come Intelletto e Ragione (quindi sicuramente razionalista «onto-intellettualista»).
In ogni caso Mounier sembra disposto a seguire solo in parte questa strada, dato che lo Spirito è per lui sostanzialmente attivo e quindi è integralmente umano e mondano. Ed infatti egli sostiene la stessa necessità di superare il dualismo spirito-materia laddove afferma che l’azione stessa la esige [Emmanuel Mounier, il Personalismo…cit., II p. 132-160]. Anzi qui il suo Spiritualismo assume una venatura decisamente filosofico-politica ponendosi addirittura come rivoluzionario ed anche marxista.
Proprio per questo appare chiaro che egli non sostiene affatto il concetto di corporalità spirituale come fa Guardini. Egli ci fa capire infatti che addirittura lo Spirito è condizionato a tal punto dall’esistenza del corpo che di fatto, in assenza di quest’ultimo, non vi è alcuna realtà spirito-corporea, e quindi di fatto lo spirito si dissolve nel nulla [Emmanuel Mounier, il Personalismo…cit., I, I p. 43-45]. Ne risulta quindi una visione spiritualista che ha perfino tangibili venature materialiste. Non a caso egli giunge perfino a negare la natura spiritualista del Personalismo nel sostenere una visione che, secondo lui, non può dimenticarsi nemmeno un attimo del mondo [Emmanuel Mounier, il Personalismo…cit., I, I p. 45-50]. Ciò significa insomma che egli stesso vede in fondo nello Spirito qualcosa si astratto ed anti-mondano.
Ciò concorda peraltro perfettamente con il fatto che egli dichiara l’interiore la regione più propria dello Spirito e la definisce anche come il contrario stesso dell’essere [Emmanuel Mounier, il Personalismo…cit., I, III p. 74-76].
Ecco che trova eco in lui in modo chiaro lo Spiritualismo interiorista ed egoico di Maine Biran e dell’intero pensiero moderno. Esso non sarà quindi razionalista, ma ciò cambia davvero poco nella sua natura.
Di nuovo qui però diviene dirimente la natura azionista del suo Spiritualismo. Lo possiamo comprendere bene laddove egli parla dell’”attività produttrice” umano-personale come un “fabbricare” che è radicalmente diverso dal conoscere (e come tale di distanzia moltissimo dall’”intenzione” così come viene intesa dalla filosofia gnoseologistica, e quindi anche da Husserl) [Emmanuel Mounier, il Personalismo…cit., I, VI, p. 103-105]. Ebbene, egli dice, questa attività non è altro che la tipica attività dello Spirito. È evidente insomma che per lui lo Spirito è sostanzialmente attività in quanto movimento, e più precisamente movimento produttivo. Il che poi lascia intravvedere anche lo Spiritualismo di Bergson, secondo il quale l’Intelligenza cosmica (in quanto Spirito) è sostanzialmente attiva perfino nel conoscere, e quindi in tal modo “ritaglia” letteralmente le oggettualità nella compagine indifferenziata dell’essere [Henri Bergson, L’evoluzione creatrice, Fabbri, Milano 1966, II, p. 135-216].
Come tale, dunque, per Mouniier l’azione spirituale è squisitamente umana. Egli insomma non guarda affatto allo sfondo metafisico dello Spirito umano, ossia si disinteressa decisamente di esso. Pertanto il suo Spiritualismo è decisamente non-metafisico. È evidente allora che per lui il concetto di Spirito pneumatico non è altro che storia, e quindi può semmai servire a fondare concettualmente la corporalità spirituale ma solo nella sua totale concretezza addirittura materiale.
E di questo possiamo trovare riscontro laddove egli parla dello “spirito conoscente” come incarnato in un’esistenza legata profondamente ad un corpo e ad una storia [Emmanuel Mounier, il Personalismo…cit.,
I, VI, 3 p. 110-113]. Quindi per definizione esso è “impegnato”. Questo concetto di impegno sembra del resto dominare completamente la sua visione dello Spirito. Egli dice infatti che, nel contesto del problema della relazione tra azione e pensiero, la vita spirituale si rivela assolutamente identica all’azione; dunque, l’azione equivale proprio all’”esperienza spirituale nella sua integrità” [Emmanuel Mounier, il Personalismo…cit., I, VII p. 121]. Infatti, egli dice, “ciò che non agisce non è”. E dunque secondo lui del Logos cristico noi dovremmo avvalorare le dimensioni della via e della vita, molto più che quella della verità. Ed a questo punto dichiara di dovere queste idee a Blondel, proprio secondo il quale lo spirito è sostanzialmente azione.
Questo si può dunque dire dello Spiritualismo di Mounier che si riconferma essere immanentista, pragmatico e decisamente anti-metafisico. In esso si può dire quindi che si dissolve totalmente la sostanza ontica dello Spirito, dato che esso si presenta appena come una disposizione attiva e funzionale della persona umana, e quindi sostanzialmente nella forma di vita attiva umana fotografata nel pieno del suo esistere mondano.
