“Was ist geschehen?”, “Cos’è accaduto?”
Questo il terribile verso con il quale Marlene Dietrich descriveva dopo la guerra le macerie della Germania e del mondo.
Il film Il rosso e il blu , di Giuseppe Piccioni, fa lo stesso con l’Italia dei tempi nostri. E con il mondo che la circonda.
La drammaticità della domanda è la stessa. Essa contiene lo sgomento per qualcosa di inconcepibile eppure tangibilmente reale.
Perché si può forse descrivere in modo più tremendamente fedele la desolazione di una società se non per mezzo dello spettacolo della spaventosa precarietà in cui versa la sua scuola?
“Qui è tutto un disastro, e noi facciamo quello che possiamo…”, dice la direttrice didattica (Buy) al supplente pieno di buone intenzioni (Scamarcio) per dissuaderlo da un coinvolgimento troppo appassionato nel drammi quotidiani di tale scenario.
Io conosco per esperienza diretta lo scenario, i modi per descriverlo e le intimazioni da esso imposte (specie all’idealista) dal mondo dell’assistenza pediatrica territoriale nei quale sono stato coinvolto fino a pochi mesi orsono. E questa frase me la sono sentita ripetere più volte in tutte le salse.
Ma allora qual’è lo scenario ? E cos’è accaduto per giungere ad esso?
Lo scenario, inutile tirarla per le lunghe, è il mondo dei giovani con le famiglie che stanno dietro di essi. E lo scenario di tutta la società che ruota intorno ad essi.
E cosa vi è accaduto?
Vi è accaduto qualcosa che, una volta constatato, spinge a chiedersi cosa sia accaduto molto più in grande, cioè negli stessi termini dell’angosciosa domanda rivolta alla sua gente da Marlene Dietrich. Una domanda che conosce già la risposta ma stenta a lasciarla entrare nella propria coscienza.
La risposta è uno raccapricciante scenario di tombe. Cioè di un vuoto e di un silenzio strazianti e spaventosi.
Qualcosa che non sarebbe dovuto essere dopo secoli di fede nel progresso e relative lotte per liberarsi dell’ignominia di spaventose disparità sociali e di soggezione al più acerbo bisogno fisico.
È accaduto invece che immediatamente a ridosso della realizzazione di questo sogno, in una società ormai libera, ed assestatasi in una normalità intrisa di giustizia, eguaglianza e benessere, in cui la felicità doveva essere a portata di mano, tutto ciò si è inspiegabilmente e di colpo rovesciato nel suo esatto opposto.
La stessa tenebrosa ed acerba miseria che per millenni erano esistite sul piano fisico ricominciavano ad esistere sul piano psicologico, anzi, per essere più precisi, spirituale.
Questo lo spettacolo di ragazzi di un liceo certamente non esclusivo ma ordinario, i quali, pur non soffrendo di lampanti condizioni di miseria, si comportano verso l’istruzione come se lo fossero. Essi sono vuoti ed il vuoto persiste in essi ostinatamente, stolidamente, in essi, per quanti sforzi si facciano per riempirlo.
Non sono tanto essi i morti, ma essi sono comunque gravidi di morte. La stessa morte generata da quella spaventosa miseria che uccide ogni piena partecipazione alla vita.
Ma con ciò non abbiamo ancora del tutto risposto alla domanda.
Perché tanti morti? E cos’è che li ha uccisi?
Lo ripetiamo, qui non c’è più la massiccia disparità sociale e la crudezza del bisogno materiale cui esse espongono. E non vi sono nemmeno eserciti, carri armati, cacciabombardieri e bombe.
Cos’è allora accaduto? Chi sono i veri protagonisti di una tale così tremenda distruzione?
Ebbene, è paradossale, ma bisogna dire che sono stati proprio i sogni a fare questo. È per i sogni che è accaduto ciò che è accaduto.
È accaduto che da un certo momento in poi è stato possibile trasformare i sogni di Trascendenza in sogni della più immediata immanenza. Ed allora, placato quasi completamente il bisogno e riempite così finalmente le pance in modo medio (in senso materiale e morale), si è affacciata nel mondo, opprimendo le coscienze degli uomini, la malattia più radicale dell’esistenza. La malattia che trascende ogni circostanza negativa ambientale e sociale.
Il tedio!
E pensare che quello stesso Leopardi di cui (evidentemente affatto a caso!) si parla così tanto nel film, ci aveva ben avvertito di ciò. E con lui lo aveva fatto altrove uno spirito molto a lui affine, e cioè quello di Fernando Pessoa. Così come altri spiriti sempre ad essi affini, come Vigny, Chateaubriand, Bloy….
L’esistenza umana è insanabilmente afflitta dal tedio perché, per mezzo dell’indomabile aspirazione alla più integrale felicità, essa tende spasmodicamente all’Infinito. Per cui ogni condizione di ristrettezza la opprime fino ad ucciderla. Sia la ristrettezza negativa, quella che toglie, sia la ristrettezza positiva, quella che dà.
