Abstract.
In questo articolo esaminiamo criticamente il libro di Jean-Luc Marion (Il visibile e il rivelato), ed in relazione specifica al contributo che esso può offrire alla comprensione dello stato attuale della filosofia religiosa (FR). Questo tema sta in relazione alla trattazione più generale che di esso abbiamo già fatto in un antecedente articolo da noi pubblicato in questo blog [“La moderna «filosofia religiosa» è davvero «filosofico-religiosa»?”]. In effetti l’esame delle tesi esposte da Marion in questo libro ci offre un quadro nel complesso non dissimile da quello del quale avevamo preso atto in questo articolo; sebbene alcuni punti della visione del pensatore siano comunque divenuti ben più chiari e definiti.
In generale si delinea comunque ancora una volta una moderna FR, la cui ambizione appare essere quella di restare nel campo della più rigorosa filosofia, mantenendo così limiti ben netti rispetto alla teologia (quale campo di discorso della religione nella sua purezza non filosofica). Abbiamo evidenziato però anche che non tutti sono oggi d’accordo con questo giudizio sulla FR, così come essa si delinea presso pensatori come Marion (oltre che presso altri pensatori, come Lèvinas, Caputo, Hart etc), e che oggi viene definita come FR “continentale”. Secondo tale giudizio alternativo tale disciplina si porrebbe invece addirittura come una teologia che desidera nuovamente dominare sulla filosofia; soprattutto opprimendola nel senso della coartazione della sua ormai conquistata nuova libertà creativa. Sulla base delle tesi esposte da Marion abbiamo però potuto verificare che le cose non sembrano stare affatto così. Infatti l’impressione che si ricava (a partire dalle costatazioni imposte dalla FR da lui proposta) è semmai che tale disciplina intende conformarsi pienamente all’assetto della più moderna filosofia. Inoltre meno che mai essa ha intenzione di porsi come una teologia. Marion tende semmai solo a differenziare molto nettamente tra la trattazione effettiva della “questione di Dio” (quale appannaggio della sola teologia), ed il campo di una riflessione filosofico-religiosa nella quale invece tale questione si è totalmente eclissata. E tale eclissamento coincide poi nettamente con il fenomeno storico costituito dall’ormai irrevocabile “fine della metafisica”. Ecco allora che la religiosità del pensiero proprio di questo genere di FR intende inscriversi (pienamente ed unicamente) nei limiti di un discorso rigorosamente filosofico, e quindi decisamente laico ed inoltre strettamente immanentista. La scelta di Marion (così come di tutti gli altri pensatori della FR continentale) va in particolare a favore del discorso filosofico fenomenologico husserliano (ed inoltre per molti aspetti anche heideggeriano).
La FR così proposta di pone quindi sostanzialmente come una forma specifica della «filosofia della religione», e cioè la Fenomenologia della Religione.
Nella nostra analisi di questa tesi, noi abbiamo comunque dimostrato (in relazione a quanto avevamo sostenuto anche nel precedente articolo) che la FR così costituita non può in alcun modo venire considerata autentica. Ed il motivo principale di ciò è proprio la sua rinuncia a quella metafisica che a sua volta, nella sua forma autenticamente religiosa, va considerata identica a quella della tradizione occidentale platonico-gnostica. Proprio per tale motivo essa si configura semmai appunto come una «filosofia della religione», ma non invece come un’autentica «filosofia religiosa», ossia come un pensiero essenzialmente religioso.
A margine di questo complessivo discorso critico si è però delineato anche l’interessante fenomeno della possibile convergenza di una siffatta autentica FR con un idealismo realista filosofico-religioso, il quale trova oggi un estremamente seducente riscontro nella riflessione svolta da alcuni pensatori (Wolfgang Smith) sui risultati della più recente Fisica quantistica. In particolare si delinea qui il pieno ri-avvaloramento della conoscenza del mondo esteriore indipendente dalla coscienza (da sempre messa in forse dalla Filosofia ufficiale); laddove poi entro tale conoscenza si lascia intravvedere anche la piena realtà ed esistenza degli oggetti puramente metafisico-spirituali che oggi sembrano equivalere suggestivamente alle particelle subcorporee evidenziate dalla nuova Fisica.
Introduzione.
La lettura del libro di Jean-Luc Marion Il visibile e il rivelato [Jean-Luc Marion, Il visibile e il rivelato, Jaca Book, Milano 2007] ci offre l’occasione di allargare e completare le nostre precedenti considerazioni sulla moderna filosofia religiosa [Vincenzo Nuzzo, “La moderna «filosofia religiosa» è davvero «filosofico-religiosa»?”, in: < https://cieloeterra.wordpress.com/2017/11/04/la-moderna-filosofia-religiosa-e-davvero-filosofico-religiosa/ >]. Il testo in questione è infatti la base stessa per la moderna postulazione di una «Fenomenologia della Religione» (FDR), e cioè quella che oggi sembra costituire di fatto l’unica forma possibile di «filosofia religiosa» (FR). Quanto viene affermato da Marion in questo testo trova infatti riscontro entro una letteratura in cui la sua visione, insieme a quella di altri moderni pensatori (tra i quali in particolare Lévinas, Derrida, John Caputo e Kevin Hart), figura come una delle principali basi della moderna FR, o meglio «filosofia della religione» [Heinrich von Sass, “Event-Management. Vom Ereignis und seinem theologischen Horizont”, Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie, 61 (1), 2015, 79-100; Markus Kneer, “Das Verhähaltnis von Phänomenologie und Theologie neu gewendet: Der Ansatz von Emmanuel Falque“, Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie, 62 (2) 2015, 350-367; Tamsin Jones, “Questions from the borders: a response to Kevin Hart’s Kingdom of God”, Sophia, 56 (1) 2017, 5-14; Bradley B. Onishi, “Between a Saint and a Phenomenologist: Hart’s theological criticism of Marion”, Sophia, 56 (1) 2017, 15-31; J. Aaron Simmons, “Cheaper than a Corvette: the relevance of phenomenology for contemporary philosophy of religion”, Sophia, 56, 2017, 33-43; B. Keith Putt, “A poetic of parable and the ‘basileic reduction’: ricoeurean reflections on Kevin Hart’s Kingdom of God”, Sophia, 56, 2017, 45-58; Shan Mackinlay, “Hermeneutic perspective on ontology, after metaphysics has been overcome: from Levinas to Merleau-Ponty”, Sophia, 56, 2107, 115-124]. Del resto alcuni di questi pensatori vengono menzionati da Marion stesso come punti di riferimento della sua riflessione [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., Pref. p. 1-5].
Ebbene già rispetto alla denominazione della disciplina qui in causa va fatta una prima importante costatazione.
Non sembra infatti per nulla un caso che Marion parli costantemente di “fenomenologia della religione” e mai invece di «fenomenologia religiosa». E ciò sembra perfettamente spiegabile in base al fatto che egli non parla mai nemmeno di una «filosofia religiosa». Quest’ultima è infatti semmai quella sorta di «metafisica filosofica» (o anche forse «filosofia metafisica»), che egli dichiara archiviata per sempre nelle sue due forme (poi non troppo diverse tra loro) rappresentate da: – 1) lo specifico razionalismo metafisico dell’intero pensiero moderno occidentale – da lui definito per la precisione come la “metafisica scolastica” sviluppatasi nel XVII e XVIII secolo, ma includente anche una sequenza molto più estesa di pensatori (da Tommaso, a Suarez, a Spinoza, a Malebranche e Leibniz) [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., I, 1 p. 7-11, III, 1-2 p. 67-71] ; 2) dal ben più generico platonismo metafisico, che aveva concepito un “Dio dei filosofi” (e contro il quale aveva preso posizione Paolo nella Lettera ai Romani). Le due forme di metafisica filosofica appaiono insomma intrecciarsi costantemente l’una con l’altra nel corso dell’intera storia del pensiero (antico e moderno), per poi cadere definitivamente sotto la scure di Nietzsche prima e di Heidegger dopo, nel contesto del fenomeno della “fine della metafisica” [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., III, 1-3 p. 67-75].
A tale proposito bisogna fare anche un’ulteriore costatazione molto generale circa quanto sostiene Marion. La sua intera visione sembra infatti prendere le mosse (come da un punto davvero fermo ed inamovibile) proprio dalla presa di posizione paolina (Romani) rispetto ai filosofi; e che si diresse notoriamente contro la metafisica religiosa «pagana» di stampo specificamente platonico. Si tratta di un punto di partenza che è stato poi il nucleo stesso dell’intera tesi sostenuta da Karl Barth [Karl Barth, L’Epistola ai Romani, Feltrinelli, Milano 2009]. L’argomento qui all’opera è quindi quello secondo il quale bisogna intanto riconoscere un Dio Trascendente che assolutamente nulla può avere a che fare con il cosmo e con l’essere; e quindi anche con qualunque genere di logos che pensi questi ultimi in continuità con il Principio divino (ossia in questo caso il Dio biblico quale Dio della sola Fede e non della Ragione). Una volta fatto questo, bisogna poi necessariamente postulare un Dio storico affinché l’esperienza religiosa possa effettivamente sussistere. E questo Dio storico è quello incarnato, ovvero il Cristo. Ebbene, una volta posto questo, entro tale ordine di idee nulla vieterebbe di soffermarsi soltanto su quest’ultimo, trascurando così totalmente il Dio Trascendente (o almeno mettendolo rigorosamente tra parentesi, dopo aver intanto debitamente riconosciuto che effettivamente si tratta dell’unico Dio davvero nella sua pienezza).
Ma quali riflessi ha tutto ciò sulla possibilità di pensare Dio, ossia sulla possibilità di un logos o discorso su Dio? La conseguenza non può che essere una sola: – la proibizione di fatto della sua possibilità. E questa fu poi esattamente anche la posizione di Paolo nei Romani. In altre parole, allo scopo di poter conservare davvero integra la possibilità di un’esperienza religiosa (e quindi di una Religione effettiva ed autentica), bisogna mettere tra parentesi il Dio Trascendente non solo entro la prassi di fede ma anche entro la prassi di pensiero. Bisogna insomma affermare che di fatto non è possibile «pensare Dio». E questo è poi anche il punto di vista di Marion rispetto alla possibilità stessa di una “filosofia cristiana” [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., IV, 1 p. 89-93]. Il termine stesso è per lui infatti una contraddizione, e quindi una vera e propria assurdità. Egli si riserva però la possibilità di continuare a «pensare Dio» nel contesto di una nuova forma di FR – la Fenomenologia come «Fenomenologia della Religione» – che però ha ormai rinunciato a qualunque ambizione a muoversi in qualunque modo sul piano trascendente del pensiero di Dio. Proprio in questo senso tale disciplina non è né una “filosofia cristiana” né tanto meno può essere mai considerata una «filosofia religiosa». Essa non costituisce insomma un vero e proprio (integrale) «pensare Dio», ossia non è assolutamente un «pensare religioso». Posto questo, allora, cosa può essere un «pensare religioso» autentico, in quanto trascendentista, se non quella tipico di una specifica filosofia metafisico-religiosa che è chiaramente di stampo platonico – e non notevoli sue estensioni anche nel contesto del pensiero gnostico?