V- Steinhart.
L’articolo di Steinhart [Eric Steinhart, “Spirit”, Sophia, 56 (4) 2017, 557-571] compare qui appena come esempio e campione di quella che deve senz’altro essere una riflessione oggi molto diffusa. E quindi ci serve soltanto a prendere atto di come e quanto si sia evoluto lo Spiritualismo fino ai giorni nostri. Tuttavia un’analisi delle sue forme attuali richiederebbe senz’altro un’altra investigazione, dato che sicuramente molti pensatori sono oggi impegnati in questa riflessione. In ogni caso questa presa d’atto potrà essere di grande aiuto nel cogliere quella che è senz’altro la forma più estremamente moderna dello Spiritualismo; e ciò allo scopo di poterla poi paragonare con quelle antecedenti.
Va comunque subito detto che qui viene sostenuta la tesi largamente riduzionistica (anche dal punto di vista religioso) che pretende di intendere lo Spirito quale equivalente all’energia cosmica (in quanto sostanza di tipo sottilmente fisico) ed in particolare alla forza evoluzionistica che spinge l’universo. In altre parole si pretende di dire cosa è Spirito in base a ciò che di esso scientificamente è più coerentemente pensabile.
Ci troviamo insomma di fronte ad uno Spiritualismo che non solo è fuoriuscito dall’ambito della metafisica (come quello di Mounier) ma è fuoriuscito addirittura anche dall’ambito della filosofia. Esso rappresenta pertanto una sorta di estremamente paradossale Spiritualismo scientifico o comunque scientista.
Estremamente significativo è il fatto che l’autore parta nella sua riflessione nel considerare il Pneuma esattamente una “energia”, e più precisamente ancora un “potere naturale” (“natural power”). Egli rivendica inoltre che questo debba essere l’intendimento più proprio di Spirito, dato che gli altri (potere vitale animante, e potere creativo onto-generante ed onto-organizzante) sono del tutto secondari in quanto assolutamente impropri dal punto di vista logico. Ancora più precisamente lo Spirito andrebbe inteso come quell’”energia sottile” (“subtle energy”) che è di per sé “energia spirituale”, anche se si presenta in maniera molto concreta nelle moderne scienze (come quella termodinamica ed informazionale). Ovviamente secondo l’autore ciò non ha nulla a che fare con alcun piano intelligente direttivo, e quindi con “forze trainanti” (“driving forces”). E questo perché lo Spirito non ha assolutamente nulla di personale. Nemmeno nel caso che lo si volesse intendere come entità divina. Insomma esso è energia proprio perché non si muove affatto secondo un’intenzione diretta a sua volta verso uno scopo determinato. Esso si limita ad essere invece quella dimensione dinamica per mezzo della quale le morte cose trovano la forza di spinta per muoversi. In altre parole esso non è altro che una specie di carburante universale, sebbene senz’altro invisibile ed intangibile.
È evidente che ci troviamo qui di fronte ad uno Spiritualismo che ormai si è totalmente dissociato dal Personalismo.
Posto questo come l’intendimento più proprio di Spirito, l’autore si dedica all’esame delle diverse teorie che esistono rispetto a questa energia.
La prima teoria dello Spirito come energia è quella che lo intende come “forza vitale”. Però da un punto di vista rigorosamente scientifico non può per lui esservi alcuna forza vitale (sebbene essa venga presupposta in biologia nella teoria evoluzionistica), dato che essa può essere solo un’entità unitaria inesistente a causa del fatto che sotto di essa vi sono ben più reali molteplici forse elementari. Come ad esempio quelle presupposte nella teoria termodinamica. In particolare si tratta dell’entropia presupposta dalla seconda legge della termodinamica (e questa è la seconda teoria dello Spirito come energia) in quanto dissipazione di energia disorganizzante (forza entropica) che tende intanto alla crescente complessità delle strutture (in particolare attraverso la dissipazione di energia superflua che rende impossibile la genesi di una struttura statica). Questa teoria viene però dichiarata “ingenua” perché essa presuppone una mente diretta verso uno scopo pur non essendo intanto affatto cosciente (per il fatto di essere un’energia profonda e quindi del tutto cieca). Ecco che allora si perviene per esclusione alla terza teoria dello Spirito in quanto energia, che prevede una forza extropica; la quale, per il solo fatto di opporsi alla forza entropica, riesce per davvero ad essere organizzante pur senza prevedere alcuna mente. Si tratterebbe insomma di null’altro che del Big Bang originario. E proprio questo sarebbe lo Spirito in quanto energia nella sua pienezza. Che poi filosoficamente viene equiparato alla volontà di potenza nietzschiana.
