Abbiamo appena terminato un’indagine basata sulla lettura di uno dei più fondamentali scritti di Jean-Paul Sartre, e cioè L’Être e le neant [Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla, Il Saggiatore, Milano 1997].
Analizzando questo testo ci eravamo infatti chiesti se il realismo filosofico da lui auspicato (e che lui sostiene nel libro con ragioni davvero molto forti) potesse avere o meno dei punti in comune con le ulteriori forme di realismo intanto sviluppatesi nel corso del XX secolo. E qui va in grandi linee distinto tra il realismo che si sviluppò entro la stessa scuola di Husserl (per mezzo della contestazione del suo idealismo da parte di diversi allievi, tra i quali Adolf Reinach, Jean Hering, Hedwig Conrad-Martius e Edith Stein), il realismo proprio della Fenomenologia di Max Scheler, il tendenziale realismo esistenzialista di Heidegger, ed infine il realismo filosofico che (da allora in poi) è andato sempre più affermandosi fino ai giorni nostri. Laddove poi quest’ultimo ha recentemente assunto due forme: –1) una forma filosofico-scientifica non-religiosa; 2) una forma invece esplicitamente filosofico-religiosa. Quest’ultima si richiama specificamente in parte alla Fenomenologia di Husserl ed in parte anche alla visione di Heidegger (includendo pensatori come Marion, Lévinas, Derrida, Kevin Hart, John Caputo, e diversi altri).
Nella nostra indagine non abbiamo però esaminato in dettaglio tutte queste forme di realismo. Ci siamo invece limitati a identificare un «realismo fenomenologico» (RF), un «realismo religioso» (RR) ed un «realismo ingenuo» (RI); paragonandoli poi tutti con il «realismo sartriano» (RS). In particolare abbiamo scelto quest’ultimo come un realismo davvero pieno; da impiegare come modello per poter verificare se le altre forme fossero davvero capaci di affermare uno stesso genere di realismo. In tal contesto è poi emersa la distinzione da fare tra i concetti di «mondo», «in mondo» (IM) e «mondo fuori di noi» (MFN). Il primo è da considerare il concetto più generale (condiviso di fatto da tutte le visioni filosofiche da noi identificate, ed inoltre anche dallo stesso uomo comune, ossia dall’«ingenuo» per definizione). Il secondo è invece il concetto sartriano vero e proprio. Il terzo è infine il concetto di mondo che si è sviluppato specificamente entro il RF. Qui si tentò infatti di sostenere le ragioni per concepire un mondo esteriore effettivo (in quanto totalmente indipendente dalla coscienza) sia pure nel contesto di quell’idealismo che è tipico della Fenomenologia husserliana; e che si pone specificamente nella forma della «riduzione trascendentale».
Husserl aveva inteso quest’ultima come il metodo per mezzo del quale è possibile garantire la conoscenza più rigorosa possibile del mondo – grazie all’atto di messa tra parentesi (epochè) di qualunque concezione ingenua di esso (da quella dell’uomo comune a quella dell’empirismo scientifico). L’intento effettivo del pensatore era però in tal modo quello di permettere una conoscenza effettiva delle cose, ossia degli enti esistenti. Proprio per questo egli parlava di un «ritorno alla cosa stessa» (zur Sache selbst). E questo configura almeno tendenzialmente proprio un realismo. Non a caso la Prof. Ales Bello [Ales Bello Angela, Il senso delle cose, Castelvecchi, Roma 2013] ha definito la riduzione trascendentale husserliana come una presa di posizione che mette capo ad un “realismo trascendentale” (e non invece ad un “idealismo trascendentale”).
In ogni caso va detto che Sartre sferra un attacco davvero frontale contro questa complessiva visione. E così egli avvalora decisamente la tesi secondo la quale Husserl non fu in verità altro che un idealista. La riflessione sartriana offre pertanto argomenti davvero formidabili per ritenere che il RF non è affatto autentico, anzi è decisamente insufficiente. Esso insomma non configura affatto un effettivo realismo. Ebbene, analizzando i concetti di quest’ultimo alla luce dei chiarimenti offerti da Sartre, noi siamo dovuti pervenire alle stesse conclusioni. Ed in particolare è così emerso che il concetto di MFN (proprio del RF) è assolutamente insufficiente nel fondare un realismo. Quest’ultimo infatti resta talmente idealisticamente condizionato, da dover essere necessariamente non effettivo. Il concetto di MFN non esclude cioè per nulla (come invece vorrebbe) il condizionamento esercitato dall’Io cosciente sull’esistenza della cosa reale in quanto esteriore. Pertanto, anche nel contesto della reazione anti-idealistica degli allievi alla presa di posizione di Husserl, restano per essi validi gli stessi elementi che portano Sartre a giudicare quest’ultima un idealismo che mai e poi mai può davvero mettere capo ad un realismo.