Ebbene ci sembra che con queste due prime costatazioni sulla visione di Marion, abbiamo di fatto davanti a noi le principali coordinate di un discorso critico sulla FR, che non intende assolutamente accontentarsi di quanto oggi (nel contesto di una presa di posizione come quella qui illustrata) viene dato non solo per assolutamente scontato ma anche per assolutamente indiscutibile. E questo ci offre l’esatta misura del senso che ha entro la complessiva FR (qui in atto) l’esigenza universalmente condivisa di una revoca di qualunque forma di metafisica (ossia di fatto in particolare della metafisica religiosa), e nel contesto specifico del concetto di “fine” storica della metafisica.
La necessità indiscutibile e inderogabile di quest’ultima viene fatta infatti equivalere alla costatazione del fatto che una FR non sarebbe in realtà mai dovuta esistere. Deve quindi venir tassativamente deplorato che essa sia invece per davvero esistita prima del Cristianesimo nella sua forma platonica (e tendenzialmente anche gnostica). Ma deve venir tassativamente deplorato ancora di più che essa sia persistita addirittura nel contesto del Cristianesimo stesso. Ne consegue pertanto che la metafisica filosofica deplorata da Marion (di fatto quella occidentale moderna, sviluppatasi da Cartesio in poi) deve avere avuto in qualche modo proprio un’anima profondamente «platonica» – per quanto le sue forme storico-dottrinarie non abbiano in genere portato allo scoperto questa natura. Il platonismo cristiano si è infatti effettivamente lasciato riconoscere in ben altre forme (rispetto a quella descritta dal nostro pensatore), e cioè in forme decisamente mistico-contemplative (in pensatori del genere Agostino, Gregorio di Nissa, Scoto Eriugena, Bonaventura, Eckhart, Cusano). La metafisica filosofica di cui parla Marion è invece effettivamente squisitamente «filosofica», e cioè specificamente razionalistica. Non a caso, come poi vedremo, il nostro pensatore pone in luce come essa tendesse chiaramente a schierarsi contro la legittimità di prendere in considerazione fenomeni religiosi irrazionali (visioni, miracoli etc.).
Ma entreremo nel merito di tutto questo più avanti. A commento di tutto ciò dobbiamo per ora solo costatare che – nel corso della lettura del libro di Marion – il moderno pensatore metafisico-religioso finisce per trovare davvero stupefacente (se non assurdo) il fatto che si sia sentito il bisogno di ricorrere a speculazioni filosofiche estremamente sofisticate (non a caso spesso sconfinanti nell’astruso), come sono quelle sulle quali il nostro stesso pensatore basa la sua intera tesi circa il moderno possibile assetto di una FR. Parliamo in particolare delle tesi di Heidegger, e solo in secondo luogo delle tesi di Husserl. Ciò che si è portati a chiedersi è insomma perché sia stato necessario un lavoro così elaborato, faticoso e tortuoso (includente varie storie ricapitolatorie della filosofia, del genere della famosa «storia dell’essere» heideggeriana), per trovare la possibilità di una FR, se invece la metafisica religiosa tradizionale offriva già da sempre tutti gli strumenti per poterla concepire. Ma la spiegazione di questa stranezza eccentrica è immediatamente a portata di mano, se si considera quale era l’unico e inderogabile presupposto che la metafisica religiosa tradizionale poneva per l’effettivo sussistere di una FR. Si trattava della disponibilità ad ammettere previamente l’esistenza dell’Invisibile, ossia della realtà onto-spirituale colta in assenza della benché minima intenzione riduzionistica, e quindi accettata come qualcosa che (almeno in una certa misura) può essere solo «contemplata» e non invece «pensata». Qui insomma il pensare filosofico veniva tutt’altro che abolito – proprio entro tale prospettiva veniva infatti concepita la possibilità di un’effettiva conoscenza intellettuale dell’Assoluto divino (CIAD) così come non è avvenuto in qualunque altra forma di pensiero. E tuttavia una larga fetta di pensare squisitamente filosofico veniva decisamente tagliata via. Si tratta per la precisione di quel pensare filosofico (tipicamente moderno) che intende essere in primo luogo protagonistico, nel suo farsi manifestazione della potenza di pensiero personale del pensatore in esso impegnato. Eccoci insomma di fronte al ben noto «orgoglio dei filosofi» – ma non nella sua forma antica e platonica (ossia quella vituperata proprio da Paolo e poi tendenzialmente dall’intero Cristianesimo), bensì nella sua forma specificamente moderna. E quest’ultima entra in vigore esattamente a partire dal momento storico-filosofico che Marion ci indica come quello in cui si manifesta la “fine della metafisica”, mentre nello stesso tempo si dischiude la possibilità di una vera e propria nuova onto-metafisica squisitamente filosofica, e cioè quella della Fenomenologia (ovvero la “Fenomenologia della Religione”) [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., III p. 67-88].
Questo è quanto si può dire in maniera estremamente generale sul complessivo progetto filosofico-religioso di Marion.
E con esso noi ci troviamo effettivamente davanti ad uno tra i più saldi e completi atti di fondazione della moderna FR.
Tuttavia, ad ulteriore commento di tale progetto e atto di fondazione, va anche detto che, prendendo visione dei suoi aspetti specifici, la nostra comprensione del fenomeno (la moderna FR) può pare decisamente un passo avanti. Infatti, al di là delle formule piuttosto sintetiche per mezzo delle quali esso viene descritto nel corrente dibattito (ossia nelle riviste di filosofia e teologia), il testo di Marion ci offre la possibilità di comprendere molto meglio cosa è accaduto e quale sia la natura specifica dell’assetto assunto modernamente dalla FR. Vedremo anzi che la lettura del testo ci offre perfino non poche possibilità di rettificare delle impressioni non propriamente corrette che si si possono ricevere limitandosi a leggere la letteratura attuale.
Per questo motivo ci dedicheremo quindi ora alla discussione di aspetti più specifici del testo.
1- Filosofia e teologia filosofica.
Uno degli aspetti che l’esposizione di Marion lascia emergere in maniera progressivamente sempre più chiara è che la disciplina che l’attuale dibattito intorno alla FR fa apparire come una sorta di «teologia filosofica» (ossia una teologia decisamente compromessa con i modelli di pensiero offerti dalla filosofia), in effetti non ambisce di per sé affatto ad essere questo. Essa ambisce semmai invece a costituire una teologia moderna, la quale (molto diversamente da quella antica) aspira ormai a muoversi davvero di concerto con la filosofia. In questo senso essa ambisce insomma espressamente a non essere «filosofica», lasciando così solo alla filosofia stesso il diritto e dovere (e quindi il compito) di esserlo. Ciò che Marion sembra lasciarci intravvedere è insomma l’ambizione della moderna teologia a soggiornare esclusivamente nello spazio di una (per così dire) «religione pura»; nel senso che essa vuole sentirsi libera di essere ciò che è, senza dover così assumere alcuna effettivamente veste filosofica. Proprio per questo essa però non rinuncia affatto agli strumenti di pensiero offerti dalla filosofia né rinuncia a sottomettersi alle regole entro le quali la filosofia stessa decreta cos’è e cosa non è davvero pensabile.
A questo punto, allora, appare essere un’effettiva «teologia filosofica» semmai quella che il nostro pensatore ci mostra come la tradizionale metafisica religiosa occidentale, ossia quella che presenta i caratteri dottrinari sintetici che andremo ora a descrivere. Essa concepisce Dio come la sostanziale Causa dell’essere, e precisamente nella forma di Ragione dell’essere stesso. Sta infatti proprio in tale Principio la giustificazione primaria dello stesso effettivo sussistere dell’essere nell’ente – secondo il motto leibniziano del “perché qualcosa e non nulla?” [Gottfried W. von Leibniz, Discorso preliminare sulla conformità della fede con la ragione, in: Gottfried W. von Leibniz, Saggi di Teodicea, Fabbri, Milano 1996, 1-4 p. 69-72; Gottfried Wilhelm von Leibniz, Monadologia. Bompiani, Milano 2001, II, 7-15 p. 47-53] – ed inoltre del suo sussistere in un determinato modo, ossia in una forma specifica di determinazione [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., I, 1-2 p. 7-16, III 1 p. 71-75]. In relazione con questo sta poi anche quella forma specifica del «principio di realtà» metafisico-razionalistico che porta il nome di “ragion sufficiente”; e che limita l’effettiva realtà degli enti a quella dei soli causati razionalmente, ossia dotati di una giustificazione razionale di esistenza. E questi sono poi anche gli enti effettivamente intelligibili, e quindi conoscibili. Fu esattamente su questa base che i filosofi metafisici qui in causa si opposero alla concessione dello status di enti reali a quelli più propri della realtà religiosa (colloqui interiori, presenze spirituali, visioni, miracoli etc). L’altro aspetto centrale di tale complessiva dottrina è quella dell’intendere il Dio causante razionale come Egli stesso un «essere», e precisamente come l’“Ente per eccellenza” posto in relazione con l’”ente comune” [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., III, 1-5 p. 67-87]. Ecco insomma poste in tal modo le basi di quell’onto-metafisica che poi sarebbe stata “distrutta” a partire da Nietzsche e Heidegger. Tuttavia tale complessiva disciplina metafisico-religiosa era anche (nell’accezione specifica di Heidegger) una “onto-teo-logia”, e quindi effettivamente una teologia filosofica a sua volta intimamente unita ad una metafisica filosofica (o anche metafisica filosofica). Essa era insomma una «teo-logia» nel senso più intenso del termine, ossia più che mai come un discorso su Dio, un logos filosofico riguardante Dio.
Nello stesso momento, però, va anche riconosciuto che essa costituiva indubbiamente una metafisica religiosa, ossia un pensiero che pensava espressamente l’Essere invisibile. E tuttavia essa lo era solo fino al limite concesso dal proprio radicale razionalismo, e cioè non oltre la possibilità di concepire degli enti intanto reali in quanto rigorosamente «razionali», ossia giustificabili non solo razionalmente ma anche ragionevolmente (e cioè in forza di un vero e proprio universale common sense). Orbene il razionalismo qui in causa ha senz’altro (come abbiamo già visto) le sue radici platoniche. Eppure anche in questo caso solo fino ad un certo punto, ossia esattamente fino al limite che abbiamo appena posto in luce.