Entrambe chiudono orizzonti ed escludono.
Ebbene qual’è la potenza qui in questione? La potenza che immancabilmente si ribella a queste gabbie di acciaio e le forza fino a romperne le sbarre?
È il sogno!
Togliete il sogno per legge e la miseria e l’oscurità saranno totali.
Ma parliamo del sogno che continua a muoversi sul piano del trascendente. L’altro invece, quello immanentizzato, ha un effetto del tutto contrario
Orbene il sogno coincide più o meno completamente con il cosiddetto ideale, cioè quella dimensione delle cose che viene più intuita che invece toccata con mano, la dimensione di un dover essere delle cose che resta invariabilmente lontana dall’immediato attuale e dal reale.
E l’ideale tende a fiorire, in quanto tende ad essere coltivato dagli uomini, proprio laddove c’è di meno.
Mentre tende a sfiorire ed inaridirsi, in quanto dimenticato, proprio laddove c’è di più.
L’aspirazione verso il di più pretende infatti proprio di annientare il presunto morso velenoso dell’ideale, ossia quella che viene ritenuta la sua colpa, cioè quella di illudere gli uomini lasciandoli perennemente con le mani vuote.
Ciò che si pretende di cancellare dalla faccia della terra è insomma ciò che viene definito come capacità di sacrificio, cioè capacità di dolorosa offerta di sé in nome di qualcosa di del tutto irreale ma comunque meraviglioso.
Ebbene era questo ciò che la società, per mezzo della scuola, offriva ai ragazzi ed alle loro famiglie fino a non pochi decessi orsono. Ed era questo ciò che essi accoglievano da esse.
Era un bene del tutto immateriale, il quale richiedeva, per essere conquistato, abnegazione, disciplina, sottomissione, umiltà…..
Insomma sacrificio. E sacrificio significa dolore. Ma un dolore che ha comunque un senso!
Tutto questo veniva offerto ed accolto perché ne fosse riempito un vuoto, il vuoto delle pance, il vuoto delle tasche, il vuoto delle menti, cioè la pura e semplice noia, ben più corrosiva in chi non coltiva pensieri.
Ora, questo vuoto è stato nella società moderna già riempito.
Non è il caso di descrivere come e da cosa, perché andremmo molto oltre lo scopo di questa recensione.
Ma lo è!
Nel caso dei giovani studenti, esso lo è con una cultura ormai puramente visiva, che ha trasformato il nutrimento intellettuale in un fatuo ed estesissimo velo estremamente sottile (la rete…!) fatto di superficiali ed inconsistenti fatuità che fugacemente vengono in contatto con gli organi sensoriali placandone appena la sete ma mai spegnendola. Perché per definizione i suoi contenuti vanno poco al di là dello strato più superficiale della nostra sostanza intellettuale.
Cosa pensare a questo punto di quei così solidi e densi materiali che riempiono i libri? Quei materiali che richiedono fatica e (appunto) abnegazione e sacrificio per essere assorbiti, proprio perché essi ambiscono alla nostra profondità!
Ecco la tradizione poetica e di pensiero di un popolo. Quella di cui la scuola vorrebbe nutrire i giovani che le vengono inviati dalle famiglie.
Ma le famiglie lo vogliono per davvero? Esse sono in grado di condividere i valori, e le relative prassi, che tutto ciò richiede? Esse sono capaci di impersonare, anzi di incarnare, inculcandola fin dalla culla ai loro figli, la convinzione che, nonostante pance, tasche e menti siano ormai più o meno mediamente piene (come accade nel paesi cosiddetti “avanzati”), valga ancora la pena di vivere per l’ideale, cioè per beni immateriali.
Cioè di coltivare sogni. Ed i sogni, si sa, camminano di pari passo con la presenza del dolore….
Evidentemente no!
Il risultato sono gli esseri che vediamo davanti ai professori Fiorito (Herlitzka) e Prezioso (Scamarcio) : esseri vuoti e che non possono essere riempiti. Esseri stolidi e passivi, la cui principale preoccupazione, come dice una delle ragazze in un raro momento di auto-coscienza, è quella di cercare un piacere del tutto effimero e ne mentre fuggire con tutte le proprie forze il dolore a qualsiasi titolo.
Un dolore che, nello scenario moderno, non ha più evidentemente alcun senso!
Qui lo scenario è allora quello della disintegrazione. La disintegrazione manifestata da famiglie in cui le più elementari capacità e saperi umani, per quanto attiene l’esistenza, sono ormai pressoché totalmente andati perduti.
Ci sono padri distratti che inseguono i propri sogni, più o meno urgenti in termini materiali. Ci sono padri che coltivano il proprio violento delirio di potere. E ci sono madri, come racconta Brugnoli, che non sanno nemmeno più fare la spesa, e la mattina vestirsi e preparare la colazione. Madri, come dice il ragazzo, “che non ce la fanno…”.