Insomma, dato che l’entropia tende all’incremento per deplezione di essere (con conseguente riduzione dell’ordine), essa non può assolutamente tendere alla sempre maggiore complessità, dato che quest’ultima richiede un sempre maggiore ordine. Per cui non resta che ipotizzare l’azione di una forza extropica, la quale quindi tende naturalmente all’incremento di essere per il fatto che essa riduce l’entropia. Infatti il momento del Big Bang è caratterizzato non a caso da un basso livello di entropia. La discussione dei dettagli di questa complessiva teoria è troppo complessa per venire riportata qui, ma comunque l’autore giunge alla conclusione che lo Spirito come energia corrisponde ad una forza extropica, che è poi chiaramente direttiva. Entro il suo esplicarsi essa sta comunque in costante relazione dialettica con la forza entropica.
E su questa base egli ipotizza addirittura l’esistere di un “universo spirituale” la cui struttura e dinamica interna sarebbe descrivibile attraverso il complesso gioco esistente tra forze entropiche ed extropiche.
Posto questo, l’autore passa poi ad occuparsi delle varie prese di posizione teologiche e para-teologiche che si possono delineare in tale contesto. Si tratta del teismo (che ricorre al ben noto “intelligent design” di ascendenza tomista), delll’ateismo (definito “multiverse”) e dello Spiritualismo naturalistico (il quale presuppone una sorta di evoluzionismo cosmico, simile a quello biologico, entro il quale si verifica la genesi di una progressiva complessità di universi). Quest’ultima teoria viene definita come “cosmological arrow”. E con essa si delineerebbe una sorta di “freccia cosmologica”. Ma extrapolando quest’ultima presa di posizione secondo l’autore si perverrebbe alla quarta teoria della natura ed azione dello Spirito. Essa consiste nel ritenere che la freccia cosmologica deve presupporre un potere “ontologico” direttivo, che sarebbe appunto lo Spirito stesso, ossia lo Spirito nel suo potere onto-generante. Infatti a suo avviso bisogna ritenere che solo lo Spirito può condurre l’essere (opponendosi al caos entropico) ad assumere la forma di un organismo. Si tratterebbe così insomma dell’animazione spirituale del mondo (“spirit animates universe”). In altre parole l’azione dello Spirito, come del tutto impersonale energia (ossia carburante dell’universo), sarebbe in primo luogo quella di produrre l’animazione di quelle cose cosmiche originarie che in sé sono per definizione morte, cioè inanimate.
Su questa base (e sulla base delle varie teorie filosofico-scientifiche che egli tiene presente) l’autore perviene ad una sorta di moderna versione evoluzionistico-scientifica della dottrina di Leibniz (definita come “leibnizian argument for spirit”); secondo la quale in primo luogo insorgerà senz’altro una struttura che non si imbatta in una “forma” che ne impedisca l’attualità. E il criterio dominante è qui assiologico-ontologico, nel senso che si tratta di un continuo tendere verso il meglio in quanto concreto finale e cioè ultimamente determinato. Più precisamente si tratterebbe della “theory of striving possibility” (possibilità tendente, anelante, sforzantesi). E secondo l’autore essa può spiegare perfettamente l’evolvere dell’universo verso strutture non solo di maggiore complessità ma anche più giustificate ad esistere.
E ciò fino al risultato finale, ossia a quanto Leibniz considerava come il finale e perfettamente giustificato “determinato” − secondo quel principio del «perché qualcosa e non nulla» che poi corrisponde anche al famoso principio di “ragione sufficiente” [Gottfried W. von Leibniz, Saggi di Teodicea, Fabbri, Milano 1996, 1-4, pag. 69-72; Gottfried Wilhelm von Leibniz, Monadologia. Bompiani Milano 2001, II, 7-15 p. 47-53].
Questo potere (formante in quanto determinante) sarebbe dunque per Steinhart lo Spirito stesso − il potere astratto (ragione) di massimizzazione dei valori e quindi di ottimizzazione. Insomma per l’autore proprio qui vi sarebbe la definizione migliore dello Spirito come energia creante − “Spirit is a natural optimizing power; it is the power of self-surpassing in all thing”). E diremmo che qui di nuovo viene presupposto il concetto di «superamento» di Nietzsche.
Insomma questa estremamente complessa ed articolata teoria (per la verità molto più scientifica che non filosofica) rappresenta almeno un esempio per quello che può essere un estremamente moderno Spiritualismo. Come si può vedere in tale contesto ci si forza molto di essere logicamente rigorosi nelle argomentazioni ed in fondo non si rigettano nemmeno in via di principio i contributi di religione e filosofia. Eppure il concetto di Spirito viene qui letteralmente forgiato dalla mente umana attraverso un minuzioso lavoro di analisi (che tende a scartare le ipotesi meno logiche) senza però tenere assolutamente conto né della tradizione di pensiero metafisico che si è sviluppata dai primordii della filosofia né delle possibili intuizioni della realtà dello Spirito così come si presentano spontaneamente nella nostra interiorità.
Non a caso il pensiero metafisico di Leibniz viene completamente riletto e adattato ad argomentazioni puramente scientifiche che con esso non hanno molto a che fare.