Al di là di tale limite non possono infatti essere concepiti dei veri enti, e cioè dei «qualcosa» che posseggano davvero un’effettiva onticità. E nulla risponde a tali caratteristiche più e meglio di quanto Platone intendeva come «idea», ossia la «cosa» nella sua più radicalmente trascendente formulazione. Nella sua visione si delinea pertanto una vera e propria onto-spiritualità, che poi appare essere del tutto equivalente all’onto-intellettualità.
Questa tesi rispetto al pensiero di Platone (e più in generale al platonismo) è quella che noi personalmente abbiamo sostenuto in un saggio dedicato al suo pensiero [Vincenzo Nuzzo, Il Platone proibito e l’Idea come la più reale delle cose, Aracne, Roma 2017]. Ma essa ha inoltre anche le sue giustificazione nei testi del pensatore e nelle opere critiche scritte su di esso [Lloyd P. Gerson, “What is Platonism?”, J. of History of Philosophy, 43 (3), 2005, 253-276; Raphael, Iniziazione alla filosofia di Platone, Asram Vidya, Roma 2008, p. 131-154]. Tuttavia sappiamo bene che questa tesi trova enormi difficoltà a venire ammessa nell’attuale mondo filosofico. Sta di fatto, comunque, che tenendo presente questa tesi, noi non possiamo considerare quella indicataci da Marion come un’effettiva metafisica religiosa. Essa può di certo ancora venire intesa come una metafisica. Ma il suo costante riferirsi a Dio non basterà in alcun modo a configurare nel suo contesto per davvero la postulazione effettiva di qualcosa come un’onto-spiritualità o anche onto-intellettualità. Il Dio qui chiamato in causa è insomma in primo luogo Ragione; e proprio come Ragione esso è essere ed inoltre causa dell’Essere. Esso non è però per davvero Ragione in quanto Essere, e cioè la somma onto-spiritualità (ed anche la somma onto-intellettualità).
E se le cose stanno in questo modo, allora la disciplina che manca della postulazione di quest’ultimo elemento va considerata non solo affatto metafisico-religiosa, ma anche non poi tanto «metafisica».
Essa manca infatti della caratteristica che costituisce effettivamente questa sfera di sapere, e cioè la strenuità davvero radicale nel pensare l’essere; ossia la tendenza a non darsi per vinta finché dell’essere non sia stata portata alla luce l’essenza più ultima (e cioè quell’onto-spiritualità, che è anche estrema sottigliezza immateriale dell’essere). Marion si riferisce insomma ad una metafisica della Ragione, e non ad una metafisica che sia davvero del Principio ontologico trascendente. Essa dunque non è vera metafisica, ma è semmai una filosofia che si occupa di oggetti metafisici.
E peraltro lo fa anche in una maniera non poco tendenzialmente critica. Lo stesso pensatore prende infatti atto del fatto che il “principio di ragion sufficiente” di Leibniz anticipa effettivamente il criticismo kantiano [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., I, 1 p. 29-32]. Se vogliamo, ci troviamo insomma qui di fronte alla filosofia moderna stessa nella sua essenza – sebbene solo anticipata. Si tratta insomma di quel pensiero che, una volta osservato da una posizione piuttosto distaccata e quindi capace di abbracciare con lo sguardo davvero grandi estensioni, appare essere come quello che molto in generale si è fatta interprete sia del “criticismo”, sia del “dubbio” come metodo, sia infine anche del “concretismo”; ossia della sostanziale svalutazione dell’”astratto” come inconsistente ed abusivo, in quanto trascendente e non immanente [Frithjof Schuon, Logica e trascendenza, Mediterranee Roma 2013, 1 p. 13-21, 2 p. 23-34].
Ebbene, tutto quanto abbiamo appena detto non rappresenta affatto un discorso solo astratto. Infatti, una volta posto che la metafisica, fatta volontariamente decadere per sempre da parte della filosofia moderna, non è in realtà affatto la vera metafisica – ma è invece semmai appena una metafisica fortissimamente condizionata dall’usuale rigore razionale della filosofia –, allora con ciò decadono molte delle giustificazioni addotte da Marion per motivare l’inderogabilità storico-dottrinaria del crollo di tale disciplina. La verità appare essere insomma che i filosofi moderni si sono semmai accaniti appena contro un fantasma di metafisica; ma non contro la vera metafisica. E quest’ultima può pertanto venire riconosciuta in una metafisica religiosa connotata essenzialmente dalla radicalità del pensare metafisico, ossia una metafisica religiosa integrale. Essa insomma concepisce pienamente in primo luogo l’Invisibile in tutta la sua integralità.
E davvero non può essere concepita una metafisica che non faccia questo.
Ma se nello scenario delineato da Marion di quest’ultima non vi è alcuna traccia, allora di quale percorso storico della metafisica egli parla il suo libro? E qual’è allora la base storico-critica che giustificherebbe pienamente la FDR come moderna FR ed inoltre come vera e propria nuova onto-metafisica? Più che mai insomma ci troviamo qui, nel complesso, di fronte ad un discorso in realtà solo sofistico; il quale sembra avere molto più lo scopo di condurre argomentazioni filosoficamente sofisticate fine a sé stesse, che non invece di ricercare (onestamente ed umilmente) quella che dovrebbe essere la base della moderna FR. Una base di cui intanto, con grande clamore e scandalo, si lamenta l’assenza cronica.
Del resto riteniamo molto significativo il fatto che qui non sembra affatto che si voglia «trovare» l’autentica FR; ma sembra che invece molto più la si volta «ri-trovare». Il che è più o meno la stessa cosa che dire che si desidera inventarla ex novo.
In ogni caso va preso atto del fatto che Marion nega esplicitamente la possibilità di una teologia filosofica. Egli identifica infatti realmente quest’ultima con quella antica, che poi, più o meno, era una sola cosa con la metafisica filosofica [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., III 5 p. 80-87]. È proprio su questa base, dunque, che egli isola chiaramente una teologia pura e religione pura, districandole così definitivamente dalla commistione con la filosofia. Su questa base egli affida pertanto alla moderna filosofia, nella sua forma specifica di Fenomenologia, il compito di fondare una del tutto nuova teologia filosofica, che però in realtà non vuole essere affatto tale. Essa è appunto, come abbiamo visto prima, una teologia che semmai ambisce a procedere parallelamente alla moderna filosofia. Per Marion è comunque un grande progresso il fatto che entro questa nuova teologia viene a mancare completamente il concetto di creazione dell’essere da parte della Ragione divina. Ed esattamente in questo consisterebbe poi la sua sostenibilità filosofica – sussistente ormai in radicale alternativa rispetto all’assetto antico della disciplina, ossia quello della metafisica filosofica. In luogo della creazione divino-razionale c’è così invece il concetto husserliano di “donazione” (“Gegebenheit”); ossia quell’atto (che è in verità atto dell’Io cosciente), in forza del quale si delinea l’ente nella forma di “datità”. E quest’ultima è poi l’ente che è per definizione giustificato nella propria esistenza dal semplice fatto di “dar-si” quale oggetto di coscienza o anche oggetto mentale. E va notato che peraltro ciò ingenera – nonostante l’incontestabile idealismo della Fenomenologia husserliana – una forma di tendenziale moderno realismo. Laddove poi quest’ultimo effettivamente finisce per discostarsi non poco dall’idealismo che è invece proprio dell’antecedente metafisica tendenzialmente platonica.
Va intanto registrato che comunque per Marion sta proprio in questo l’atto costitutivo filosofico che fa insorgere una del tutto nuova onto-metafisica fenomenologica. Ed essa va considerata effettivamente una forma di pensiero religioso; data l’accusa, a cui ha sempre prestato il fianco, di momento di “teologizzazione della metafisica”. Di questo prende del resto atto anche la corrente letteratura sulla moderna FR, come di un notevole rischio per la FDR. Sta di fatto che però in tal modo svanisce totalmente dall’orizzonte dottrinario quel così filosofico «Dio-quale-Essere» che era il caposaldo dell’antica metafisica filosofica. Ed è esattamente su questa base che la “questione di Dio” finisce per restare puramente religiosa; configurando in tal modo una religione pura, e conseguentemente una teologia pura affatto filosofica.
Essa è infatti pura in quanto cessa completamente di essere filosofico-razionale. Marion precisa comunque che, proprio a causa di tale delimitazione, la FDR non può né deve affatto venire intesa come «religiosa» in senso letterale.
Proprio per questo essa non può allora configurare in alcun modo una teologia. E ciò in quanto essa – escludendo l’esplicita questione di Dio dai propri oggetti di conoscenza – si pone come squisitamente filosofica. Esattamente in questo senso, quindi, si può ammettere che effettivamente essa finisce per configurare una «filosofia religiosa».
Ma è evidente che ciò avviene in maniera esclusivamente riduttiva; ossia escludendo recisamente quel «pensare religioso» o «pensare Dio», che abbiamo visto essere proprio di una FR, la quale, intanto, riesce ad essere senza alcun imbarazzo una metafisica religiosa davvero strenua, ossia integrale.
Proprio qui insomma noi ci troviamo al cospetto di una notevole disambiguazione di termini e concetti sulla base della precisa registrazione di quella che è effettivamente la tesi del nostro pensatore. Risulta chiaro, dunque, che egli non pensa affatto (almeno in via di principio) ad una moderna teologia filosofica. Anzi egli pensa ad una teologia restituita alla sua effettiva e più autentica natura. Ciò non toglie però che l’estensione in senso religioso della Fenomenologia di fatto finisce per configurare nuovamente una teologia filosofica.
2- Caratteristiche generali della Fenomenologia della Religione come filosofia religiosa
Questa serie di temi ci introduce quindi ottimamente alla questione dell’effettiva natura filosofico-religiosa della FDR proposta da Marion. Abbiamo per la verità già riconosciuto molti dei motivi che rendono impossibile considerare la FDR come un’autentica FR. E tuttavia, perché la cosa divenga ancora più chiara, conviene entrare più in dettaglio entro la tesi di Marion.
Affrontando molto direttamente il tema, il pensatore dice che la l’effettiva esistenza della FR va sostanzialmente messa in dubbio (“…ammesso che ve ne sia una”) [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., i, 1 p. 29-32]. E questo la dice davvero lunga sulla sua effettiva intenzione di mettere su una disciplina di questo genere. È evidente infatti che per lui la FR ricostituisce di per sé inevitabilmente i termini dell’antica metafisica filosofica razionalista. E questo basta per lui pienamente per escludere che, oggigiorno, non solo possa ma anche debba esistere per davvero una FR. Per il pensatore il problema primario appare essere comunque quello della concomitanza inevitabile di «filosofia» e «religione», che la FR porta fatalmente con sé. E tale concomitanza è da considerare oggettivamente inammissibile.
