Al sorgere del sole i venti cavalieri raccolti sullo spiazzo antistante la chiesa sguainarono le spade all’unisono e le levarono al cielo mentre l’ostia brillava come un secondo sole tra le mani del sacerdote che con le spalle al sole levante celebrava l’ufficio.
Poi l’ostia iniziò a librarsi in alto perfettamente allineata con la sacra spina custodita nell’ostensorio.
Una lunga guerra era finalmente terminata, una guerra in cui molte vite erano state sacrificate e molte erano state le distruzioni, ma il paese era ormai libero dai nemici.
I primi a portare la notizia nella città erano stati i venti cavalieri, mandati dal Re dal campo di battaglia lontano nelle pianure ad ovest. Il Re aveva messo a capo del drappello tre tra i migliori di essi, e questi avevano disposto per la messa di ringraziamento.
Non ebbero il tempo di riposarsi dalle fatiche della tremenda battaglia, e quando essi partirono dal campo l’esercito era ancora impegnato a raccogliere dal campo di battaglia, oltre che il grande numero di feriti e morti, anche i molti uomini esausti e resi folli dal sangue e dal terrore.
Intanto in città, attirati dalla notizia intanto corsa di guarnigione e di campo in campo, e dopo aver scavalcato da oriente per impervi sentieri ed a tappe forzate le montagne della conca, erano giunti nella notte diversi gruppi di armati provenienti dalle estreme guarnigioni intanto non più esposte agli attacchi del nemico sconfitto.
Essi erano stati i primi ad affollarsi nelle strette gole che conducevano poi per un serpiginoso sentiero verso il colle ove si trovava la chiesa dell’eremo.
Dietro di essi, ancora nel cuore della notte, il popolo era sciamato per le strade della città, accodandosi alle compagnie che occupavano ogni piega del terreno nella stretta gola che precedeva il sentiero che conduceva alla fine del colle.
A nessuno di loro era stato permesso accedere al sentiero e salire alla chiesa.
Appena oltre il parapetto dello stretto spiazzo antistante la chiesa dell’eremo apparve l’ostia che brillava candida come la neve, trafitta com’era dal primo raggio del sole levante, pronto dalla gola sottostante eruppe dalle gole dei soldati e del popolo una sola acclamazione di gioia.
I vecchi guerrieri urlavano con quanto fiato avevano in gola e battevano lance e spade sugli scudi di legno e cuoio. Gli uomini del popolo gridavano sollevando le braccia e donne e bambini piangevano.
Intanto lassù la spada confitta nel cuore della Vergine brillava sfuggendo alla sua guaina di carne e rivolgendo lentamente la sua punta in alto finchè divenne una lama dorata della luce del sole che fluiva a fiotti sulle chiome dei cavalieri, i quali tutti reggevano l’elmo sotto il braccio destro.
Il sacerdote nelle sue vesti bianche continuava a restare dietro l’altare con le spalle rivolte al sole e con il capo chino.
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