Ebbene il risultato di questo così minuzioso lavoro non può quindi essere altro che un concetto estremamente artificioso di Spirito, che può avere anche la sua validità all’interno dell’attuale dibattito filosofico-scientifico ma intanto non è detto affatto che sia né veridico né oggettivo. E qui vale decisamente l’opinione di Berdjaev, secondo la quale la filosofia tutto può essere tranne che rigorosamente scientifica.
In ogni caso comunque resta l’intendimento iniziale e di partenza (già in sé piuttosto restrittivo) secondo il quale lo Spirito equivarrebbe ad una realtà assolutamente empirico-scientifico-naturalistica come l’energia. E questo taglia ovviamente fuori dalla riflessione qualunque sua valenza trascendente ad ancor più autenticamente religiosa.
È vero che questo concetto ha una certa somiglianza con il concetto di Spirito pneumatico (che indubbiamente è una sorta di energia), ma è anche vero che non solo qui il Pneuma si presenta come una forza assolutamente impersonale (e quindi cieca, per cui impossibile da considerare divina) ma inoltre lo Spiritualismo che ne risulta non permette alcuna applicazione religiosa di tipo pratico. E questo lo discuteremo più a fondo nelle conclusioni.
Conclusioni.
Alla fine di questa indagine possiamo dire che si sono delineate piuttosto chiaramente diverse definizioni sia dello Spirito che dello Spiritualismo. Ed abbiamo visto che esse a volte finiscono per convergere con lo Spiritualismo steiniano mentre altre volte finiscono per divergere molto radicalmente da esso. Dato che la visione steiniana dello Spirito coincide in gran parte con quella dello Spiritualismo più convenzionale di tipo filosofico-gnoseologistico (ossia quella visione che meno si trova rappresentata entro lo Spiritualismo storico, e cioè quello di fatto più prossimo al Personalismo).
In ogni caso però abbiamo constatato che, laddove lo Spiritualismo è più estremo, la convergenza sussiste solo con quel secondo intendimento dello Spirito che Stein sostenne senz’altro, ma che sfortunatamente comparve nelle sue opere solo in maniera molto secondaria e molto poco assertiva. Si tratta dell’intendimento che coincide con il Pneuma, o anche Spirito pneumatico. Ancora più secondariamente si tratta poi di altre due forme di intendimento dello Spirito: − 1) quello proprio di una sorta di Spiritualismo dell’impregnazione divina del mondo corrispondente al concetto di “ontologia cristo-centrica” (simile a quello vedantico, nel quale si postula un’essenza divina situata nel profondo di tutte le cose); 2) quello proprio della visione che abbiamo definito come Spiritualismo «degli spiriti» (coincidente in gran parte con l’antica dottrina patristico-scolastica degli “spiriti puri”).
Posto questo abbiamo visto delinearsi con Berdjaev un intendimento dello Spirito che coincide interamente con l’Essere stesso colto nel suo dinamismo incessantemente creativo. E quest’ultimo è senz’altro uno Spiritualismo che intende convergere con una forte visione onto-dinamica dell’essere. Oltre a ciò abbiamo visto delinearsi nel suo pensiero ulteriori tendenze dello Spiritualismo moderno. Innanzitutto si è delineato uno Spiritualismo concreto assolutamente non trascendentista, entro il quale lo Spirito viene considerato unicamente interiore ed affatto esteriore, ossia tutt’altro che uno spirito oggettivo. Oltre a ciò abbiamo visto emergere uno Spiritualismo che diverge radicalmente da qualunque filosofia rigorosamente scientifica, avendo unicamente l’intenzione di porsi entro una filosofia dell’esistenza e dell’essere. Infine abbiamo visto emergere anche uno Spiritualismo da intendere come prassi umana nel mondo; e peraltro anche nel contesto di una prassi ispirata fortemente alla fede cristiana. Esso si presta quindi fortemente a fondare un’autentica esperienza religiosa, come del resto abbiamo sostenuto in alcuni nostri articoli [Vincenzo Nuzzo, “Rilettura di Edith Stein alla luce del pensiero di Nikolai Berdjajew. L’essere in quanto Essente (“Seiende”), Dialeghestai 24, 2022 (in via di pubblicazione); Vincenzo Nuzzo, “Edith Stein e la nuova filosofia dell’essere di Nicolaj Berdjaev. Dio-Essere e filosofia integralmente religiosa”.
< https://cieloeterra.wordpress.com/2022/10/09/vincenzo-nuzzo-la-donna-secondo-getrud-von-le-fort-sullo-sfondo-di-edith-stein/ >; Vincenzo Nuzzo, “L’esperienza religiosa viva, la mistica e l’«aiuto divino». Edith Stein a confronto con Nikolaj Berdjaev e Gertrud von Le Fort”
< Vincenzo Nuzzo,“L’esperienza religiosa viva, la mistica e l’«aiuto divino». Edith Stein a confronto con Nikolaj Berdjaev e Gertrud von Le Fort” | cielo e terra (wordpress.com) >].