In ogni caso, dal suo punto di vista, non vi è alcun dubbio che la FDR sia comunque in qualche modo una religione concomitante alla filosofia. La problematicità di tale fenomeno resta pertanto integra, almeno nella necessità di permanere ben consapevoli del fatto che la religione vera e propria (che prima abbiamo definito come «religione pura») non può entrare in relazione con la filosofia, senza intanto guardarsi molto bene dal rischio di perdere la propria natura.
Quest’ultima è infatti quella propria di un ambito di conoscenza (se così si può dire) nel quale si parla di fatto della “possibilità dell’impossibile”, ossia della manifestazione del divino Trascendente nella forma specifica della sua “espressione” in forma di logos filosofico. Il “fenomeno religioso” è cioè per definizione ciò che dovrebbe rendere visibile ciò che però “si sottrae all’oggettivazione”. Anche la FDR (così come ogni forma di FR) reca quindi per lui al proprio centro questo davvero insanabile conflitto.
Sta di fatto che però, a suo avviso, la FDR offre comunque una soluzione a tale problema e dilemma. E qui egli espone i principi costitutivi stessi della Fenomenologia come plausibile pensiero religioso. La Fenomenologia pone infatti “il problema della possibilità in generale del fenomeno”, ovvero la possibilità assoluta, invece che solo relativa, del fenomeno. Ed è esattamene questo che il pensatore (come poi vedremo) definisce come “fenomeno saturo” nel contesto di un “orizzonte saturo”. A tale proposito egli denuncia insomma il fatto che la Fenomenologia non è giunta per davvero fino ai suoi estremi limiti; non essendosi dedicata al compito di esaurire davvero la questione della possibilità dell’Invisibile. Essa, ponendo il “fenomeno”, ha dischiuso la possibilità di concepire un’oggettualità pienamente valida per quanto non empirica. Ma non è invece giunta a porre un qualcosa come l’effettivo “fenomeno invisibile”.
In relazione a tale complessiva problematica Marion percorre dunque le tappe della questione filosofica della “possibilità” (della quale si era interessata originariamente proprio la tradizionale metafisica filosofica) così come essa si è presentata da Leibniz fino a Kant. Il primo aveva anteposto la Ragione alla possibilità di essere nel senso primario del conoscibile.
Il secondo invece – sottomettendo l’esperienza effettiva di un “fenomeno” (“apparenza”) alle condizioni formali alle quale esso fisiologicamente soggiace (gli a priori conoscitivi dell’esistenza) – poneva comunque maggiormente l’accento sul vincolo rappresentato dall’esperienza. Tuttavia anche nella kantiana visione restava pur sempre fondamentale il criterio prevalentemente gnoseologico della possibilità di esistenza. E per questo va per Marion riconosciuta una continuità tra Leibniz e Kant riguardo al principio di “ragion sufficiente”. Proprio a tale motivo è da attribuire per lui il venire a mancare in Kant della postulazione del “fenomeno” come sostanziale evento; ossia come un accadere (“si fa, accade”) che resta incondizionato alla conoscenza, ossia all’”essere possibile” razionale. Per questa postulazione bisognava insomma attendere ancora la Fenomenologia di Husserl e di Heidegger. È insomma per questa via che, secondo lui, la Fenomenologia rende giustizia, almeno sul piano rigorosamente filosofico (e quindi anche decisamente immanentista), al concetto squisitamente religioso della manifestazione di un Trascendente divino, ossia al concetto di Rivelazione.
Si può quindi ammettere che la FDR trovi proprio in tale ambito la postulazione di una teoria dell’oggetto irreale (quale paradigma dell’oggetto autenticamente religioso) che sia effettivamente sostenibile filosoficamente. E per raggiungere questo risultato, Marion non esita ad impiegare anche gli stessi argomenti anti-metafisici di Kant [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., II, 6 p. 59-62] – in quanto diretti contro la metafisica filosofica razionalista, ma intanto anche anticipanti non poco il concetto husserliano di “fenomeno”. E tuttavia il culmine di tale impiego avviene per lui solo quando di fatto la stessa dottrina kantiana viene rovesciata. Ciò avviene allorquando non è più il fenomeno a venir condizionato dal concetto (ossia dall’effettiva pensabilità della cosa), ma è invece il concetto a doversi rassegnare a lasciare del tutto integra la pienezza di essere del fenomeno. Questo accade per la precisione al cospetto di quel “fenomeno saturo”, con il quale, come dice Marion, la dimensione dell’intuizione “eccede” di gran lunga l’intenzione. In questo caso infatti non vi è alcun concetto che possa davvero costituire il relativo oggetto. L’esistenza indipendente di quest’ultimo risulta pertanto realmente schiacciante. Ed è estremamente singolare che proprio in tal modo si configuri di fatto un «oggetto esteriore indipendente» (dalla coscienza) che però è l’irreale per definizione. Si tratta insomma di un oggetto esteriore che è tanto più pieno, quanto più esso è inconoscibile. E qui vengono alla mente quegli oggetti subcorporei dei quali parla oggi la Fisica quantisica quali oggettualità incontestabili, ma intanto così immateriali da poter essere conosciuti solo per mezzo di sofisticati atti intellettuali teoretici (una volta aggiunti alle evidenze fornite da strumenti anch’essi puramente subcorporei) [Wolfgang Smith, The Quantum enigma: finding the hidden key, Angelico Press Sophia Perennis, San Raphael 2001, II p. 31-33, II p. 41-45, IV p. 78-83, VI p. 109-125]. Ci troviamo insomma in tal modo al cospetto di un moderno realismo davvero estremo, entro il quale la FDR potrebbe in qualche modo entrare in risonanza con una scienza filosofica anch’essa estremamente prossima al pensiero religioso. Ma così dovrebbero venire pienamente ammesse anche quelle pienissime entità metafisiche di tipo onto-spirituale che la Fenomenologia è riuscita a pensare solo ai suoi limiti davvero estremi, ossia con una pensatrice del genere di Gerda Walther [Gerda Walther, Phänomenologie der Mystik, Walter-Verlag, Freiburg im Breisgau 1955, Einl. p. 21-46, 9 p. 110-118]. In ogni caso abbiamo così davanti a noi ciò che Marion definisce come l’” inguardabile”, ossia quanto “non si lascia guardare come un oggetto”. Infatti il nostro sguardo spirituale (quello del quale si limita costantemente a parlare Husserl) non basta affatto a costituirlo – esso infatti lo supera e lo trascende. Quale oggetto esteriore, esso costituisce pertanto per davvero il “trascendente”. Ma con una portata che non è certo quella del concetto husserliano [Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura, Mondadori, Milano 2008, I, II, I, 38, 67-69 p. 89-91, I, II, I, 41-43, 73-89 p. 97-105]. Ci troviamo così semmai di fronte ad un vero massimo grado di oggettuale oggettivo. E tuttavia, in base a quanto dice Marion, il fenomeno saturo è il “non oggettivo” (o “non oggettivabile”) per definizione. E lo è peraltro sottraendosi all’irriducibilità all’Io (conoscenza) senza intanto rifluire nemmeno nell’irrazionale. Ciò che domina qui non infatti nemmeno la non razionalità, ma semmai proprio la non guardabilità, ossia la non costituibilità in forza dello sguardo spirituale. Ciò che qui è in causa è infatti un del tutto indiretto “tenere d’occhio”, e precisamente un guardare “con la coda dell’occhio”. Al cospetto di tale oggetto, l’Io “non può non vederlo”, ma intanto “non può guardarlo”. Ancora una volta ricorre qui la fulmineità dell’atto intellettuale intuitivo che la Fisica quantistica ritiene indispensabile per cogliere davvero un oggetto esteriore reale per mezzo della sua immagine, ossia in maniera pienamente visiva [Wolfgang Smith, The Quantum… cit., I p. 15-23]. E tuttavia il nostro pensatore non si spinge affatto fino a concepire un tale atto.
È significativo comunque il fatto che tutto questo configura per Marion l’oggetto religioso stesso. Ma la Fisica quantistica ci mostra che esso è l’oggetto reale più pienamente percepibile che possa mai esistere. La necessità (qui riaffermata) del superamento dei residui di metafisica religiosa presenti ancora perfino in Kant, ci ricorda però che ad una siffatta FDR non si perviene senza che si sia pienamente accettata l’ineluttabilità storica del fenomeno della “distruzione della metafisica”. Si tratta insomma del fatto che la moderna FDR si trova del tutto pienamente del contesto del più moderno pensiero filosofico. E ciò deve servire a raffreddare qualunque entusiasmo che il moderno pensatore metafisico-religioso possa aver provato davanti alla davvero affascinante fondazione che Marion ci offre di una FR incentrata sull’Invisibile. Siamo dunque qui nuovamente al cospetto di un notevole ridimensionamento dell’immagine decisamente iconoclastica del suo pensiero che risulta dalla corrente letteratura. E tuttavia ciò è davvero troppo poco per pensare che la FR di cui egli parla possa davvero assomigliare ad una metafisica religiosa integrale.
È pertanto su questa complessiva base possiamo quindi pervenire a costatazioni ben più sobrie circa l’effettiva natura dottrinaria della FDR sostenuta dal nostro pensatore.
Impegnandosi nelle già commentate astruse elucubrazioni circa la fine della metafisica, Marion di fatto misconosce l’esistenza legittima di una metafisica eterna e totalmente svincolata dalla storia, così come da qualunque fantasiosa evoluzione della filosofia, che avrebbe avuto con sé come germe fin dall’inizio la fine della metafisica [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., III, 1-4 p. 67-79]. Queste non sono in verità altro che le idee di Nietzsche e Heidegger messe insieme.
Ed esse hanno una loro giustificazione unicamente entro il cerchio della voluta astrusità personalistica che è propria del solo pensiero moderno – entro il quale nulla di filosofico o teologico riesce ad avere un valore se non si spinge fino ai limiti del paradosso sofistico. Idee come queste non dicono insomma nulla di veramente oggettivo sulla metafisica.