Nello stesso tempo poi la nostra indagine ha posto in luce che anche il concetto generico di «mondo» soffre di fatto delle stesse limitazioni di fatto idealistiche. E qui cambia poco se esse siano effettivamente fenomenologico-husserliane (RF), o onto-metafisiche (RR), o infine proprie del puro e semplice atteggiamento ingenuo dell’uomo comune (RI). Anche tutte queste prese di posizione si sono rivelate pertanto del tutto insufficienti a fondare un effettivo realismo. L’unica eccezione può venir fatta per il RR; entro il quale (almeno entro le sue moderne forme decisamente anti-idealistiche ed inoltre anche anti-onto-metafisiche) il mondo viene effettivamente concepito in maniera molto simile a Sartre. In particolare qui emerge quindi come paradigmatico il concetto di «in mondo» (IM). Con esso il pensatore francese intende infatti il mondo come un assoluto esteriore incondizionabile a qualunque coscienza; che equivale poi all’esistenza stessa quale fondamentale «essere». Ed in tal modo, quindi, si afferma una visione immanentistica (del mondo quale radicale Assoluto), nel contesto della quale è necessario pensare al vissuto totalmente immersivo nel mondo stesso come all’inderogabile condizione per poter concepire qualunque cosa in maniera davvero realistica. In parole più semplici, insomma, noi «siamo» per davvero solo nel nostro essere totalmente immersi in un mondo, che poi è tutto ciò che davvero «c’è». E questo configura senz’altro una presa di posizione davvero estremisticamente esistenzialista.
Proprio in relazione a questo, abbiamo però sentito alla fine l’esigenza di differenziare tra la giustificazione filosofica oggettiva ed assoluta di un siffatto realismo, e la sua giustificazione invece relativa.
Intendiamo con quest’ultima in particolare l’eventuale giustificazione di un realismo pieno nella forma specifica dell’unica concezione filosofica che varrebbe la pena di venire professata. Ed a questo punto l’idealismo si presenterebbe come una concezione invece insostenibile. Ebbene proprio la forza che ha il RS, ci sembra mostrare invece chiaramente la sua debolezza; e ciò avviene esattamente nel senso appena illustrato. Tale forza sussiste infatti solo e soltanto in ragione del dogmatismo con il quale tale realismo viene posto. E questo dogmatismo appare a sua volta giustificato da un sostanziale pregiudizio ideologico; ossia da quel radicale immanentismo che presso Sartre ha poi la forma specifica del materialismo marxista dal quale il suo pensiero prese le mosse. Ma, una volta messe così le cose, allora il realismo pieno cessa definitivamente di avere la forza schiacciante che esso sembra avere. E ciò avviene esattamente perché esso è dogmatico in quanto è in primo luogo ideologico. Tuttavia in particolare esso è ideologico in quanto è dominato dallo scetticismo religioso (se non proprio da un aperto atteggiamento anti-religioso).
Dunque, una volta posto in luce tutto questo, quell’idealismo che non riesce in alcun modo a configurare un realismo, cessa totalmente di essere difettivo. E ciò avviene proprio in quanto esso riesce ad essere ideologico in maniera del tutto opposta; ossia riesce a configurare un pensiero religioso. Non a caso infatti il RF da noi esaminato nella nostra indagine tende effettivamente a sfociare in una filosofia religiosa, e per diverse vie – attraverso la visione professata da diversi allievi di Husserl (nel contesto di un sostanziale spiritualismo essenzialista), attraverso l’adesione all’onto-metafisica religiosa cristiana da parte di Edith Stein, ed infine anche nella più recente evoluzione storica subita dal pensiero husserliano, ossia nell’attuale filosofia della religione.
Una volta pervenuti a questo risultato, allora, nonostante che la forza argomentativa di Sartre sembri a prima vista imporre per sempre un realismo assoluto e dogmatico (quasi quale unica forma perseguibile del moderno filosofare), in realtà le cose appaiono stare in maniera molto diversa.
ATT: l’autore sarà lieto di mettere a disposizione in forma cartacea (a chi gliene facesse richiesta scritta) il testo completo dell’articolo (che consta di circa 15 cartelle).
[…] di alcune forme del moderno «realismo» filosofico. Il modello del realismo sartriano”, in: < https://cieloeterra.wordpress.com/2018/02/25/analisi-comparativa-di-alcune-forme-del-moderno-realism… ]. Sta di fatto però che la FR «mitologica» è moderna solo in questo senso. È infatti sempre […]