Con Guardini abbiamo visto invece emergere in maniera chiara un intendimento dello Spirito che corrisponde esattamente a quello di Spirito pneumatico o Pneuma. Ed abbiamo visto che esso coincide sostanzialmente con lo Spirito nella sua più alta formulazione, ossia come Spirito divino o Logos. Ma oltre a ciò esso coincide con l’altissimo concetto metafisico-religioso di corporeità spirituale, e quindi non è in alcun modo rigorosamente trascendentista né dualista. Qui, in maniera assolutamente imperscrutabile, lo Spirito è quanto di meno ontico possa venire immaginato, eppure è corporale al massimo grado. In ogni caso si tratta di quell’onticità che, essendo totalmente interiore, permette allo Spirito di sottrarsi senza la minima difficoltà a tutte le necessità imposte dall’esteriorità (in particolare quella spazio-temporale).
E non vi è solo questo, dato che il dinamismo irrefrenabile di tale sostanza permette ad essa di occupare simultaneamente sconfinate distese di spazio (e connesso tempo) costituendo così sempre una simultanea Totalità di Essere. Ed è a causa di tutto questo che esso ha il potere di revocare qualunque Legge di Natura, ossia la necessità stessa. Questo Spiritualismo si è rivelato comunque anch’esso molto utile per fondare un’autentica esperienza religiosa – specie nel considerare lo Spirito divino (di fatto lo Spirito Santo) come la misteriosa forza che rende possibile l’impossibile; ed inoltre nel sottolineare l’assoluta necessità dell’umana «decisione per lo Spirito» come condizione indispensabile per innescare la forza rigenerante che è propria dello Spirito divino in quanto pneumatico.
Con Maine de Biran abbiamo poi visto emergere un concetto di Spirito che coincide sostanzialmente con tanto con l’Io razionale umano quanto con l’Io razionale divino. Ed esso quindi potrebbe venire ricondotto solo con molta difficoltà al concetto di Spirito pneumatico; specialmente perché assume forme tangibili perfino nel contesto di una riflessione sostanzialmente metafisica. Esso infatti, pur nella sua più alta formulazione, è sostanzialmente Ragione (sede della Verità) e Causa delle cause moventi l’essere (per mezzo della sostanza animica umana). Oltre a ciò in Maine de Biran lo Spirito si presenta come l’Io nella sua unità tendenzialmente isolata, e quindi come un’entità spirituale decisamente intellettuale, ossia come una sorta di Io puro. E questo rende attuale in lui una certa dose di «onto-intellettualismo», ma comunque assimilabile alla tipica presa di posizione filosofico-moderna, ossia in definitiva non poco idealista. Infine questo tipo di Io appare subordinato allo Spirito divino senza che esso abbia alcuna caratteristica pneumatica. Anzi esso è semmai la sede primaria della verità razionali, con la conseguenza di uno Spiritualismo ancora una volta decisamente filosofico-intellettualistico.
Con Mounier infine abbiamo visto affermato un concetto di Spirito che vuole essere espressamente corporale al solo scopo di presentarsi a livello unicamente immanente, pragmatico e mondano, e precisamente come azione umana. E qui dello Spirito divino ci sono davvero pochissime tracce se non nessuna. Per cui è assolutamente impossibile ricondurlo al concetto di Spirito pneumatico. Anzi sembrerebbe che di questo tipo di Spirito Mounier abbia avuto un’idea assolutamente deteriore in quanto astratto ed anti-mondano. In ogni caso, aldilà dell’intendimento azionista dello Spirito, si ritrova presso di lui anche un suo intendimento interiorista che lo approssima non poco allo Spiritualismo filosofico-convenzionale. Quello che è certo è che in Mounier si dissolve totalmente l’onticità dello Spirito, in modo tale che esso diviene appena una disposizione.
Naturalmente il classico Spiritualismo filosofico-gnoseologistico del moderno pensiero (secondo il quale lo Spirito coincide con la Ragione, la coscienza, l’interiorità e la mente, specie nella sua valenza prevalentemente conoscitiva) interseca tutte queste visioni – a volte solo per venire totalmente sconfessato (come in Berdjaev e Guardini), a volte invece per venire in parte confermato (come in Maine de Biran e Stein). L’unica eccezione al proposito è ancora una volta Mounier il quale Spiritualismo non sembra avere assolutamente nulla a che fare con questo intendimento. Diversamente stanno invece le cose per Stein, nel cui pensiero invece la presenza di questo moderno Spiritualismo di fondo è più che tangibile; con l’eccezione delle affermazioni divergenti da questo che (come abbiamo visto) comunque in esso si ritrovano.