E ciò va detto, nonostante Marion attribuisca proprio a Heidegger la definizione più oggettiva di metafisica che sia mai stata concepita; e che è inoltre oggettiva proprio in quanto è radicalmente critica. Sembrerebbe insomma che l’intera storia della metafisica abbia dovuto attendere il «genio» di Heidegger per doversi poi arrendere davanti alle costatazioni che solo lui avrebbe potuto fare. Il che significa che davanti a lui si dovrebbero piegare anche ingegni come quello di Platone ed Aristotele. Si tratta con ciò evidentemente solo del vero e proprio culto della propria personalità, che il pensatore alimentò del tutto ad arte nel corso della sua intera opera. Ed è davvero stupefacente il fatto che ad artifici sofistici (e peraltro francamente immorali) come questi si presti così tanta fede. In questa interpretazione non vi è dunque assolutamente nulla di oggettivo. Essa lascia quindi di fatto del tutto immutata la storia della metafisica (senza insinuare in essa alcuna fine predeterminata), e ne lascia immutata anche la natura ed i contenuti. Il che significa (ancora una volta) che la metafisica autentica non è affatto quella contro la quale si scagliarono Nietzsche e Heidegger, e quindi non è nemmeno quella della quale parla Marion. L’unica parte davvero autentica di tale metafisica è (come abbiamo già accennato) quella platonica. E la visione metafisico-religiosa di Platone risale a sua volta direttamente all’immenso campo di sapere costituito da quella che è per davvero la «metafisica delle metafisiche», ossia la cosiddetta “Scienza sacra” sovrumana e originaria, o anche detta “metafisica integrale” [Platone, Menone, Laterza, Roma Bari 2011, XXI, 86ac p. 41-43; Platone, Filebo, Bompiani, Milano 2006, 16 c- 17a, p. 59; Platone, Cratilo, Laterza, Roma Bari 2008, XIV, 396cd p. 35-37; Friedrich Wilhelm J. Schelling, Philosophy and Religion, Spring Publication, Putnam, Conn. 2010, p. 7-10; Luciano Montoneri, Il problema del male nella filosofia di Platone, Victrix, Forlì 2014, I, IV, 4 p. 134-136, II, V p. 167 ; Frithjof Schuon, Logica… cit., 3 p. 45-52, 5 p. 63-67, 6 p. 77-84; Roger Godel, Platone a Heliopolis d’Egitto, Il Melangolo, Genova 2015, I p. 11-36; Raphael, Iniziazione… cit., p. 47-49, p. 131-154; René Guénon, La tradizione delle tradizioni, Mediterranee, Roma 2003, p. 19-23; Georges Vallin, La prospettiva metafisica, Victrix, Forlì 2007, Introd. p. 103-120].
Quest’ultima è l’unica metafisica davvero autentica Ed una siffatta metafisica è pertanto anche una metafisica religiosa davvero integrale. Essa insomma non potrebbe essere ciò che è, se non fosse integrale nel senso della visione religiosa. E ciò comporta inevitabilmente, come abbiamo visto, la radicalissima interpretazione onto-spiritualistica dell’essere.
È evidente che a questo status non può nemmeno approssimarsi quella metafisica filosofica razionalistica (commentata da Marion) che poi rientra anch’essa pienamente nei confini del pensiero moderno. L’accento da esso posto sulla Ragione ne è infatti segno chiaro. Ma sta di fatto che tale accento non tradisce affatto la presenza di Platone, bensì semmai la presenza di Cartesio, ossia il precursore di fatto di tale genere metafisica. Nell’affermare questo ci viene peraltro incontro in modo davvero sorprendente la scienza moderna nella sua forma di Fisica quantistica (così come esposta da Smith) [Wolfgang Smith, The Quantum… cit., I p. 21-23, I p. 41-45, VI p. 109-125]. Proprio il culto della Ragione, infatti (ossia il “biforcazionismo”, o anche dualismo, di stampo cartesiano), ha fatto sì che venisse intanto esautorata totalmente la conoscenza intellettuale (che è poi l’unica vera protagonista della conoscenza dell’oggetto esteriore per la via della percezione).
E tale genere di conoscenza è senz’altro quella che veniva presa in considerazione da Platone.
Sta di fatto comunque che Marion ritiene chiusa per sempre la “questione di Dio” (o anche ”domanda”) nel contesto della metafisica filosofica. E saluta questo anche come un progresso di grande valore. Dato che non sarebbe stato possibile concepire e praticare una FR al centro della quale restasse un assunto filosoficamente del tutto insostenibile. Ecco allora che la FR, che il nostro pensatore intende introdurre (sulla base della Fenomenologia husserliana), manca totalmente proprio del presupposto centrale di una metafisica che si rispetti; ossia la decisa e profonda dimensione religiosa del pensare. Possiamo così trovarci di certo nel contesto di quella metafisica di stampo aristotelica che fu sempre volutamente molto tiepida dal punto di vista religioso. Ma non possiamo in alcun modo trovarci nel contesto di quella metafisica platonica (religiosa invece strenuo) che va poi riconosciuta come quella originaria e più autentica [Paul Friedländer, Platone, Bompiani, Milano 2014, I, I, I, p. 15-46, I, I, III p. 73-104].
In ogni caso per Marion l’eventuale decisione della FR a sussistere in questa sua forma, implicherebbe la sua adesione alla specifica metafisica filosofica razionalistica sviluppatasi dal XVII al XVIII secolo, laddove però questa è stata inappellabilmente dichiarata morta da Nietzsche. E quindi non resta altro che prendere atto del definitivo divorzio storico tra religione e filosofia, e pertanto della necessità di quella che Marione definisce come una decisiva ed irrevocabile “svolta”. Svolta che poi sarebbe stata segnata proprio dall’avvento della prima definizione oggettiva di metafisica, ossia quella heideggeriana. Su questa base poi il pensatore moltiplica le sue elucubrazioni, tentando di fare un significato addirittura positivo e produttivo al concetto di “fine della metafisica”. Ma quello che egli sofisticamente intende dire è solo che da questa morte, come l’antica Fenice alchemica, sarebbe rinata la possibilità stessa di una del tutto nuova onto-metafisica, e cioè quella di Heidegger ed Husserl, ossia quella della Fenomenologia. E qui ci imbattiamo in un’ulteriore astrusità storico-filosofica (del genere di quella già da noi costatata a proposito di Heidegger): – l’onto-metafisica sarebbe stata infatti sempre illegittima ed inautentica fin dal suo primo esistere, e quindi avrebbe dovuto attendere che Husserl (seguito da Heidegger) elaborasse il concetto di “fenomeno” per poter finalmente conquistare legittimità e autenticità. Vedremo infatti più avanti che proprio sul concetto di fenomeno si incentrano tutte le ambizioni della Fenomenologia di costituire l’unica FR che sia ormai davvero possibile. Da quello che abbiamo detto poc’anzi è però del tutto evidente che con ciò non si tratta affatto di una «filosofia religiosa», ma si tratta invece al massimo di una «filosofia della religione». Tale è infatti la FDR. Ed altro non può essere. In ogni caso è evidente anche che essa, per ciò che vuole comunque essere (e cioè una FR), ambisce a costituire non solo un’onto-metafisica, ma anche un’onto-metafisica religiosa. Comunque risulterà assolutamente chiaro a questo punto che con ciò si tratta di una totale corrispondenza tra FR e filosofia. E questo soprattutto perché (come precisa Marion) l’ambizione di Husserl, nel fondare al Fenomenologia, era stata proprio quella di far coincidere con essa l’intera filosofia – ciò in quanto la Fenomenologia ambisce a costituire la nuova ontologia, ossia la scienza filosofica fondamentale. Ecco allora quello che si può intendere come «filosofia religiosa» cambia qui totalmente di significato. Non si tratta infatti per nulla di un pensare la cui essenza (ovvero natura) sia quello di essere «religioso». Si tratta invece di un pensare che pretende di essere religioso solo in quanto è in primo luogo «filosofico», e precisamente in maniera estremamente rigorosa. Cosa che avviene proprio nello sbarazzarsi per sempre della “questione di Dio”.
Va fatto notare, comunque, che la differenza tra la nuova e la vecchia onto-metafisica religiosa consiste sostanzialmente nel fatto che, entro la prima, la dimensione contrassegnata dall’«onto-» è da considerare meramente formale. Essa non si occupa più infatti per nulla dell’ente (in obbedienza al veto kantiano di qualunque “ontologia”), ma si occupa invece soltanto del fenomeno. E quest’ultimo include poi in sé anche l’«evento», quale forma possibile dell’oggetto immateriale (ed in una certa misura anche irreale). Si tratta insomma di una neo-ontologia totalmente tarata sull’introduzione definitiva, da parte di Nietzsche (poi rinforzata da Heidegger per mezzo del concetto di «Possibilità»), del concetto di essere quale sostanziale «divenire». Ma (entro l’esposizione di Marion) con tutto ciò converge poi anche un significato della visione nietzschiana che venne sviluppato in particolare solo da Heidegger. La negazione dell’ontologia si incentra infatti sulla famosa “differenza ontologica”, ossia sul valore differenziale dell’ente-esistente («esser-ci») rispetto a quell’«essere», il quale non è altro che un vuoto concetto astratto. In altre parole se c’è un «essere», questo non altro che l’ente-esistente stesso. Ed a questa così sobria costatazione non ci sarebbe da aggiungere più nulla. Essa va considerata assolutamente conclusiva.
È per tale motivo che la nuova onto-metafisica rigetta totalmente insieme il concetto di Fondamento ontologico e quello di Ragione fondante l’essere. In tal modo, allora, non solo collassa per sempre la metafisica intesa come razionalità, ma collassa totalmente anche il concetto di onto-generazione (a partire da un supremo Soggetto che è anche supremo Essere e suprema Ragione). Tuttavia è solo secondario il fatto che in tal modo venga definitivamente messo in ridicolo il concetto di «creazione». L’effetto più rilevante di tale operazione è infatti lo spostamento totalmente immanente del processo di onto-generazione. Esso parte ormai solo dal soggetto immanente, ovvero dall’Io. In Nietzsche ciò avviene nella forma di una volontà di potenza che è la radice di un tumultuoso onto-dinamismo [Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza, Newton Compton, Roma 2005, 54-88 p. 50-63]. Mentre in Husserl ciò avviene con la concezione dell’atto di “donazione”, e quindi in definitiva con l’intera dottrina della «costituzione».