Nel film non ci viene detto di più, anche se naturalmente si potrebbe completare il quadro con molti più particolari.
Ecco il ritorno della miseria, una miseria più nera ancora di quella che abbiamo voluto scacciare dalle nostre esistenze. La miseria dell’ormai totale disintegrazione.
Una società intera, persa l’integralità del suo sogno, non sogna più ma si limita a sopravvivere. E quindi non ambisce a nulla più né costruire veramente nulla più.
Non è forse l’imbarbarimento, la decadenza ed il tracollo di un’intera razza, popolo e nazione? E di un’intera cultura? E forse di un’intera specie planetaria?
D’accordo forse la scuola non è tutta così e non così sono certamente tutti i giovani, ma non si può negare che mediamente le cose stiano esattamente in questo modo.
È allora ovvio che il desolato scenario della scuola non rifletta altro che il desolato scenario della famiglia e della società. Ed è ovvio che tale ben più essenziale desolato scenario è dominato dal fantasma del più bieco, cruento e nello stesso tempo fatuo edonismo. Che poi corrisponde esattamente all’abulia ormai totale delle coscienze.
Ma anche l’edonismo non è altro che il volto di qualcos’altro. Un qualcos’altro che rappresenta il vero male che ha ridotto il mondo nello stato in cui si trova.
Un intero stuolo di filosofi e poeti ne annunciò la presenza nel mondo già dall’inizio del secolo XIX.
Chateaubriand, Bloy, Dostoevskij, Schopenhauer, Stirner, Nietzsche, Pessoa, Heidegger, Jünger….
E forse primo tra tutti proprio il nostro Leopardi!
Molti hanno voluto che gli si guardasse in faccia senza alcuna remora. E molti altri hanno voluto perfino che lo si impersonasse cavalcandolo come una tigre. Tra questi specie Nietzsche ed Heidegger!
Si tratta del Nichilismo, ovvero di quella forza così ben descritta da Michael Ende nella sua Storia infinita.
Il Nulla!
E cosa voleva il nichilismo se non lo smascheramento dell’infamia stessa nascosta in seno all’idealismo che perdurava da Platone in poi passando per Cristo. E più recentemente, si riteneva, tale infamia, abbandonate ormai le sue vesti trascendenti, si sarebbe trasformata nei cosiddetti “valori”, ovvero pure e semplici ipocrisie erette a sistema.
Nulla di tutto questo, dissero Nietzsche ed Heidegger (praticamente insieme a Marx!). Non si tratta infatti di nient’altro che di volontà di potenza.
Assumendo quest’estrema consapevolezza il mondo ha voluto finalmente essere non più, e soprattutto non meno, di ciò che esso è in termini biologico-evoluzionistici. Cioè una congerie di esseri che non vogliono altro che pance tasche e menti piene. E ciò senza alcuna esclusione di colpi!
Ebbene il film poteva concludersi in altro modo che con una lezione su Classicismo e Romanticismo tenuta dal professore obbligatoriamente conservatore, in quanto testimone onestissimo fino alla spietatezza di ciò che ho cercato di mettere in luce in questa recensione ? E potevano in altro luogo che in questa lezione trovare posto tutti i sogni di bellezza che ruotavano intorno a film, schiacciati ed occultati da una cruda evidenza che pur doveva essere mostrata in tutta la sua drammaticità?
La conversione degli studenti al sapere e la presenza in classe di una vecchia alunna ormai entrata in pieno nel mondo di un sapere meramente tecnico (cioè quanto di più lontano possibile da un sapere umanistico!), sono entrambe cose del tutto improbabili. Sogni o anche incubi! Ma cose belle! E meritavano pertanto di essere mostrate.
È sogno! Ed il sogno abbiamo visto che conta eccome.
La lezione su Classicismo e Romanticismo riguarda proprio quel particolare assetto del mondo nel quale il Nichilismo iniziò a fare la sua comparsa dopo essere stato spinto alla ribalta dalla Rivoluzione Francese.
Esso era, anche se riportato in termini già squisitamente moderni, proprio la rappresentazione del terribile conflitto tra l’ordine ed il caos.
Non a caso il Leopardi, da difensore del classicismo che fu, sebbene già in piena sensibilità romantica, in qualche modo volle esprimere già allora il cordoglio della coscienza umana per l’ormai imminente prendere commiato dal mondo da parte dell’ordine.
Ed ecco allora che il drammatico senso della domanda di Marlene Dietrich si rivela a noi in pieno.
“Was ist geschehen?”. “Cos’è accaduto?” .
Il senso nascosto di queste due domande è : ‒ “Cosa abbiamo voluto e permesso?”
Abbiamo voluto e permesso che il mondo andasse in malora!
E adesso, proprio come disse allora Leopardi all’Italia, diciamo a noi stessi : ‒ “Piangi che ne hai ben donde….!
Piangiamo, amici miei, proprio come ci invita a fare questo così cupo ma splendido film.
Piangiamo che è finalmente il momento di piangere!
E chissà che…….?
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