Con Steinhart, in conclusione, si siamo trovati di fronte ad uno Spiritualismo totalmente equivalente alle Leggi della Natura. Ed inoltre abbiamo visto che l’assimilazione Spirito-Energia è qui di natura meramente analogica, e quindi non ha alcuna possibilità di cogliere l’autentica natura dello Spirito stesso.
Non a caso in esso il Pneuma (per quanto molto suggestivamente simile all’energia creante qui presupposta) perde qualunque caratteristica personalistico-religiosa, e quindi cessa definitivamente di equivalere per davvero a quello Spirito divino che è in primo luogo Persona. Ecco allora l’unico Spiritualismo da noi esaminato che non si intrecci con il Personalismo. Con ciò quindi lo Spiritualismo pneumatico perde ogni portata etica e religiosa, e pertanto non si presta più in alcun modo né a fondare un’esperienza religiosa né a fondare un’esperienza spirituale. In altre parole l’intero Spiritualismo perde in esso quella portata pratica che lo rende disponibile a fungere da guida e forza nel corso dell’esperienza umana.
In nessuno degli autori da noi esaminati abbiamo trovato invece traccia di un effettivo «onto-spiritualismo» (per intenderci quello di tradizione platonico-gnostica e vedantica) – tranne per alcune vaghe assonanze con esso in Berdjaev e Guardini. Al contrario l’ordinario Spiritualismo filosofico-gnoseologistico, che si rivela presente al fondo di tutte le visioni esaminate, può ben venire ricondotto ad un paradigma «onto-intellettualistico». Ciò significa allora che nel contesto del moderno Spiritualismo si può ben assumere che lo Spirito sia l’Intelletto stesso. Ma intanto non si può assolutamente assumere che esso sia invece la Realtà nella sua pienezza. Perfino nel così estremo Spiritualismo di Guardini lo Spirito, infatti, è altissimo (come vuole di fatto essere anche quello «onto-spiritualista») ma intanto configura una sostanza assolutamente sfuggente ed ineffabile che in alcun modo può corrispondere alla Realtà; nemmeno a quella più astratto-ideale.
L’intendimento dello Spirito come Realtà appartiene pertanto decisamente ad una tradizione estremamente antica nella quale sembra che si siano perse totalmente le tracce nella filosofia moderna. Tuttavia l’esame dell’articolo di Steinhart ci dimostra in qualche modo che quello che in filosofia era uscito dalla porta (a partire da Cartesio in poi) è successivamente rientrato dalla finestra per mezzo della scienza. Infatti l’attualissimo concetto di Spirito come energia cosmica creante è senz’altro riduzionistico e perfino materialistico, e tuttavia almeno adombra l’idea che lo Spirito sia la Realtà stessa non solo nella sua Totalità ma anche nella sua profondità. Ciononostante però (come abbiamo appena detto) questo concetto di Spirito è così distante da quello anche solo moderatamente religioso, che esso diviene assolutamente inservibile per lo scopo primario al quale dovrebbe attendere qualunque dottrina spiritualistica, e cioè quello di porre l’uomo in profonda (ed anche produttiva connessione) con quella Forza divina amorevole che tutto crea e tutto trasfigura.
Inoltre, sebbene molto di sfuggita, ha fatto sentire la sua presenza anche quell’estremamente originale Spiritualismo eckhartiano che poi è una forma intensissimamente metafisico-religiosa di «onto-intellettualismo». Con esso, ovviamente, il convenzionale Spiritualismo filosofico-gnoseologico non ha assolutamente nulla a che fare.
Infine si è comunque delineato nel corso dell’indagine (sebbene solo sul suo sfondo) una sorta di Spiritualismo degli «spiriti», ossia delle entità spirituali più che dello Spirito. Ed abbiamo visto con Berdjaev quanto esso può essere deteriore in quanto non solo riduzionistico ma anche perfino superstizioso.
Tuttavia la riflessione su questo aspetto da parte di Stein, Conrad-Martius e Gerda Walther − che poi risale a sua volta alla riflessione di Tommaso d’Aquino, e per mezzo di lui anche ad un’antichissima tradizione che affonda le sue radici perfino nella metafisica religiosa pagana (specie in Giamblico e Porfirio), e che poi prese forma in ambito cristiano nei Padri greci Massimo il Confessore e Basilio – ci mostra che tale Spiritualismo non è affatto privo di fondamento in termini metafisico-religiosi. Sta di fatto però che esso è comparso però nella nostra indagine solo sullo sfondo, e quindi non si presta affatto a rappresentare il moderno Spiritualismo.