Ebbene, proprio a tale proposito dobbiamo costatare il naufragare totale delle speranze dischiuse al moderno pensatore metafisico-religioso dall’esposizione del concetto di “fenomeno saturo”. In realtà infatti la Fenomenologia ambisce a spostare l’intero processo dell’onto-generazione nel cerchio chiusa della sola immanenza. E tale operazione viene tutt’altro che contestata da Marion (con il porre un fenomeno saturo). Lo dimostra infatti l’accento da lui posto sulla “banalità” di tale concetto [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., VI p. 131-168]. Bisogna dunque perdere ogni speranza circa la possibilità che il nostro pensatore intenda per davvero extrapolare in maniera autenticamente religiosa la complessiva dottrina fenomenologica (specie husserliana). Ciò sarebbe in verità potuto avvenire se il discorso sul fenomeno saturo davvero avesse configurato (come a volte sembra davvero accennare a fare) un supremo Soggetto divino credibilmente posto alla radice di un’onto-genesi che si spinga fino all’ente come fenomeno. In realà invece anche la dottrina del fenomeno saturo non ha altra ambizione che quella di contribuire a giustificare l’esistenza dell’ente sulla base di sole ragioni immanenti. A tutto ciò si aggiunge poi appena la richiesta che anche l’oggetto religioso venga incluso tra gli enti così giustificati. Ma questo può significare soltanto che a tale oggetto stesso si attribuisce una valenza unicamente immanente. Ed ecco allora che la FR fenomenologica (FDR) introdotta da Marion effettivamente non vuole presentare altro che un’esperienza religiosa puramente immanente. Proprio in questo senso essa resta assolutamente certa di poter venire considerata «filosofica» a pieno diritto. Ecco allora che una siffatta FR, sebbene interessata a mantenere piena la Rivelazione contro il riduzionismo filosofico (illuministico, empiristico e positivistico), tende comunque molto fortemene a sfuggire ad una metafisica religiosa nella quale la Rivelazione non può mai venire considerata piena in senso letterale, ossia come incarnazione del Trascendente. Il pensatore allude continuamente a quest’ultima, definendola come la metafisica che sbarra la strada alla religione. Con ciò egli intende quella metafisica filosofica razionalistica della quale abbiamo preso finora atto. Andando però oltre tale equiparazione, si potrebbe ben riconoscere tale metafisica «anti-religiosa» in quella che è quanto mai religiosa possibile, ossia quella che parla di un Dio Trascendente inconciliabile con l’immanenza mondana. E questa è ancora una volta senz’altro la metafisica religiosa di stampo platonico-gnostico. Riprenderemo comunque questo tema più avanti.
3- La Fenomenologia religiosa incentrata nel “fenomeno saturo”.
Marion attribuisce chiaramente ad Husserl l’intenzione di elaborare un concetto di “fenomeno” (o “fenomenalità”) che era di per sé destinato a spingersi fino ai suoi estremi limiti, configurando così quella che il pensatore indica come “saturazione” [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., II, p. 29-66]. Si tratta in altre parole né più né meno che del suo sforzo di ricavare un ben deciso spazio realista all’interno di quell’idealismo husserliano, che intanto viene da lui stesso collocato (per diversi sui aspetti) sulle tracce dello stesso idealismo kantiano – e che a sua volta regredisce (come abbiamo visto) per alcuni versi fino all’antica metafisica filosofica razionalista. Molto in generale si tratta qui della prevalenza del criterio gnoseologico (ed epistemologico) su quello ontologico, nel dirimere circa l’esistenza effettiva dell’ente. Ossia si tratta del prevalere della conoscenza dell’ente sulla sua piena ed incondizionata esperibilità. Infatti solo quando quest’ultima si realizza, allora abbiamo per davvero davanti a noi l’oggetto esteriore nella sua piena esistenza indipendente, e quindi un’oggettualità davvero oggettiva. Si tratta insomma in tal modo della piena concezione di un «mondo fuori di noi»; in quanto popolato di oggetti assolutamente indipendenti dalla coscienza.
Consiste in questo il “fenomeno saturo”, ossia quello che (come abbiamo già visto) insorge allorquando l’intuizione travalica decisamente l’intenzione, configurando così un oggetto che, per essere colto, deve essere intanto solo esperito.
Marion ci mostra però chiaramente che si tratta di un caso limite, ossia di qualcosa che può essere ciò che è solo in quanto non rientra affatto tra gli oggetti ordinari di esperienza. Si tratta infatti di un oggetto che di fatto è inconoscibile.
Nulla, dunque, si attaglia meglio di questo all’oggetto religioso. Ma intanto bisogna anche ammettere che quest’ultimo incarna benissimo anche l’esistenza dell’oggetto esteriore nella sua pienezza; ossia quell’oggetto nel quale consiste di fatto il mondo esteriore nella sua ovvietà. E qui dobbiamo di nuovo riallacciarci agli estremi risultati filosofici ottenibili per mezzo della moderna Fisica quantistica [Wolfgang Smith, The Quantum… cit., II p. 29-36, II p. 41-45]. Essa attesta infatti in modo estremamente deciso l’esistenza ovvia ed incontestabile di questo mondo esteriore (indubitabilmente percepito), al di là di ogni possibile condizionamento da parte della tradizionale e classica presa di posizione filosofica. La quale invece costantemente ha considerato problematica l’esistenza di un mondo esteriore al di fuori della conoscenza soggettiva.
Ebbene in Marion, nonostante la possibile valenza in tal senso del “fenomeno saturo”, non possiamo costatare un’affermazione di questo genere. L’oggetto esteriore indipendente che si profila nella sua visione ha infatti (al di là della sua chiara valenza religiosa) qualcosa di molto simile ai caratteri dell’«in sè», o noumeno. Proprio per questo l’ontologia che così si delinea, reca intanto i caratteri di un’eccezionalità che la rende fortemente dissimile da quella dell’esperienza ordinaria. Sta di fatto però che il pensatore ci mostra in tal modo che la Fenomenologia non può davvero essere piena se non giunge almeno a postulare tale limite. Essa porta infatti solo così a compimento la sua aspirazione a rendere concepibile un oggetto del tutto incondizionato a qualunque aspettativa empiristica. Ma intanto – dovendo essa per questo sfuggire anche alle classiche ipoteche idealistico-gnoseologiche gettate sull’esistenza incondizionata dell’oggetto –, tale aspirazione denuncia chiaramente la sua intenzione realistica in senso specificamente anti-idealistico. Il motto husserliano “zur Sache selbst” (“ritorno alla cosa stessa”, o anche «ritorno alle cose») deve pertanto secondo Marion venire interpretato proprio in tal senso. E sempre in tal senso esso va posto al centro delle aspirazioni della Fenomenologia. Quest’ultima, dunque, non può davvero giungere a compimento se non raggiungendo finalmente tale risultato.
E tuttavia, come abbiamo prima accennato, pesa qui molto il condizionamento idealistico-gnoseologico (e quindi in qualche modo esso stesso metafisico) al quale Husserl stesso soggiace. Marion ci indica comunque con estrema precisione gli aspetti nei quali la Fenomenologia husserliana si svincola da tale condizionamento (puntando così decisamente verso un realismo), e quelli nei quali invece ciò non accade [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., II, 5-7 p. 49-66]. Si tratta per la precisione degli elementi specifici della dottrina husserliana che si delineano una volta che essi siano stati posti a confronto da un lato con la dottrina kantiana delle categorie (quantità estensiva, qualità intensiva, relazione-continuità, temporalità) e dall’altro lato con le caratteristiche del fenomeno saturo stesso. Queste ultime infatti lasciano sfuggire totalmente il fenomeno (quale “apparenza”) ai vincoli gnoseologici imposti da esso dalle categorie kantiane.
E così si delinea un fenomeno le cui caratteristiche fondamentali sono sostanzialmente quattro: – “imprevedibilità” (trascendenza della limitazione dovuta alla quantità spaziale estensiva), “insopportabilità” (trascendenza della limitazione dovuta alla qualità intensiva), “inguardabilità” (trascendenza di qualunque relazione in forza della natura di “ab-solutum”), ed infine incondizionabilità a qualunque “orizzonte” inteso come scandito in quella successione spazio-temporale (che viene imposta dallo spazio di conoscenza dovuto alla presenza dirimente dell’Io cosciente). Ebbene per Marion Husserl va oltre Kant solo per i due primi aspetti; e quindi si muove in tal modo effettivamente in direzione del realismo configurato dal fenomeno saturo. Per gli altri due aspetti, invece, la sua visione resta entro i limiti di quella kantiana.
Ecco allora che la sua concezione del fenomeno resta comunque condizionata alle ipoteche determinate dalla presenza dell’Io – nei termini specifici di esistenza non assoluta e di esistenza, che non trascende la temporalità segmentaria imposta dall’Io. Vale la pena anche di prendere qui in considerazione le conseguenze specifiche che secondo Marion ha il superamento delle restrizioni categoriali kantiane nel delinearsi di un oggetto religioso. L’imprevedibilità configura infatti un oggetto caratterizzato dalla dismisura. L’insopportabilità configura un oggetto che abbaglia la conoscenza per la troppa luce che emana. L’inguardabilità configura un oggetto invisibile in quanto davvero assoluto (ossia incondizionato all’immanenza conoscitiva) nel suo esistere. E l’incondizionabilità alla temporalità Io-determinata configura un oggetto eterno. È evidente che qui siamo ad un passo dalla possibilità di concepire anche in Marion i termini di quella metafisica religiosa integrale, il cui pensiero è decisamente contemplativo; e quindi proprio per questo risulta capace di concepire oggetti integralmente onto-spirituali (ossia del tutto incondizionati alle categorie logiche proprie della sola immanenza conoscitiva). Ma il nostro pensatore vuole invece restare comunque nei limiti della più rigorosa filosofia e quindi della Fenomenologia. Egli si limita pertanto a criticare Husserl per il solo fatto che l’idealismo residuo, qui costatabile, gli impedisce di portare a compimento la sua stessa dottrina rigorosamente filosofica del fenomeno. Va qui peraltro costatato che, come dice Marion, di fatto la visione husserliana resta prigioniera della stessa dottrina tomistica della “verità dell’essere”, ossia resta prigioniero di una vera e propria Erkenntnistheorie, e peraltro anche antica e metafisica [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., II, 3 p. 37-46]. Per tale motivo egli di fatto si spinge al massimo fino a postulare un’”ideale di evidenza” e non invece un’”evidenza” piena dell’oggetto quale fenomeno. Ed in tal modo Husserl postula di fatto un oggetto di conoscenza che mai giunge ad esaurire l’intero spazio della sua conoscibilità. Si tratta insomma di una presa di posizione che, in linea con quanto mostrato da Smith (filosofia della Fisica quantistica), fa sì che la dottrina husserliana resti pienamente entro la postulazione di un’impossibilità di conoscere davvero l’oggetto esteriore, che è decisamente di impronta cartesiana [Wolfgang Smith, The Quantum… cit., I p. 17-20, I p. 26-28].