Il bilancio netto di questa indagine, dunque – dato che essa ha avuto fin dall’inizio davanti a sé lo Spiritualismo steiniano come principale oggetto −, è che quest’ultima visione si presenta a noi in una forma davvero curiosamente sdoppiata. Infatti da un lato essa equivale perfettamente (e peraltro per una larga parte del pensiero steiniano) al più ordinario e convenzionale (ed in fondo anche sterile, specie religiosamente) Spiritualismo, e cioè quello filosofico-gnoseologistico. Mentre dall’altro lato esso equivale almeno tendenzialmente allo Spiritualismo più estremo, ardito ed anche più religiosamente produttivo, ossia quello che presuppone uno Spirito pneumatico. E questo è senz’altro quello di Guardini, che pertanto svetta in questa indagine esattamente come il suo Personalismo ha finito per svettare nella nostra indagine su questa visione. Oltre a ciò abbiamo anche visto che lo stesso così rigorosamente filosofico concetto di “spirito oggettivo” (che a sua volta corrispondeva fortemente alla ricerca fenomenologica sulle essenze cosali mondane in quanto «fenomeni») ha subito in Stein un’evoluzione che alla fine è approdata a quella “ontologia cristo-centrica” che addirittura converge con diversi aspetti dello Spiritualismo pneumatico – specie con l’idea che il mondo sia impregnato del divino e rappresenta quindi lo stesso Corpo Mistico di Cristo in quanto Spirito disceso nel mondo stesso. Ed infine abbiamo visto anche che la pensatrice impiegò addirittura lo stesso Spiritualismo «degli spiriti» nel contesto delle sue più pregiate riflessioni filosofiche. Laddove abbiamo visto che quest’ultimo non gioca però alcun ruolo nel moderno Spiritualismo storico.
Ebbene questo complessivo fenomeno rappresenta un qualcosa che continua a stupirci fin da quando abbiamo iniziato a studiare il pensiero steiniano. Per esso infatti ancora non siamo riusciti a trovare una plausibile spiegazione. L’unica spiegazione che pertanto ci sovviene è che la pensatrice deve essersi sentita in qualche modo obbligata (prima dal rigorismo razionalista filosofico hussserliano e poi da quello onto-metafisico e teologico tomista) a mantenere in secondo piano (se non nascosto) questo suo secondo Spiritualismo. Esso infatti era troppo fortemente in odore di spregevole irrazionalismo.
Non a caso, infatti, esso cominciò ad emergere solo verso la fine della seconda parte di EES, ossia in un momento della riflessione steiniana nel quale ella si era liberata definitivamente sia di Husserl che di Tommaso abbracciando invece la metafisica filosofico-teologica di Agostino ed anche dello stesso Paolo.
E sempre non a caso questo momento della sua riflessione precedette di pochissimo quel suo passaggio definitivo alla mistica che segnò poi la sua fuoriuscita quasi completa dalla filosofia. Il che significa che molto probabilmente il suo secondo Spiritualismo avrebbe potuto emergere in questa fase nel caso ella si fosse di nuovo dedicata alla filosofia. Ma ciò non avvenne sia perché ella si dedicò completamente ad opere mistico-pietistiche (che furono poi in gran parte una rilettura dei due grandi mistici, Teresa d’Avila e Juan de la Cruz), sia perché la morte precoce spezzò la sua vita e la sua opera. Fa eccezione a questo forse solo la sua opera dedicata da Dionigi l’Areopagita, ossia “Wege der Gotteserkenntnis” (WGE). In essa infatti si potrebbero forse trovare degli elementi per una concezione spiritualistica diversa da quella antecedente. Ed in effetti nella nostra riflessione su questa opera (vedi nota 3) abbiamo anche trovato tracce di questo aspetto specie nei termini di una visione metafisico-religiosa mistico-contemplativa, apofatica e dai toni molto suggestivamente neoplatonici. Tuttavia il tema di questa opera (che incluse una traduzione del testo di Dionigi ed inoltre un commento ad esso) fu la conoscenza di Dio ed affatto invece il concetto di Spirito. È evidente tuttavia che ella dovette avere ben presente che l’oggetto di tale conoscenza era nient’altro che lo Spirito divino.
Ciò non la indusse però a tematizzare specificamente questo aspetto.
In estrema conclusione quindi possiamo dire che da questa indagine sono emersi due sostanziali elementi.
Il primo elemento è il presentarsi del moderno Spiritualismo in alcune sue forme prevalenti: − 1) quello solo molto vagamente «onto-spiritualista» di Berdjaev, che però si sofferma soprattutto sul dinamismo creativo dello Spirito in quanto Essere non invece sulla sua possibile valenza di autentica realtà trascendente; 2) quello decisamente pneumatico di Guardini nel quale svanisce ogni possibile forma di «onto-spiritualismo», dato che lo Spirito si presenta come una sostanza estremamente sottile ed integralmente divina; che poi si offre esplicitamente a noi come forza di spinta sia nell’esistenza in generale sia anche nell’esistenza illuminata dalla fede cristiana; 3) quello di Maine de Biran, che, nonostante le sue venature religiose ed etico-emozionali-sociali, corrisponde in grandi linee al convenzionale Spiritualismo filosofico-gnoseologistico; sebbene (in concordanza con Mounier) esso abbia una certa valenza etico-azionistica;
4) quello di Mounier, che si presenta decisamente come uno Spiritualismo immanentistico, mondanistico e perfino materialistico, entro il quale lo Spirito non è da intendere in altro modo se non come un vitalismo dell’azione umana; e naturalmente questo Spiritualismo è molto affine a quello di Blondel e Bergson.
Ebbene, sintetizzando ora ulteriormente queste varie forme dello Spiritualismo storico (sicuramente non «onto-spiritualista»), sembrano delinearsi due principali sue forme: − quella dello Spirito pneumatico colto nella sua pienezza (quindi sicuramente irrazionalista ed altissimamente metafisico-religioso) e quella dello Spirito colto sostanzialmente come Intelletto e Ragione (quindi sicuramente razionalista se non «onto-intellettualista»). Appare dunque evidente che lo Spiritualismo storico ebbe due anime molto diverse tra di loro. E la dirimente tra di esse sembra sia stata la decisione di rivolgersi o meno alla più tradizionale concezione metafisica e metafisico-religiosa dello Spirito.
Naturalmente sullo sfondo di tutti questi Spiritualismi ha rivelato la sua presenza quello più convenzionale filosofico-gnoseologistico, che però non sembra essere stato fatto totalmente proprio da nessuno dei pensatori da noi presi in considerazione. Fanno eccezione a questo solo Stein e forse in parte Maine de Biran. Sebbene, rispetto a Stein, tale costatazione venga notevolmente ridotta nella sua portata dall’evidenza nel suo pensiero di una sorta di inspiegabile secondo Spiritualismo di segno totalmente opposto. Quel che è certo è che, a fronte di uno Spiritualismo convenzionale di fatto dormiente nell’intera filosofia moderna (tanto che esso nemmeno questa denominazione porta), lo Spiritualismo autentico (ossia quello storico, volontario e consapevole di sé stesso) si rivela essere tutto non convenzionale.
Questo comunque può essere considerato lo scenario dello Spiritualismo moderno così come si è presentato in una serie di pensatori che hanno operato (in stretto parallelismo con il Personalismo) tra il XVIII ed il XX secolo, ma con sviluppi ulteriori che arrivano fino ai giorni nostri.
In ogni caso vorremmo sottolineare che, nell’osservare questo complessivo scenario, non dovremmo dimenticare che lo Spiritualismo non ha soltanto un’importanza puramente storico-filosofica o anche puramente metafisico-filosofica, ma ha invece anche un’importanza religiosa; sebbene nel senso più ampio del termine. Intendiamo con ciò un impiego del termine «religioso» che equivale quasi integralmente al termine «spirituale». Quindi (come abbiamo più volte sottolineato) tale visione dovrebbe venire presa in considerazione anche allo scopo di individuare in essa le forme che ci permettono di impiegare lo Spiritualismo nel corso della nostra esistenza, e specialmente nel caso che abbiamo intenzione di spenderla nel contesto di un’esperienza religioso-spirituale che sia il centro della nostra intera vita. Abbiamo visto infatti che la concezione più integrale dello Spirito, quella pneumatica (ossia quella più fede alla natura più propria dello Spirito stesso, in quanto sostanza onticamente inafferrabile e estremamente dinamica), ci offre la possibilità di attingere continuamente alle stesse fonti più profonde dell’essere nel mentre intanto ogni giorno siamo impegnati a confrontarci con l’essere concreto nella sua maggiore deteriorità, ossia la sua impenetrabile e dura solidità. Questo non è altro che quell’essere esteriore che noi cogliamo nella sua spietata indifferenza (e spesso perfino malvagità) in quanto dominato dalle ferree Leggi della Natura – le più spietate delle quali sono quelle della inflessibile concatenazione tra causa ed effetto (che punisce i nostri errori nel modo più duro possibile) e quella dell’istinto di sopravvivenza nel suo più pieno trionfo, ossia la legge del più forte. Ed è un’esperienza questa che molto spesso − in assenza del soccorso dello Spirito (cioè del Dio stesso che è invisibilmente presente nel mondo) − può molto facilmente piegarci, schiacciarci ed annientarci; ossia strapparci alla nostra stessa natura spirituale. Questo significa allora che lo Spirito nella sua più alta, piena e propria concezione è quello che più autenticamente è presente nel mondo. Ossia è quello che più realmente si offre noi, ci accoglie, ci sostiene e ci accompagna. E lo fa quindi con quella “leggerezza” che è solo della Grazia, della quale parla lo stesso Berdjaev [Nikolaj Berdjaev, Il senso…cit., XII p. 334-339.].
Ebbene per tutto questo decisamente lo Spiritualismo di Guardini si offre a noi come quello che è più utile a questo scopo. Purtroppo però non possiamo dire lo stesso dello Spiritualismo di Stein, a meno che non scegliamo di prendere in considerazione solo quello che fu meno apparente nella sua opera. E probabilmente è proprio questo ciò che bisogna fare per rendere onore alla sua riflessione.
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