Ecco allora che, a causa di tutto questo, Husserl non giunge a portare a compimento la dottrina del fenomeno. E ciò accade in quanto (a causa dell’esulare degli ultimi due aspetti dalla liberazione del fenomeno dal condizionamento della gnoseologia kantiana) il fenomeno stesso viene concepito ancora come del tutto riducibile all’Io. Il che impedisce allora che esso configuri quella “possibilità libera” di esistenza, la quale necessariamente deve “trasgredire” apertamente quello che Husserl considera il principio invalicabile di concezione degli enti, ossia il “principio di tutti i principi” (che poi equivale di fatto alla riduzione fenomenologica). Se questo fosse però avvenuto entro la dottrina husserliana, allora sarebbe invece accaduto che il fenomeno non si sarebbe posto appena come “possibilità” che si limita a trascendere l’”effettività” (ossia l’esistenza dell’ente giustificata razionalmente tanto dalle categorie kantiane quanto dal principio leibniziano di “ragion sufficiente”). Si sarebbe invece posto come possibilità che trascende la possibilità stessa. Ed in tal modo sarebbe stata concepita la stessa “possibilità dell’impossibile”. Giunti a questo punto, quindi, la dimensione del fenomeno come “datità” equivale perfettamente alla dimensione della Rivelazione. Il fenomeno insomma appare l’ente nella sua pienezza proprio in quanto «rivelato». Marion spiega questo in maniera particolarmente suggestiva. La datità del fenomeno così concepita è da considerare infatti la “pura apparizione di sé, a partire da sé, che si sottrae a qualunque determinazione che la preceda”. E ciò non illustra altro che la fenomenologia della Rivelazione stessa.
Ma oltre a ciò, aggiungiamo noi, ciò illustra anche il pieno e legittimo esistere di entità esclusivamente metafisiche, ossia onto-spirituali. E queste ultime vanno molto oltre la postulazione husserliana di un legittimo «oggetto irreale». Noi ci troviamo infatti di fronte a quegli oggetti irreali della più ardita metafisica mitologica e poetico-visionaria che Husserl si era sempre rifiutato di ammettere come pienamente reali [Edmund Husserl, Idee… cit., I, II, 46 p. 111-114]. Per poter ritrovare l’ammissione dell’esistenza piena e legittima di tali oggetti, noi dobbiamo dunque ricorrere a pensatori fenomenologici, decisamente fuori del comune, del genere di Gerda Walther (vedi nota 21) e Paul Ricoeur [Paul Ricoeur, La metafora viva, Jaca Book, Milano 2010, I, 1-2 p. 9-15]. Ma come abbiamo mostrato nel nostro antecedente articolo sulla Walther, la Fenomenologia ortodossa si rifiuta oggi decisamente di ammettere che questi pensatori si siano spinti per davvero ben oltre i limiti della visione husserliana.
Fatto sta che, al cospetto delle entità metafisiche così concepite, noi ci troviamo anche al cospetto di quella che è la più autentica metafisica, e cioè quella integralmente metafisico-religiosa. Ci troviamo però al suo cospetto anche nel contesto delle stesse illustrazioni marioniane delle più estreme caratteristiche del fenomeno saturo. L’affermazione della sua assoluta non riconducibilità all’Io sta infatti ad un passo dal superamento a ritroso dell’intera dottrina husserliana della riduzione fenomenologica quale «riduzione trascendentale». Infatti appare qui del tutto a portata di mano la postulazione di una riduzione di portata ben più ampia e di altezza ben maggiore, e cioè quella che risale fino al supremo Soggetto trascendente, e cioè l’Io divino. Ma in tal modo si rientrerebbe nel contesto di quella metafisica che Marion si rifiuta categoricamente di ammettere come filosoficamente sostenibile. E quindi in tal modo ancora una volta lo spazio della FR da lui dischiuso si rivela essere comunque estremamente riduttivo. Esso infatti – nonostante il notevole sforzo compiuto verso un’effettiva pensabilità contemplativa della Rivelazione come vera e propria onto-genesi divina – resta comunque decisamente immanentista. E quindi tale complessiva dottrina filosofico-religiosa si pone al di fuori di un vero e proprio «pensare religioso», come quello che noi abbiamo tentato di definire nella sua effettiva autenticità (vedi nota 2).
4- L’assetto dottrinario effettivo della filosofia religiosa proposta da Marion: la Fenomenologia della Religione.
Passiamo ora ad esaminare qual è l’assetto effettivo della specifica FR che Marion propone nella forma di FDR [Jean-Luc Marion, Il visibile… cit., I 2-4 p. 11-28].
Spicca qui in primo luogo il ruolo affidato dal pensatore al concetto husserliano di “donazione”. Quest’ultima, infatti, nella stessa struttura semantica del relativo termine (“Gegebenheit”), fa riferimento al costituirsi di una “datità” che è poi da considerare il suo frutto stesso. La donazione è infatti l’atto che ci dà il dato stesso, che ci offre il dato, che genera ciò che è un dato. E l’effetto di tale atto, dice il nostro pensatore, va ben oltre quello dell’”intuizione” così come viene concepita da Kant. Di quest’ultima viene infatti potenziata la valenza conoscitiva, in quanto viene in primo piano evidenziata quella che è una vera e propria «intuizione essenziale», e cioè il coglimento della cosa nella sua effettiva integrale pienezza. Costituendo la datità, la donazione configura pertanto un’intuizione che per davvero riempie l’intenzione conoscitiva, ossia la soddisfa completamente, portando così davvero a compimento il relativo atto.
E così il vincolo esercitato dall’esperienza cessa di giocare un ruolo così condizionante sulla conoscenza. In questo senso dunque la donazione giustifica davvero pienamente la stessa esistenza dell’oggetto – e precisamente a partire dall’atto di coscienza. Essa ha dunque un effetto onto-generativo che l’intuizione kantiana certamente non ha.
Anche qui è evidente insomma quanto la dottrina husserliana del “fenomeno” tendeva al realismo. L’idealismo resta però nei termini del fatto che il «dato» è tale in quanto è «dato per la coscienza». Sta di fatto, però, che proprio questo dischiude lo spazio per una del tutto legittima esistenza dell’oggetto, che esso sia effettivamente “reale” o anche solo “ideale”. Ecco insomma dischiudersi immediatamente, entro la complessiva dottrina fenomenologica husserliana, uno spazio del tutto ovvio per l’ammissione di oggetti religiosi. Ed in tal modo la Fenomenologia si pone pertanto come religione, in quanto prescinde dal doppio vincolo esercitato da un lato dalla metafisica filosofica razionalistica (condizionamento dell’esistere della cosa alla sua necessità razionale) e dall’altro lato dall’empirismo scientifico e filosofico-positivista. Ebbene a tale proposito Marion concede alla Fenomenologia quale FR un’aperura di credito davvero illimitata. Costatando infatti il delinearsi in essa di un “fenomeno” che “accade senza causa o ragione”, egli riconosce che ciò è applicabile ai più estremi oggetti religiosi (“colloqui interiori”, “visioni”, “presenze”). Il perché però tale costatazione marioniana non giunga a concepire anche un’esperienza religiosa nella sua vera pienezza – e cioè il vissuto effettivo del Trascendente divino manifestato –, è cosa che a questo punto è davvero difficile da spiegare. Vedremo infatti tra poco che l’assetto scelto per la FR, autorizzata da questa base filosofica, resta comunque radicalmente immanentista. E ciò si incentra in particolare sull’interpretazione del fenomeno rivelato come un’”evento”, ossia come una manifestazione integralmente storica del Trascendente divino.
Inoltre va anche costatato che qui (diversamente da quanto Marion dice a proposito del “fenomeno saturo”) sembra che il pensatore si accontenti pienamente dell’oggetto religioso che esiste per davvero solo in quanto generato entro lo spazio della coscienza. In questo modo viene pertanto fatto prevalere decisamente il punto di vista umano su Dio, quale vincolo ineliminabile di una FR evidentemente solo immanentista. Peraltro va constatato che egli parla al proposito anche del possibile delinearsi di “oggettività al di fuori dei limiti dell’immanenza”, che proprio come tali sono però filosoficamente del tutto inammissibili. La FR qui in causa ha insomma dei limiti molto netti e rigorosi nel senso di un immanentismo anche non poco «laico» nel senso del rigore filosofico. Più avanti poi, laddove egli affronta specificamente l’interpretazione heideggeriana del “fenomeno” appena delineatasi, ossia la sua natura di effettivo “ni-ente” – e quindi un’”apparenza” che sfugge ai netti limiti della visibilità sensibile (mantenendo così integra la sua pienezza nel solo atto di “mostrar-si”, ossia rimandare a sé stesso) –, Marion denuncia la proibizione di tali concetti da parte della metafisica filosofica razionalistica. La quale, essendo invece di fatto trascendentista, non ammette che l’Invisibile si dia per mezzo dell’apparente. Siamo insomma davanti alla possibile postulazione dell’effettiva esistenza e realtà di un «Invisibile» presente ma non empiristicamente percepibile. E di questo parla peraltro esplicitamente la Walther concependo le sue entità metafisiche. Ma il discorso filosofico-religioso qui in atto con Marion vuole invece autorizzare in primo luogo l’inversione (tipicamente heideggeriana) dell’asse Trascendente-immanente – non è infatti il Trascendente a rivelarsi nell’immanenza, ma è semmai l’immanente a rivelare dal basso il Trascendente. E questo perché nell’immanenza va risolta di fatto interamente la Trascendenza.
È su questa base quindi che la marioniana FR (quale FDR) si presenta in un assetto entro il quale la Rivelazione si sposta integralmente sul piano dei fenomeni, e cioè di fatto sul piano immanente e perfino naturale.
Ulteriori aspetti di tale assetto dottrinario vengono poi evidenziati da Marion nel parlare (sulla base di Bultmann, e quindi ancora di Heidegger) della figura di un Gesù che incarna in sé un “vissuto di fede”, il cui oggetto intenzionale è la fede stessa, più che invece Gesù in persona. Ciò che sta in primo piano con il Dio incarnato non è dunque affatto la presenza tangibile del Dio Trascendente sul piano immanente, ma invece semmai il suo semplice riflesso formale, ossia una fede che deve obbligatoriamente prescindere all’esperienza viva del divino; e quindi deve prescindere anche da qualunque spiritualismo religioso. E converge perfettamente con questo anche l’interpretazione del “vissuto” husserliano come quell’”Erlebnis” che in Heidegger si trasforma in ciò che la Rivelazione stessa come “evento”. Si tratta di ciò che per definizione coglie di sorpresa, e quindi incarna la storia stessa nella sua essenza. Nel capitolo dedicato al tema del “fenomeno saturo”, Marion afferma infatti che la storia rientra proprio nel novero di questo genere di oggetti immateriali ma intanto pregni di essere.
Andando oltre questo discorso, il pensatore prende poi in considerazione (ma in via solo del tutto ipotetica) la possibilità che l’ammissione del “fenomeno saturo” possa permettere di concepire un Io costituente molto più alto di quello ammesso da Husserl (specie quale “orizzonte” vincolante per tutti i vissuti). E tuttavia egli prende intanto atto del fatto che la Fenomenologia (in quanto rigorosa filosofia incentrata sul vincolo esercitato dall’Io quale unico protagonista della “donazione”) proibisce espressamente tale valenza del concetto di Rivelazione. In ogni caso a tale proibizione egli non solleva nei fatti alcuna vera obiezione, limitandosi soltanto a prendere atto del sussistere di essa.
E quindi ancora una volta non avviene la pur possibile dilatazione dello spazio dottrinario proprio della FR (come FDR).
Conclusioni.
Abbiamo finora già discusso a sufficienza in maniera critica la dottrina della FR che Marion propone nella forma specifica di FDR. E quindi non crediamo di dover aggiungere altro alle considerazioni già fatte circa l’impossibilità che si tratti davvero di una FR. Questo concorda pertanto con le conclusioni che avevamo già tratto discutendo il concetto di FR che si presenta entro la corrente letteratura. Ci rimane quindi soltanto da fare alcune considerazioni conclusive molto generali specialmente sul contesto storico in cui viene postulata una siffatta FR.
La prima costatazione da fare va al cuore dell’intera tesi marioniana, ossia all’idea secondo la quale la moderna FR deve essere radicalmente ultra-metafisica. Abbiamo già fatto osservare quanto artificiosi siano gli argomenti squisitamente moderno-filosofici impiegati da pensatore nel sostenere questa tesi. Ed esattamente questo ci indica subito che il problema di fondo appare essere proprio quello della «modernità» del pensiero. Del resto alle stesse identiche conclusioni eravamo dovuti pervenire nell’articolo che avevamo dedicato alla moderna FR. Bisogna allora costatare che ciò che manca in tale complessivo contesto è esattamente una critica alla Modernità stessa quale ambito culturale caratterizzato specificamente dal minimo comun denominatore di un atteggiamento che intanto è anti-metafisico in quanto prima ancora è anti-religioso. Non a caso abbiamo visto che la metafisica viene rigettata proprio in quanto essa impedisce un pensiero filosofico del fenomeno religioso così come esso viene modernamente concepito, ossia un pensiero decisamente immanentista e anti-trascendentista. Della metafisica religiosa, insomma, si contesta sostanzialmente il concetto di un Dio Trascendente. Tutto il resto delle argomentazioni è infatti assolutamente secondario rispetto a questo, proprio in quanto appena artificioso. E questo spiega del resto il dibattersi piuttosto penoso di Marion – nel tentare comunque di fondare su questa base una FR – tra l’ammissione della centralità dell’idea di Dio nella sua pienezza ed invece il rigetto di essa. La soluzione che egli trova a tale dilemma è, come abbiamo costatato, il progetto di isolare dalla filosofia una religione e teologia entrambe pure. Esse sono da considerare pure proprio in quanto si pongono come l’unico ambito di sapere nel quale l’idea di Dio possa essere davvero legittimamente conservata. Ma il prezzo di tale operazione è intendo la rescissione di fatto della «religione» dalla «filosofia». E ciò rende di fatto impossibile una vera FR. Non ne può dunque residuare altro che una FDR la quale è «filosofico-religiosamente» spuria per definizione.
Tuttavia lo scenario della FR è ancora più desolante qualora si getti uno sguardo oltre quella che altri osservatori critici tendono a definire come la sua forma “continentale” (cioè quella di pensatori come Marion, Caputo etc.), giudicandola poi come una sostanziale teologia che intenda di nuovo dominare sulla filosofia [Anthony P. Smith, Daniel Whistler, “What is continental Philosophy of Religion now?”, in: Anthony P. Smith, Daniel Whistler, After the postsecular and the postmodern. New essays in Continental Philosophy of Religion, Cambridge Scholars Publishing, Newcastle upon Tyne 2001, p. 1-24]. Ebbene chi vede le cose in questo modo, sostiene la tesi di un FR destinata ad essere ancora più radicalmente «filosofica» di quella criticata; e cioè una disciplina che (come avviene in un pensatore del genere di Deleuze) gioca creativamente con il concetto di Dio (in un pensare che reinventa sé stesso incessantemente) utilizzandolo così addirittura per scopi ampiamente sovversivi. Qui insomma ci troviamo di fronte ad un vero e proprio succedano mostruoso e neoformativo della FR, ossia qualcosa che solo i pensatori moderni potevano concepire e che quindi non ha più assolutamente nulla a che fare nemmeno con la disciplina nella sua forma meno autentica. Da notare è inoltre che qui viene dichiarato dagli autori che ci troviamo ormai addirittura oltre l’era postmoderna. Il che è segno chiaro che il processo di degenerazione non si è affatto ancora arrestato.
L’altro aspetto della mancata critica alla Modernità rispetto al concetto di metafisica, sta poi nel fatto che si ammette come legittima (ed anzi perfino centrale) l’astrusa e tendenziosa «storia della metafisica» di stampo nietzschiano-heideggeriano. Ed in tal modo, come abbiamo già costatato, ci si impedisce di vedere che, se c’è una definizione davvero netta e precisissima di metafisica, questa è semmai quella eterna ed assoluta. E quest’ultima lascia pertanto delinearsi quella metafisica religiosa integrale con la quale la moderna FR semplicemente evita (per troppo sdegnosa spocchia) di confrontarsi. Tanto che essa fa finta di non vederne nemmeno la pur così impositiva presenza. Abbiamo infatti costatato che quest’ultima, quale platonismo (ed in parte anche Gnosi), è stata ben presente nel pensiero occidentale, ed inoltre si è perfino spinta fin nel cuore del pensiero cristiano (in nome del quale Marion dice di parlare). Ebbene il rifiutarsi di costatare questo ci sembra una mancanza talmente grave, da poter da sola esautorare l’intero progetto moderno di ri-fondazione della FR.
La conseguenza di tutto ciò è pertanto che il peso della costatazione dell’effettiva catastrofe storica rappresentata dalla fine della metafisica – in quanto esito di quella lunga e costante degenerazione, la quale è stata colta nella sua importanza solo dai pensatori tradizionalisti –, finisce per perdersi in sottili disquisizioni filosofiche del tutto astruse.
Le quali dunque, proprio per questa loro così disattenta e svagata leggerezza, alla fine ammettono la Fenomenologia husserliana (ed inoltre heideggeriana) come una nuova onto-metafisica – ossia esattamente quanto di meno «filosofico-religioso» possa mai venir concepito. Non a caso abbiamo costatato chiaramente che, laddove si giunge finalmente al dunque (cioè a proposito del “fenomeno saturo”), si rinuncia solo per partito preso alla costatazione di tale inadeguatezza. E si persiste così un progetto di ri-fondazione fenomenologica della FR che proprio in questo rivela tutta la sua inconsistenza, se non assurdità.
È dunque in tale complessivo contesto che, persa nelle sue orgogliose e vane disquisizioni, la moderna filosofia finisce per prescindere totalmente dalla definizione di metafisica (e dalla presa d’atto dei suoi relativi contenuti) che da sempre viene offerta dalla Scienza tradizionale; e senza che la filosofia possa e debba giocare in essa alcun ruolo. Accettare questo dono, da parte di un uomo e filosofo religioso, avrebbe risparmiato il dispiego del tutto inutile di un grande patrimonio di energie argomentative. La definizione tradizionale di metafisica ha infatti il potere effettivo di rendere del tutto superflue le disquisizioni filosofiche svolte da Marion su questo tema. E tuttavia, come abbiamo già costatato nel nostro articolo sulla FR, bisogna anche riconoscere che ciò esautorerebbe un immenso e mastodontico edificio di pensiero, il cui obiettivo principale sembra essere in primo luogo quello di giustificare e perpetuare sé stesso al di là di qualunque obiettiva esigenza.
Infine va fatta un’ultimissima considerazione, che si relaziona ad un tema del quale il moderno pensatore metafisico-religioso non può non costatare la sorprendente assenza entro un siffatto progetto di fondazione della FR.
Si tratta del tradizionale tema filosofico-religioso del «mondo» quale possibile valore o al contrario disvalore. Ebbene il pensatore autenticamente metafisico-religioso, del quale qui parliamo, è incontestabilmente un filosofo, e quindi non può non amare appassionatamente le argomentazioni per mezzo delle quali si svolge la ricerca filosofica. E tali argomentazioni sono nel libro di Marion di livello davvero elevatissimo; per cui esse sono anche inevitabilmente molto attrattive ed inoltre non poco istruttive. Eppure esse autorizzano un immanentismo religioso così radicale, da avere il potere di dissolvere completamente il pur religiosamente fondamentale giudizio negativo sul mondo. Anzi esso addirittura rovescia tale giudizio. Ecco che allora il moderno pensatore metafisico-religioso non può non provare un’immensa tristezza nel constatare le così tante occasioni sprecate (in vane disquisizioni) da parte di un pensiero che pure mostra intanto tutta la sua potenza. Tutta questa potenza (come del resto dimostrato alla perfezione da pensatori come Nietzsche e Heidegger) sarebbe insomma potuta venire impiegata nel portare impietosamente allo scoperto proprio la bruttura del mondo. E proprio questo avrebbe dato alla relativa FR uno straordinario rilievo in quello scenario moderno in cui tale negativo fenomeno si presenta a noi in una maniera forse mai occorsa entro l’intera storia del genere umano.
Ebbene, a nostro avviso vi è una sola plausibile spiegazione a tutto questo. Evidentemente la moderna FR, nonostante le sue così tante ottime intenzioni e nonostante la sofisticazione intellettuale degli strumenti da essa utilizzati (specie quelli che impongono una del tutto sobria autenticità nel giudicare l’essere), è animata da dentro al Male stesso in tutta la sua attuale potenza e conseguente efficacia.
N.B. Il testo di questo articolo è stato qui pubblicato dall’Autore integralmente. La sua pubblicazione in questo blog è comunque protetta dalle leggi del copyright. Pertanto si diffida chiunque dall’uso a qualsiasi titolo di questo testo (totalmente o in parte) senza menzionare la paternità dell’Autore.
[…] >; Vincenzo Nuzzo, “Jean-Luc Marion e la filosofia religiosa”, in: < https://cieloeterra.wordpress.com/2017/12/28/jean-luc-marion-e-la-filosofia-religiosa/ >; Vincenzo Nuzzo, “La moderna «filosofia religiosa» è davvero […]